Il sangue di maggio

Testo: Arianna Corsini
Copertina: Retribuzione della vocazione – Julio Armenante

Nina percorse la strada assolata del primo pomeriggio, una tracolla in tessuto le colpiva il polpaccio nudo ad ogni passo. Faceva caldo, intorno a lei e dentro di lei. Le partì dal petto, le infiammò il collo.
Spinse la porticina intarsiata della chiesa e l’odore d’incenso e di rose le carezzò le narici. Nina starnutì. Respirò.
Quell’odore la invase. Incenso e rose, dappertutto. Si fece il segno di croce.
Una voce atona cominciò: «Oh Dio, vieni a salvarmi».
Un coro tuonante rispose. «Signore, vieni presto in mio aiuto».
La voce di Nina si confuse in quella recita. Erano tutte donne eppure, nel momento in cui avevano parlato insieme, avevano generato la voce di un mostro.
Incenso – nuvola densa, fili bianchi sospesi nell’aria.
Rose – molli, aperte come mani inermi sul pavimento dell’altare.
Nina si appoggiò al banco davanti a lei. Non le piaceva stare in chiesa ma quella volta, più di tutte, voleva scappare, voleva gridare, voleva sputare via l’odore dell’incenso e delle rose ma come si fa a respingere un odore? Le si rivoltò lo stomaco.
Non le restava che vomitarlo. Nina sollevò il volto, c’era la statua della Madonna ad osservarla. Le parlava nelle sue preghiere. Come faceva a confidare a Dio il mal di testa, le fitte al basso ventre, il bruciore tra le cosce, quel calore viscido sulla pelle, quello scamiciato di lino che era troppo stretto?
Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome venga il tuo regno sia fatta la tua volontà santa Maria madre di Dio prega per noi peccatori amen una, tre, dieci volte.
Padre nostro, tu sei un uomo e non potrai mai capire.

Nina chinò il capo, strinse i denti. Non recitava più, ascoltava. Pazienza, devi avere pazienza, ma per cosa, perché? Era là perché lo voleva sua madre. Tutto quello che faceva lo voleva sua madre.
Chiuse gli occhi e attese fino alla fine, quindi si mise in ginocchio per l’ultimo segno di croce.
«Oh Signore santo!» Una vecchia, seduta accanto a lei, inorridì.
«Cosa? Perché?»
«Hai sporcato il banco di sangue… l’inginocchiatoio…»
Nina si mise in piedi in un istante. Era vero, c’era qualche goccia di sangue sul legno. Si era forse graffiata le ginocchia? Ma quando, con il palmo della mano, pulì via il sangue dalla pelle, sul ginocchio non c’era alcuna ferita.
Il sangue era sceso fino ai polpacci.

«Povera cara» sospirò la vecchia, «quanti anni hai?».
«Devo farne undici».
«Povera cara» ripeté quella, «così piccola. Che disgrazia».
Nina si voltò, le donne del banco dietro di lei avevano gli occhi di chi condanna, di chi non ricorda.
«Vattene, per l’amor del cielo», sentì dire.

Che succede? Nina si avviò verso l’uscita. Che succede perché questo sangue dove mi sono fatta male perché mi sono fatta male? Uscì sul portico, non c’era nessuno. Si era sporcata anche in mezzo alle cosce e lo scamiciato era bianco. Non poteva tornare a casa così, con il fruttivendolo sempre fuori, gli uomini del bar sempre fuori, le comare che cuciono sempre fuori. Si toccò. Ecco, le mutandine, lì. Oddio, era da lì.
Mi fa male la pancia, mi fa male la schiena, c’è sangue. Muoio. Muoio? Esce da lì, da lì, da dove faccio pipì. Sta lì. Come altro si chiama? Mamma la chiama sempre , pulisciti , copriti . Nina prese un fazzoletto dalla tracolla, ancora nell’ombra del portico se lo infilò nelle mutandine e corse verso la parte opposta del centro abitato, dove c’era il mare.
Non voglio che mi guardino. Meglio morire. Piuttosto, meglio morire.

Avrebbe aspettato la fine proprio là, con l’odore salmastro a mandare via per sempre quello dell’incenso e delle rose.
Perché non aveva mangiato più gelati e più cioccolata? Il fioretto non l’aveva protetta da niente. Dio non proteggeva da niente, Gesù non proteggeva da niente e la Madonna stava muta, solo a guardare. A mandare il sole, così anche gli altri potevano vederla, deriderla, additarla e dirle “vattene!”.  Seduta sulla sabbia, strinse le ginocchia e sperò che il sangue si arrestasse con la vita. Il magone che tratteneva in gola si trasformò in un pianto. Dapprima docile, da bimba. Poi Nina respirò forte, digrignò i denti. Era la voce di un mostro senza gli artigli. Era la voce di tante donne insieme che condannano e non ricordano ma Nina era solo una, una ragazzetta di quaranta chili con gli occhi cerchiati e le guance pallide e lo scamiciato sporco di vergogna. Così, si addormentò.

***

Svegliati figlia,  hai dormito come gli orsi in letargo. La tua vita era in autunno anche se hai versato il sangue di maggio. Sei viva, sì – il dolore non uccide se tu non glielo permetti. Nina, figlia, alzati e torna a casa. Un ultimo sguardo al mare di notte: non ci puoi più vedere attraverso. E le donne, lo sai, sono così. Quando crescono, non ci puoi più vedere attraverso.

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