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Il rito di IMBOLC
By Malgrado le Mosche Posted in (VC) Lo scrittore del lunedì di mercoledì, Altra letteratura on 08/07/2020 0 Comments 27 min read
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Versione originale, anche detta “Versione Duce”

Testo: Gian Marco Griffi
Copertina: Macumba – Julio Armenante

Prologo

Questa mattina all’alba hanno riesumato Benito Mussolini e l’hanno messo lì, sopra una pietra a essiccare, mentre le autorità facevano a pugni per rendergli onore. Del corpo originale di Mussolini resta solo la testa, perché il tronco con il collo le braccia e le gambe e insomma tutto il resto furono trafugati dai contrabbandieri di cadaveri negli anni ’50, quando si usava trafugare i cadaveri.
Mio fratello dice che Benito Mussolini era un uomo cattivo, una vera faccia di merda dice, con gli occhi satanici e lo sguardo maligno; ha ucciso più persone lui della peste e dell’AIDS messi insieme dice, sta dietro solo al cancro perché il cancro è una malattia fottuta che ce l’ha avuta lo zio eccetera eccetera, e comunque morale della storia il nostro Duce secondo mio fratello era davvero una bestia. Però adesso vederlo lì, in televisione, mummificato, che si squaglia al sole di questo splendido pomeriggio di luglio mentre quei vigliacchi della politica e della chiesa lo sfiorano con le dita inanellate e schifose fa un certo effetto. Ha le labbra ritratte e i denti gialli, il Duce, ed è veramente smunto e terribilmente nauseabondo, almeno a sentire i commenti degli inviati delle televisioni, che tra un po’ s’infilano una maschera antigas per sopportare la puzza. Inoltre ha un colorito olivastro che sembra un incrocio tra una prugna e un fico.
Aveva molte piaghe, il nostro Duce, c’è chi dice procurate da acido fenico chi dice da un’investitura elevata, qualcuno sostiene addirittura da Iddio in persona, col quale Benito Mussolini ebbe sicuramente una tresca. E comunque il tour della testa-salma del Duce è partito dal cimitero di San Cassiano, e oggi il fossile della sua nobiltà giace sulla pietra marmorea più grande del cimitero di Asti, mentre una folla è accalcata all’esterno delle mura urlando il suo nome e attendendo il proprio turno per sfiorargli le labbra o la crapa pelata propria dei guerrieri e dei santi. Il biglietto d’ingresso costa diciotto euro. Ci sono bancarelle con immagini e magliette, cappi, spade e l’immancabile fascio littorio sullo sfondo del tricolore. È davvero una splendida giornata di luglio e tutti stiamo ammirando alla tv l’ostensione della testa-salma di Benito Mussolini e io ho mandato affanculo mio fratello perché cazzo, mica si può infangare la memoria di un eroe e di un condottiero con un mucchio di fandonie da comunista fatto e finito.

Il Rito di Imbolc

In televisione dicono che il Duce rimarrà esposto ad Asti tre giorni e allora penso bisogna fare qualcosa cazzo, qualcosa che venga ricordato da questi buffoni come un segno tangibile della grandezza di Benito Mussolini.
Mi scervello per un quarto d’ora provando a concentrarmi ma di questi tempi è mica facile, la concentrazione va e viene così decido di rilassarmi sul divano leggendo le riviste imbecilli di mia madre.
Leggo la notizia di un culturista morto d’infarto durante la Giornata dell’Affermazione della Virilità Red Bull mentre cercava di trascinare un trattore (con autista) in Piazza delle Dominazioni.
Questo povero coglione ci ha rimesso le penne ma ha ricevuto il plauso della comunità gay e della Federazione Italiana Culturismo. I parenti, leggo, cattolici e depressi, non c’avevano manco i soldi per seppellirlo, così hanno chiesto una colletta ai cittadini amanti del culturismo. Risultato: un pugno di vaffanculo e dodici euro in monete da due e cinque centesimi. Così il tizio rischiava di marcire se non fosse intervenuta la Federazione Culturismo a garantire almeno una funzione e un posto sottoterra.
Esco.
Vago per le strade vuote della mia periferia bucolica, come la definiscono i sociologi, fino al mio solito bar, dove il reverendo ha promosso un ciclo di Sermoni Biblici per la Salvezza di noi Poveri Cristi.
Appena arrivo mi siedo e chiedo a Tòn e Giùs se hanno visto l’ostensione della salma di Mussolini.
“Certo che l’abbiamo vista”, risponde Giùs. “Un vero schifo”, aggiunge Tòn.
“Uno schifo del cazzo”, fa Giùs.
Il sermone di questa sera riguarda le domande fondamentali della bibbia in relazione alla vita quotidiana.
“Tutti i cittadini dovrebbero partecipare alle letture della bibbia”, dice il reverendo. “Altrimenti i loro figli non potranno ricevere comunione né cresima, i loro nipoti non potranno congiungersi in matrimonio, i loro morti non potranno ricevere estrema unzione né esequie, i loro infermi non potranno ricevere conforto, le loro preghiere non saranno esaudite”.
Ha fatto stampare tremila opuscoli ciclostilati in cui si tracciava il percorso biblico, considerando Genesi, Esodo, Levitico e Numeri, con un accenno al Deuteronomio.
“Cazzo non è possibile andare avanti con questo strazio”, dice Tòn, “mi sto addormentando”. “Sta’ zitto deficiente, se ti sente il reverendo ci fa stare un mese senza comunione”, dice Giùs.
“Ma chi se ne fotte della comunione”, dice Tòn.
“Dobbiamo fare qualcosa per il nostro Duce”, dico, “che cazzo, non possiamo mica restare qui impassibili”.
“Cosa intendi per impassibili?”, chiede Giùs.
“Vuol dire senza fare niente, pezzo di cretinoide”, dice Tòn.
Il bar è dei genitori di Tòn e si chiama Un Posto Pulito e Illuminato Bene, solo che il bancone sembra una latrina e l’illuminazione è un neon merdoso da obitorio che scatarra lampi sfrigolanti di luce violacea sui capelli degli sciagurati che si lordano le scarpe nella segatura vomitosa del pavimento.
“Con quella testa rinsecchita, cazzo, non posso guardarlo”, dice Tòn.
“Dobbiamo agire”, dico, e racconto per filo e per segno il progetto che mi è venuto in mente nel pomeriggio e che è ancora in fase di elaborazione.
“Porca puttana”, dice Tòn.
“Cristo”, dice Giùs, “mi sembra una figata pazzesca”.
“Ma è una stronzata bella e buona”, dice Tòn.
“Puoi fare a meno di venire”, dico.
La cugina di Tòn, Liz, una ragazzina sveglia che ha sentito tutto sgattaiola vicino a me e dice: “facciamolo, ma a modo mio”; annuisco e penso che ci stiamo cacciando in un bel guaio.
Liz è ossessionata da sedute spiritiche, magia rossa e nera, esoterismo da supermercato e ho già una vaga idea di quale possa essere il ‘modo suo’.
Decidiamo di agire quella sera stessa. Per restituire al nostro Duce la stima e il rispetto che merita.
“Prima però dobbiamo mollare questa fottuta lezione”, dice Tòn.
“Silenzio laggiù”, tuona il reverendo, “piuttosto per la prossima settimana voi tre potreste consegnarmi una tesi nella quale analizzerete a fondo le seguenti domande:
Uno, è possibile conciliare la reincarnazione con la Bibbia? Due, è possibile aggiungere dettagli riguardanti la Salvezza anche al di fuori della Parola di Dio? Tre, lo gnosticismo è conciliabile con il cristianesimo rivelato? Quattro, Gesù è venuto per dare adempimento o per abolire la legge? Cinque, La Bibbia è un libro simbolico?”
Sei, la bibbia è un libro del cazzo!”, grida Giùs. Subbuglio generale. Si levano voci del tipo “inammissibile”, “scandaloso”, “vomitevole”. Altri applaudono e fischiano. Il reverendo rischia lo svenimento. Tanto meglio, approfittiamo della situazione per scardinare la porta e uscire in strada. Saltiamo in macchina e passiamo all’officina di Giùs, un’officina in campagna piena di trattori e carrette dell’anteguerra, carichiamo tre seghe e quattro badili; poi passiamo da Liz che entra in casa e torna con uno zaino pieno di libri e ci dirigiamo al cimitero.
“E se ci sono le guardie?”, chiede Liz durante il tragitto in auto.
“Che cazzo, figurati se ci sono le guardie”, dice Giùs.
“Ma ci sono di sicuro, deficiente”, fa Tòn, “ti pare che lasciano il Duce alla mercé di qualsiasi pervertito senza neppure la protezione delle guardie?”.
“Se poi capita che dei delinquenti vogliono prendersi anche la testa cosa facciamo, restiamo senza Duce?”, fa Liz.
“Se ci sono le guardie scatta il piano b”, dico.
“E quale sarebbe il piano a?”, chiede Giùs.
“Sei proprio un bacato mentale”, dice Liz.
“Sei totalmente ignorante”, dice Tòn.
“Il piano a è scavalcare il muro dal retro del cimitero”, dico.

Arriviamo al cimitero e ci sono le guardie.

“Cazzo le guardie del cazzo”, dice Liz.
“Quelle cazzo di guardie”, dice Giùs.
“Non puoi fare a meno di essere così volgare in presenza di mia cugina?”, dice Tòn.
“Che cazzo tua cugina parla come un merdajolo di Aramengo e io dovrei fare a meno di essere volgare?”, fa Giùs.
“So badare a me stessa”, fa Liz, “allora? Che si fa?”
“Scatta il piano b”, dico.
“E quale sarebbe il piano b?”, chiede Giùs.
“Sei proprio uno scemo di guerra”, fa Liz.
“Imbecilloide”, dice Tòn.
“Il piano b è uguale al piano a, solo facciamo più attenzione”, dico.
Andiamo sul retro del cimitero e scavalchiamo il muro senza troppi problemi; in un battibaleno siamo dall’altra parte cioè nell’area pidocchiosa del nostro camposanto, quella dove ci seppelliscono i poveri cristi come noi e come il culturista morto d’infarto.
“Che schifo”, dice Liz.
“Davvero un posto desolato”, dico.
“Cosa intende per desolato?”, chiede Giùs a Tòn.
“Intende che è una vera merda”, dice Tòn, e scalcia un paio di ratti grossi come procioni.
Forse starò esagerando, ma questa parte del cimitero è una cosa disgustosa, cazzo, neppure una misera cappelletta o una croce di pietra, una lapide o quei fottuti angioletti a far da cornice alle tombe.
“Mi sembra l’ideale”, dico.
“Ideale un cazzo”, dice Liz, “ma se fa cagare”.
“Sì ma è il posto in cui hanno ficcato il nostro uomo”, dico. 
Cerchiamo attentamente tra le tombe, o quegli schifi che sono, per trovare la tomba del culturista tra quelle dei poveracci sepolti in questa parte del cimitero.  Siccome è buio e quella schifosa torcia di Giùs non funziona non leggiamo praticamente niente e così andiamo a caso. Ne scegliamo una con la terra che sembra fresca e cominciamo a scavare.
“Vuoi dire che dobbiamo scavare lì?”, chiede Giùs.
“No, nella tua testa, scemonito”, dice Tòn.
“Smettetela e scavate”, dice Liz.
Troviamo la bara che più di una bara sembra uno scatolone industriale.
“Guardaci dentro”, dico a Giùs.
“Neanche per il cazzo”, risponde Giùs, “non ficco una mano lì dentro neppure per una scopata con Pamela Anderson”.
Proviamo a convincere Tòn.
“Non vedo perché se lui non ficca la mano lì dentro dovrei farlo io cazzo”, dice Tòn, “e poi siamo in quattro, cristo, fatelo voi”.
“Siete due mezze seghe”, dice Liz, e scoperchia lo scatolone. Dentro ci troviamo un tipo vecchissimo mezzo decomposto che fa una puzza da schifo.
“Porca puttana”, dice Liz.
“Ma non aveva ancora la terra fresca sopra?”, chiede Tòn.
“E allora?”, fa Giùs.
“E allora dovrebbe essere integro, cazzo, stupido di tacca che non sei altro”, dice Tòn.
Poiché il venerando chiaramente non è il nostro culturista decidiamo di dividerci e provare con un’altra bara. Ci servono due braccia e due gambe, un tronco e un bacino, eccetera. Il tutto possibilmente integro e del culturista.
“Ne ho trovato uno che può essere lui”, dice Giùs.
“Sei un deficiente, pezzo d’asino”, dice Tòn guardando la bara scoperchiata da Giùs, “porca puttana non vedi che è una donna?”.
“Sentite non è che potete smettere di bestemmiare sulle tombe?”, chiede Liz.
“E da quando in qua porca puttana è una bestemmia?”, dice Tòn.
“Porca puttana non è una bestemmia”, conferma Giùs.
“Tu sta’ zitto, pezzo d’asino”, dice Liz.
Alla terza bara troviamo il culturista.
“Ma come stracazzo l’hanno vestito?”, chiede Tòn.
Il nostro culturista era stato seppellito con l’abito da lavoro, per cui porta una specie di salopette aderente sul viola acceso. In pratica è mezzo nudo.
“Ha ancora l’olio sui muscoli, che schifo del cazzo”, dice Giùs.
“L’hanno seppellito ieri”, dice Tòn leggendo la lapide di fianco alla tomba, più un post-it che una lapide. C’è scritto Rubeus Heinze: amato figlio – suicida fallito eppure morto celebrando il Calendario Ricreativo Promozionale hce. Più in là ci sono quattro fiori in croce e una corona col nastro siglato dall’Associazione Monferrina body-builder e un biglietto con su scritto Non ti dimenticheremo. Un minuscolo nastro di stoffa di quart’ordine reca la scritta: I colleghi del Dipartimento Assicurazioni sui Tentativi Falliti di Suicidio.
“Questo è decisamente il nostro uomo”, dico.
“Guarda che pettorali”, dice Liz.
“Cosa fai sbavi per i pettorali di un cadavere?”, fa Giùs.
“E perché no? Sono davvero niente male”, fa Liz.
“Ma sei disgustosa cazzo, una depravata mondiale”, dice Giùs.
“Vaffanculo Giùs”, dice Liz.
“Ti sembra il caso di metterti a commentare i suoi muscoli del cazzo, cazzo?”, dice Giùs.
“Sto guardando anche i deltoidi, e non oso pensare alle sue chiappe”, fa Liz.
“Porca puttana sei un’assatanata”, dice Giùs.
“Facciamola finita eh”, dico.
“E adesso?”, chiede Tòn.
“Tagliamo”, dico.
“Starai scherzando”, dice Giùs.
“La testa non ci serve”, dico, “per cui è la prima parte che segherei via”.
“Perché non ci serve la testa?”, chiede Tòn.
“Ma perché è l’unico pezzo che ci resta del nostro Duce, cretinoide che non sei altro”, dice Liz.
Cominciamo a segare la testa cercando di tagliare perfettamente all’altezza della trachea, proprio nel punto in cui la testa di Mussolini dovrà combaciare col tronco.
Segare la testa di un culturista morto è davvero uno schifo del cazzo, ha ancora i muscoli in tensione perché quando è schiattato era nel pieno dello sforzo e la puzza di canfora si mescola a quella di marciume dei fiori, uno schifo portentoso.
“Questi fiori puzzano come la merda”, dice Tòn.
“Davvero un paragone apprezzabile”, dice Liz.
“Adesso la signorina si scandalizza”, fa Giùs.
“Cazzo cazzo cazzo”, dice Tòn, “schifo schifo schifo”, dice Liz mentre seghiamo.
“Ma taglia con più attenzione, cristo”, fa Tòn a Giùs.
“Mi hai preso per un patologo del cazzo?”, dice Giùs, “se volevi un cazzone di coloner dei telefilm americani dovevi tagliare tu”.
“Si dice coroner, pezzo d’imbecilloide”, dice Liz.
“Ci sono punizioni terribili per quello che stiamo facendo”, dice Tòn.
“Che punizioni?”, chiedo.
“Ma come minimo l’inferno cazzo”, dice Tòn.
“Se va bene”, dice Giùs, “per me ci sbattono in una prigione piattolosa”.
“Ci ficcano in una bolgia a patire le pene per trecentomila anni”, dice Tòn.
“Cosa intendi per bolgia?”, chiede Giùs.
“Intendo che ti mettono in un posto pidocchioso, scemonito, coi ratti e gli scarafaggi e sono cazzi tuoi, mica c’hai le trappole o il ddt”, dice Tòn.
“Sembra davvero uno schifo”, dice Giùs.
Dopo una mezz’ora abbiamo finito, siamo attrezzati con guanti di lattice e una sega affilata, per cui prendiamo una carriola abbandonata e carichiamo il culturista senza testa.
In dieci minuti siamo pronti per attuare la seconda parte del piano.
“Guarda quanto ce l’ha piccolo, cristo”, dice Liz sbirciando la salopette del culturista.
“Ma allora sei proprio una depravata del cazzo!”, grida Giùs.
“E tu un ignorantoide da competizione”, urla Liz.
“Volete per caso anche suonare una sirena?”, fa Tòn, “o magari preferite urlare direttamente alle guardie Signore guardie del cimitero, siamo quattro coglioni che stanno scarrozzando in giro per il cimitero una carriola con un culturista morto decapitato. Fate silenzio, cristo”.
“Abbiamo un corpo coi fiocchi”, dico.
“Ma con un cazzo che sembra una patatina fritta smollata nell’acqua”, fa Liz, “non avrei voluto essere la sua donna neppure da morta”.
“Ma tua cugina è una porca inaudita!”, fa Giùs.
“Ma fai silenzio, pezzo di un deficiente patentato!”, urla Tòn.
“Non possiamo ricomporre il cadavere del nostro Duce con un cazzetto minuscolo come questo”, dice Liz.
“Ditemi che sta scherzando”, dice Tòn.
“Neanche morta”, dice Liz, e si pianta lì in mezzo a quelle tombe pidocchiose, a pochi metri dall’ingresso dell’area monumentale del cimitero.
“Tanto mica lo ricomponiamo nudo, vacca eva”, dice Tòn.
“Una donna sa notare certi particolari anche attraverso i pantaloni”, dice Liz.
“Cristo Santo, è malata”, dice Giùs.
“Smettetela”, dico, “piuttosto, come lo vestiamo?”, chiedo.
Non abbiamo un vestito, così decidiamo di tirare fuori un altro cadavere. Per il vestito.
“Mi rifiuto di ricomporre il corpo di Benito Amilcare Andrea Mussolini, Primo Maresciallo dell’Impero, Duce della Repubblica Sociale Italiana, con un cazzo che sembra una pustola sgonfia, porca puttana”, continua Liz.
“In effetti è davvero piccolo”, dice Tòn.
“Non dici sul serio, vero?”, fa Giùs.
“È una questione di virilità”, dice Liz, “pensate a quelli che lo hanno mostrato alle televisioni solo per interesse, a quelli che fingono di preoccuparsi della sua santificazione, a quelli che fingono di piangere, quelli della chiesa”.
“Quegli stronzi fottuti”, dice Tòn.
“Si può dire stronzi fottuti in un cimitero?”, dice Giùs.
“E perché no? Mica siamo in oratorio del cazzo”, dice Tòn.
“Sì ma è un terreno consacro del cazzo”, dice Giùs.
Consacrato, ignorantoide”, dice Liz.
“Comunque secondo me si può dire”, dice Tòn, “è un po’ come dire merda, vomito, schifo, merda”.
“Hai detto due volte merda”, dice Giùs.
“Ma cosa sei un notaio del cazzo? era per fare un esempio no?”, urla Tòn, “vuoi che sostituisca merda? Piscia, piscia piscia piscia, si può dire piscia? Beh io lo dico”.
“E comunque mi rifiuto di ricomporre il corpo del Duce a queste condizioni”, dice Liz.
Liz continua a impuntarsi per la questione del pene per cui siamo costretti a scaricare il tronco del culturista già bello affettato e pronto all’uso.
“Dobbiamo trovare un altro corpo”, dico.
“Ma non si può segare solo l’affare e sostituirlo?”, chiede Giùs.
“Brutto deficiente”, dice Liz, “e poi cosa gli attacchiamo, il tuo?”.
“Ti piacerebbe?”, chiede Giùs.
“Sì per ricordare il nostro Duce come il Condottiero dal cazzo microscopico”, dice Liz.
Profaniamo tre o quattro tombe.
“Vieni a vedere se questo è di tuo gradimento, miss depravata”, dice Giùs.
“Quello è più rinsecchito del tuo, mister coglione”, dice Liz, e la ricerca continua.
Trovo una bara lunga tre metri e larga due, un legno povero ma robusto. Giulio Borgo, amato marito. Scoperchiamo e troviamo un bestione di due metri.
“Guarda lì sotto se può andare”, dico a Liz.
Stavolta Liz non fa problemi e tira giù i pantaloni al bestione, svelando un pisello di ventisette, ventinove centimetri in erezione, almeno secondo le proiezioni di Liz.
“Cos’è adesso facciamo anche le proiezioni?”, chiedo.
“Questo è troppo, cristodio, tua cugina è una maniaca sniffomane”, dice Giùs a Tòn.
Ninfomane, frocettoide che non sei altro”, dice Liz.
“Con te facciamo i conti dopo”, dice Tòn a Liz, “dovresti vergognarti a parlare così, con sedici anni, in presenza di tuo cugino”.
“Diciassette, cugino dei miei coglioni”, fa Liz.
“Facciamola finita cazzo, vogliamo procedere?”, chiedo.
Tiriamo fuori il bestione a fatica.
“Ma questo è un mostro”, dice Tòn.
“Mai vista una bestia del genere”, dice Giùs.
“Gli corre lungo una gamba”, dice Tòn.
“Gli arriva al ginocchio cazzo”, urla Giùs
“I nostri frocetti hanno un po’ d’invidia?”, dice Liz.
“Vaffanculo Liz”, dice Tòn.
“Manco il Rocco ha un cazzo così”, dice Liz.
Seghiamo il tronco del bestione e lo ficchiamo nella carriola, buttiamo via gambe, braccia, e testa. Seghiamo il culturista all’altezza dell’ombelico e teniamo gambe, tronco e braccia.
“Butta via la parte bassa del culturista”, dico a Giùs.
“Ma porta rogna buttare via i pezzi di cadavere”, dice Giùs.
“Cos’è quest’altra stronzata?”, chiede Tòn.
“Ci mancava solo questa”, fa Liz.
“Butta via quel cazzo del cazzo”, gli dico.
“Porta rogna!”, urla Giùs.
“Fighetta di una mezza sega”, dice Liz, e afferra il bacino del culturista. Si avvia verso il cassonetto e lo getta via.
“Avevi dei gran bei pettorali e le chiappe belle sode ma credimi, non ho mai visto un cazzo tanto piccolo”, dice Liz.
“Ci voleva tanto?”.
Abbiamo i pezzi ma non un vestito, perché quello del bestione è enorme, inoltre non possiamo vestire Benito Mussolini con un frac merdoso e pieno di buchi.
La seconda fase del piano è la più delicata, poiché si svolge a contatto con l’area in cui giace la testa del Duce. Ci muoviamo rapinosi tra le cappelle di lusso dell’area Vip del cimitero e avvistiamo la pietra su cui poggia la testa: è nel centro di uno spiazzo rotondo e immenso; la pietra funeraria è abbastanza grande da accogliere i nostri pezzi di cadavere. C’è una certa eccitazione serpeggiante. Delle guardie neppure l’ombra. Circumnavighiamo lo spiazzo, guardiamo fuori dal cancello, nelle cripte, nelle cappelle, niente.
Neanche una guardia.
“Guarda che fine gli hanno fatto fare”, dice Liz.
“Neppure una guardia del cazzo a presidiarlo”, dice Giùs.
“Uno si fa un culo a paiolo per diventare Duce, stermina chi c’è da sterminare, impala chi c’è da impalare e il trattamento è questo”, dice Tòn.
“Dove cazzo sono finite le guardie?”, domando.
“Chi se ne frega”, dice Tòn.
“Non c’è anima viva”, dice Giùs.
“Bella battuta del cazzo”, dice Liz.
“Tua cugina è una degenerata”, dice Giùs a Tòn.
“Vogliamo fare il lavoro per cui siamo venuti o aspettiamo che vengano coi cani, cristo?”, dico.
Scardiniamo tre o quattro cappelle e rimediamo un bel vestito per il nostro Duce.
Poi la ricomposizione del cadavere è compito di Tòn, che ha sostenuto cinque esami di medicina. Solo che ci mette una vita.
“Qui facciamo mattina, cazzo”, sbotta Liz, “ma cosa ci vuole a ricomporre un fottuto cadavere?”
“Ha parlato miss saputella”, dice Tòn.
“E miss pervertita”, dice Giùs.
“Date qua, mister rincoglioniti”, dice Liz, e in tre minuti ricompone il corpo che è una meraviglia.
“Signore e signori, ecco voi il nostro Duce, Benito Mussolini”, dico.
“Con un cazzo enorme”, dice Liz.
“Appena uscito dalla palestra”, dice Giùs scattando una fotografia col telefonino.

A questo punto non sappiamo cosa fare.
“Ma raccogliamoci in meditazione, cazzo”, dice Liz, “è il minimo che possiamo fare”.
Ci raccogliamo in meditazione fino a quando Liz decide che è ora di cominciare il rito.
“Che storia è?”, chiede Tòn.
“È la terza parte del piano”, dice Liz.
“E cioè?”, chiede Giùs.
“E cioè risvegliamo il nostro Duce dal suo sonno eterno mediante il rito di Imbolc”, dice Liz.
“Ossignore schifo santo”, dice Giùs.
“Non vorrai fare sul serio questa cazzata”, dice Tòn.
“Tappati la bocca, ignorante, l’esoterismo è una scienza”, dice Liz.
Discutiamo qualche minuto, mentre Liz tira fuori dallo zaino il suo telefono e accende la musica: c’è una specie di canzone incomprensibile.
“Cos’è sto schifo?” Chiede Tòn.
“Helter Skelter”, dice Liz.
“Questo conato non è Helter Skelter”, dico.
“È Helter Skelter al contrario”, dice Liz. “L’ho scaricata da internet”.
“Porca vacca”, dice Giùs.
“Ok”, dice Tòn, “ma per quale cazzo di motivo stiamo ascoltando una canzone al contrario?”
“In Helter Skelter dei Beatles si nasconde un messaggio segreto”, dice Liz. “Si chiama backmasking.”
“Che tipo di messaggio segreto”, chiede Giùs.
“Un messaggio segreto”, dice Liz.
“Ho capito”, dice Giùs, “ma di che tipo?”
“Se è segreto vuol dire che non l’ho mai sentito, no?” Dice Liz.
“Che cazzata”, dice Giùs.
“Sarà qualcosa di satanico”, dice Tòn.
“In che senso satanico”, domanda Giùs.
“Silenzio!” Urla Liz. “Ascoltiamo il messaggio segreto.”
Dopo tre minuti del messaggio in codice non c’è traccia.
Faccio notare che potrebbe arrivare qualcuno da un momento all’altro, per cui Liz prende un libro e comincia a leggere.
“Il 1° si hanno nove ore e undici minuti di luce solare e il 31 se ne hanno nove e cinquantanove: si perdono quarantotto minuti di buio.
La Luna è Piena il giorno 3 e Nuova il giorno 17”.
“Per la puttana, è completamente fuori di testa”, dice Giùs.
“Silenzio, scemo di guerra”, dice Tòn, “prima cominciamo e prima finiamo”.
“Vaffanculo, voi due”, dice Liz, e riprende a leggere.
“Il Giorno 20 alle ore 06:16 il Sole lascia il Capricorno ed entra nel segno dell’Acquario”.
“Queste cose portano una rogna terribile”, dice Giùs.
Osserviamo Liz mentre prepara gli strumenti per il rito. Candele bianche e rosse, rametti di sorbo, fiori rossi, incenso di Imbolc, rosmarino, cannella, incenso puro, biscotti alla cannella, marmellata di mirtilli, succo di frutta ai frutti di bosco.
“Ma che cazzo, tua cugina è una strega coi controcazzi!”, dice Giùs.
“Ma sta’ zitto”, dice Tòn preoccupato.
“Zitti e immobili”, dice Liz, “questa è la parte più delicata”.
“Porta una rogna terribile, ve lo dico io”, ripete Giùs.
“Quando la ruota a Yule giungerà, il ceppo si accenderà e il Cornuto regnerà”, declama Liz.
“Cosa intende per Cornuto?”, chiede Giùs a Tòn.
“Cretinoide, il porco Demonio no? E chi altri?”, dice Tòn.
“O cazzo, cazzo, cazzo”, dice Giùs.
“Io sono la Signora delle Maree che fa ritorno al suo Regno su una nave di Fiori”, continua Liz.
“Oh cristo”, dice Tòn.
“Io sono Giovane ma Vecchia, Vergine ma Saggia”
“Questo è troppo. Ma se è una porca allucinante”, dice Giùs.
“Ma sta’ zitto citrullo, non vedi che è il testo di un rito?”, dice Tòn.
“Sì ma dura ancora molto?”, chiedo.
“È quasi finito”, dice Liz. “Adesso dobbiamo ripetere insieme questa formula”. Liz apre il libro.
“Al tre tutti insieme”, dice Liz.
“Tre”.
“Gioiamo per il Seme che riposa nella Terra
Gioiamo per il Vento che si fa gentile al tocco.
Gioiamo per la Luce che nasce dalle Tenebre
Gioiamo per l’Orso che fa ritorno al Bosco.
Gioiamo per la Rinascita e per il Ciclo Eterno!”

Non succede niente.

Rimaniamo immobili a osservare il corpo immobile del nostro Duce.
“E allora?”, fa Tòn.
“Bella stronzata”, dice Giùs.
“Cosa sarebbe dovuto capitare?”, domando a Liz.
“Avrebbe dovuto risvegliarsi, cazzo”, dice Liz.
Stiamo lì a rimuginare poi sentiamo un’automobile fermarsi davanti alla cancellata del cimitero seguita da altre automobili.
“Avete sentito?”, domando.
“Arrivano a tutta birra, cristo”, dice Giùs.
“È quella Pantera del cazzo”, dice Tòn.
“Cosa intendi per Pantera?”, domanda Giùs.
“Ma i vigilanti notturni del cazzo, no?”, dice Tòn.
“Ma perché il rito non funziona?”, chiede Liz.
“Chissenefrega del tuo rito idiota”, dice Tòn.
“Scrivi qualcosa con la vernice spray e andiamocene”, dico a Giùs, che tiene in mano la bomboletta.
“Cazzo dev’essere la marmellata di mirtilli. Ci voleva quella di more”, dice Liz.
“Ma cosa cazzo scrivo?”, chiede Giùs.
Cominciamo a correre lasciando Giùs con la bomboletta in mano. Scrive qualcosa e sembra impegnarsi davvero, corre via, ci raggiunge, ci supera, salta il muro di recinzione del cimitero.
Mentre corriamo verso il fiume spezziamo rami, ci graffiamo braccia e guance, e quando arriviamo sull’argine la vediamo, un corpo bianco smunto decapitato con le unghie viola e i capelli rossicci.
Giùs, che ci aveva preceduti è immobile con gli occhi increduli, Tòn vomita schiuma e Liz rimane impassibile.
“Sei proprio un frocetto”, dice rivolta a Tòn, che nel frattempo è piegato sulle ginocchia e si ripulisce il mento con la manica della camicia.
“È tutta la notte che vediamo cadaveri”, dice Liz.
“Cristo ma questo è diverso”, dice Tòn.
“Questa è una morta ammazzata”, dice Giùs.
La morta è giovane, avrà venticinque anni al massimo, e nonostante abbia appena usato una sega per smembrare parti di cadavere non posso trattenere un gorgoglio. Mi viene da piangere, non so cosa fare.
“Non facciamo un cazzo”, dice Liz.
“Ma bisogna chiamare qualcuno, cazzo”, dice Tòn.
“E chi?”, domanda Giùs.
“Ma la polizia, cristo, i vigili del fuoco, i detective, un’ambulanza”.
“Bisogna assolutamente avvertire qualcuno”, dico.
Non facciamo niente. Non chiamiamo nessuno. Ci mettiamo a correre su per il bosco e scappiamo da quella merda. Dimentichiamo tutto. Dimentichiamo una ragazza priva di collo a pochi passi da noi. Abbiamo fame. Ci sentiamo pervasi da un’energia vitale senza precedenti, qualcosa tipo un milione di midi-chlorian di quel cazzo di Guerre Stellari, tipo la reviviscenza di Highlander.
Intanto quelli della Pantera fanno irruzione nel cimitero monumentale e ci trovano il corpo ricomposto di Benito Mussolini il Conquistatore, Benito Mussolini Maresciallo dell’Impero, Benito Mussolini Duce d’Italia, con muscoli da culturista e un cazzo da paura. La scritta recita “il nostro DUCE ha il cazzo lungo da qui a domani”. Arrivano le televisioni, i giornali, nel giro di mezz’ora le immagini di Mussolini Ricomposto fanno il giro d’Italia, forse del mondo. La scritta la censurano coprendola con un lenzuolo bianco, ma ce lo aspettavamo, sono sempre i soliti dai tempi dell’inquisizione. Comunque ci abbiamo pensato noi, a pubblicarla su internet.
Nel frattempo siamo già da Burger King, ci stiamo facendo un Double Whopper cantando insieme there’s a riot on the streets of England e glorificando il corpo ricomposto del nostro Duce; quantunque non sia tornato in vita per punire tutti i falsi profeti noi brindiamo, cazzo, perché siamo certi di aver fatto un bel lavoro. Un gran bel lavoro.
Davvero.

Gian Marco Griffi Il rito di IMBOLC Julio Armenante letter Racconti


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