di Gian Marco Griffi
Copertina: Questo tempo non passa mai – Antimonio
Ana Rosa stringeva il biglietto nella mano destra, prestando attenzione a non stropicciarlo. Stava seduta dietro nell’auto di suo cugino Peter, una Fiat Brava blu del millenovecentonovantotto.
Non sarebbe meglio darlo a me, disse Peter guardandola nello specchietto retrovisore, sarà più al sicuro se lo terrò io.
Ana Rosa fece un cenno che non significava niente, ma poteva essere inteso come un no.
Se me lo dai lo teniamo nel cruscotto, disse Priscilla, la fidanzata di Peter, che stava davanti.
Ana Rosa osservò la strada fuori dall’abitacolo dell’auto, poi decise di ficcarsi il biglietto nelle mutande, sotto il pannolone per deficienti, proprio in mezzo alle chiappe, perché la mamma le aveva detto che era una cosa preziosa, e le cose preziose andavano conservate al sicuro. Uno dei posti più sicuri al mondo, diceva la mamma, era sotto il pannolone per deficienti, in mezzo alle sue chiappe mongoloidi.
Questa figlia di puttana si è ficcata il biglietto nel culo, disse Priscilla.
Cristo, disse Peter.
***
Due giorni prima la mamma aveva mandato Ana Rosa in tabaccheria per comprare le sigarette e il Gratta e Vinci. Lì Ana Rosa aveva comprato un pacchetto di Marlboro rosse e il biglietto di una lotteria istantanea che la madre la spronava ad acquistare ogni volta che le rimaneva qualche spicciolo a fine mese. Ana Rosa aveva imparato a grattare la superficie dei biglietti e dopo anni di pratica ormai era un’esperta grattatrice di lotterie istantanee.
Aveva appena compiuto trentanove anni, aveva il corpo basso e tozzo e il collo grosso, ipotonia marcata, una discromia cutanea sulla parte bassa della schiena, un’anomalia degli occhi e il cranio particolarmente piccolo, tipico delle persone affette da sindrome di Down. A causa della riduzione delle dimensioni della cavità orale non riusciva a mettere insieme quattro parole in fila e sovente si pisciava o cagava addosso, ma riusciva a grattare la superficie argentata di un Gratta e Vinci con una cura davvero insuperabile.
Quella volta prese una moneta e grattò con delicatezza, prestando attenzione agli angoli, e alla fine, quando come al solito porse il biglietto al tabaccaio, lui le comunicò che aveva vinto duecentocinquantamila euro.
***
Peter smontò dal lavoro alla stazione di servizio e prima ancora di salire in auto ricevette la telefonata della zia.
Peter, disse la zia.
Peter abitava con sua zia da quando i suoi genitori erano morti.
Dimmi zia, disse Peter.
Il resto della telefonata fu piuttosto confuso, ma quando Peter passò a prendere la sua ragazza glielo raccontò più o meno in questo modo: praticamente quella mongoloide di mia cugina ha comprato un Gratta e Vinci e ha vinto duecentocinquantamila euro.
Cazzo.
Appunto.
E tu che c’entri.
C’entro perché mia zia ha un cancro in gola grosso come un melone e mia cugina è completamente deficiente.
E quindi.
Quindi mi ha chiesto di accompagnare Ana Rosa a incassare la vincita, assicurarmi che non la freghino, portare tutto in banca, cose così. Mi ha chiesto di aprire un conto a suo nome. Per quando sarà rinchiusa in qualche istituto, ha detto.
E a noi che ce ne viene.
Che cazzo ce ne deve venire, è una questione di famiglia, non ti basta?
***
Quando arrivarono a casa si accomodarono in salotto.
Volete un caffè, disse la zia a Priscilla.
Perché no, disse Priscilla.
La zia andò in cucina a preparare il caffè. Ana Rosa era appollaiata in un angolo del divano a scaccolarsi e a giocherellare con una bambola sudicia.
Non pensavo fosse così rincoglionita, disse Priscilla.
Sta’ zitta, che cazzo, disse Peter.
Poi la zia spiegò che in pratica bisognava portare il biglietto alla tesoreria generale della lotteria, in centro a Roma.
Si potrebbe incassare anche in banca, mi hanno detto, ma non mi fido, disse.
E quindi? Domandò Peter.
Quindi dovete prendere Ana Rosa e andare a Roma, all’Ufficio premi Lotterie Nazionali; arrivati lì incassate i soldi, vi infilate nella prima banca e aprite un conto a nome suo. La banca che sia la Cassa di Risparmio, non una banca qualsiasi.
È tutto chiaro?
Tutto chiarissimo, zia, disse Peter.
***
Il giorno dopo partirono per Roma a metà mattina. Solitamente dal posto in cui abitavano ci voleva un’ora e mezza, tuttavia quel giorno Peter decise di fermarsi in un bar che conosceva.
Ma che cazzo ti salta in testa, domandò Priscilla.
Devo pisciare.
Ma non potevi pisciare a casa?
Cristo se devo pisciare adesso devo pisciare adesso.
Il bar era abbastanza lurido, pieno di operai che smontavano dal turno di notte e qualche camionista di passaggio.
Che bevi, disse il barista.
Una birra, disse Peter.
Che minchia non dovevi pisciare, domandò Priscilla.
Prima fammi bere, disse Peter.
Il barista guardò di traverso Priscilla.
E la mongoloide che prende, disse il barista.
Che tatto, disse Priscilla.
Ana Rosa si stava gingillando con la salopette di jeans che indossava.
Bel vestitino, disse uno degli operai vestiti di arancione.
Gli altri iniziarono a ridere.
Ridete pure, disse Peter. Ma questa mongoloide ha più soldi di tutti voi teste di cazzo messi insieme.
Sì come no, disse uno dei tizi.
Stai zitto, disse Priscilla.
Non rompere sempre i coglioni, disse Peter.
Priscilla si diresse verso il frigorifero, prese un cono gelato, lo scartò e lo mise in mano ad Ana Rosa, che subito cominciò a leccarlo e a sbrodolarsi come una bambina.
Davvero un bel quadretto, disse il barista.
Questa è piena di soldi, disse Peter.
Anche piena di merda, disse un operaio vestito di arancione.
Gli altri risero.
Che puzza schifosa, disse il barista.
Si dà il caso che la sto accompagnando in città per incassare una grossa vincita, disse Peter.
Sei un cazzone, disse Priscilla, gli strappò dalle mani le chiavi dell’automobile e uscì.
Ma non mi dire, disse il barista.
E a quanto ammonterebbe questa grossa vincita? Domandò uno degli operai.
Duecentocinquantamila, disse Peter.
Il barista scoppiò a ridere. Qualcuno fece una pernacchia.
Ana Rosa aveva la faccia completamente sporca di gelato.
Qualcuno le si avvicinò e le sfiorò i capelli.
Non la toccare, disse Peter.
Balla? Domandò uno dei tizi.
Gli altri si misero a ridere.
Facciamola ballare, disse un altro.
Peter tentò di sferrare un colpo a uno degli operai, ma altri due lo trattennero.
Non ti scaldare, mezzasega, gli dissero.
Nel pieno del parapiglia un tizio distinto con un panama bianco appoggiò un bicchiere di whisky sul ripiano del suo tavolino, si alzò dalla sedia, si avvicinò ad Ana Rosa, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di stoffa e iniziò a ripulire il mento e la bocca della donna.
Dovreste vergognarvi, disse.
Che cazzo te ne frega, disse Peter, spingendolo a distanza da Ana Rosa.
Prese per mano Ana Rosa e la trascinò fuori dal bar.
Quando risalirono in automobile Priscilla si accese una sigaretta e disse tu sei il re dei coglioni.
Peter la guardò e disse ma vaffanculo.
Dopo qualche chilometro di silenzio Priscilla disse duecentocinquanta mila sono una bella somma.
Lo puoi dire, disse Peter.
Cosa saresti disposto a fare per duecentocinquanta mila euro?
Domandò Priscilla.
Non saprei, disse Peter.
Dopo quarantacinque minuti di strada decisero di intascarsi una piccola parte della somma, ma non subito. Avrebbero fatto in modo che Peter risultasse il tutore legale di Ana Rosa, per poter gestire la somma quando la zia fosse passata a miglior vita.
Potresti sposarla, disse Priscilla.
Cosa farnetichi, disse Peter.
Se te la sposi potrai gestire tutti i soldi.
Non sposo questa mongolide neanche da morto, disse Peter.
Ma devi sposarla per finta, cretino, disse Priscilla.
E ti pare che possa sposare mia cugina così, disse Peter.
Sei troppo una mezzasega, disse Priscilla.
Fanculo il matrimonio, disse Peter.
Portiamola a incassare i soldi e ce ne teniamo una parte, disse.
Per il disturbo.
Priscilla accese una sigaretta. Ana Rosa si era addormentata.
E quanto sarebbe, secondo te, il disturbo, disse Priscilla.
Non saprei, disse Peter.
Secondo me almeno cinquantamila, disse Priscilla. Duecentomila le basteranno per fare un vita più che dignitosa.
E poi quanto vivono i mongoloidi? Domandò Peter.
Non lo so, ma mica tanto, disse Priscilla.
Diciamo cinquant’anni?
Avrei detto meno, comunque diciamo cinquanta.
Totale, sempre che non debba ammazzarsi prima, le mancheranno all’incirca dieci anni da vivere, disse Peter.
Più o meno, confermò Priscilla.
Se calcoliamo diecimila all’anno, ma fai anche quindicimila, se campa dieci anni, fa centocinquantamila.
Così il nostro disturbo aumenta a centomila, disse Priscilla. Lo disse lanciando la sigaretta dal finestrino.
***
Dopo altri quarantacinque minuti arrivarono di fronte al Palazzo dove era situato l’Ufficio premi Lotterie Nazionali; era mezzogiorno inoltrato, e le strade della città erano screpolate come labbra d’asino.
Mangiamo qualcosa? Domandò Peter.
Come fai a pensare a mangiare, disse Priscilla.
Perché, chiese Peter.
Andiamo a prendere questi cazzo di soldi, disse Priscilla.
Salirono i sette scalini di marmo dell’edificio e cercarono l’Ufficio premi Lotterie Nazionali. Quando si trovarono di fronte all’impiegato cercarono di estrarre il biglietto dalle chiappe di Ana Rosa, ma non ci fu verso.
Cristo, disse Peter.
Priscilla provò con le buone, tentando di convincerla a porgere il biglietto all’impiegato.
Tira fuori quel biglietto di merda, urlò Peter.
L’impiegato stava per chiamare la sicurezza, così decisero di uscire, cercare un locale per pranzo e far ragionare Ana Rosa.
Benissimo Ana Rosa, disse Peter a tavola. Ora è assolutamente necessario che tu ti levi quel biglietto dalle chiappe e lo appoggi su questo tavolo.
Ana Rosa stava fissando il vuoto.
Mi capisci, disse Peter.
Questa non capisce un cazzo di niente, disse Priscilla.
Portiamola in bagno, disse Peter.
Trascinarono Ana Rosa in bagno. Quando entrarono Ana Rosa cominciò a urlare.
Fai la brava, cazzo, disse Peter.
Tienila ferma, cazzo! Gridò Priscilla.
Peter immobilizzò Ana Rosa e nel farlo probabilmente le ruppe un braccio, perché Ana Rosa attaccò a urlare ancora più forte.
Cos’hai combinato, disse Priscilla.
Ma se non l’ho praticamente toccata, disse Peter.
Le hai rotto un braccio, coglione, disse Priscilla.
Oh porca puttana, disse Peter.
Mentre Ana Rosa urlava come un’indemoniata, un cameriere entrò in bagno.
Va tutto bene qui, domandò.
Va tutto bene, disse Peter.
Meravigliosamente, disse Priscilla.
Che state facendo, chiese il cameriere.
Secondo te? Disse Priscilla.
Stiamo cercando di far cagare la nostra cuginetta mongoloide, disse Peter.
Vuoi darci una mano tu? Domandò Priscilla.
Il cameriere si avvicinò ai pisciatoi, fece una lunga pisciata e uscì senza lavarsi le mani.
Che schifo, disse Priscilla.
Prendiamo sto cazzo di biglietto, disse Peter.
Dovresti rovistare tu nel culo di tua cugina, cristo, disse Priscilla.
Fanculo, disse Peter.
Priscilla tirò giù la salopette di Ana Rosa, poi le abbassò le mutande.
Oddio che puzza, gridò indietreggiando.
Ana Rosa stava urlando sempre più forte.
Falla stare zitta o la strozzo, urlò Priscilla.
Poi tolse il pannolone pieno di merda e tra la merda ci trovò il biglietto.
Cristo, sussurrò Peter.
Cercarono di ripulire il biglietto come meglio potevano, poi si diressero alla tesoreria.
Non dovremmo portarla in ospedale, domandò Peter.
Prima i soldi, disse Priscilla.
Ce li daranno in contanti? Domandò Peter.
Ma sei imbecille? Disse Priscilla, ma ti pare che ci danno duecentocinquantamila euro in contanti. Ce li facciamo mettere sul conto, scemo di guerra.
Ana Rosa urlava per il dolore al braccio.
Portiamo Ana Rosa in ospedale, disse Peter.
Porca troia prima i soldi, disse Priscilla.
Cristo io la porto in ospedale, disse Peter.
Salirono in auto, imboccarono una circonvallazione.
Sei un coglione, disse Priscilla.
Tanto i soldi non scappano, disse Peter.
Dovettero fermarsi in un’area di servizio abbandonata accanto al vecchio gasometro perché Peter doveva pisciare.
Ma quanto sei coglione, ripeté Priscilla.
Smettila porca puttana, disse Peter, devo pisciare.
Ma che cazzo hai alla prostata, disse Priscilla.
Fanculo sono agitato, disse Peter.
Una Citroen Ami 8 verde palude entrò nell’area di servizio mentre Peter e Priscilla discutevano. Il gasometro svettava sull’asfalto sgretolato dall’erbaccia e sui pilastri erosi dell’autolavaggio.
Il tizio distinto col Panama scese dall’automobile e si avvicinò al finestrino di Peter. Bussò.
Che cazzo vuoi, disse Peter.
Scendi, disse il tizio distinto.
Ma guarda questo stronzo, disse Priscilla.
Non scendo neanche per il cazzo, disse Peter.
L’uomo distinto guardò Ana Rosa sul sedile dietro, le sorrise.
Che le è successo? Domandò.
Ana Rosa aveva appena smesso di piangere. Era gonfia e rossa.
Fatti i cazzi tuoi, disse Peter.
Poi scese dall’automobile.
Il tizio distinto si scostò di qualche metro. L’area di sosta era deserta e disseminata di ghiaia e pietre. C’era un sole abbagliante.
Sono sceso perché devo pisciare, non certo perché me lo hai detto tu, disse Peter al tizio distinto.
Gli handicappati dovrebbero avere un posto privilegiato, in questo mondo, attaccò il tizio distinto.
Ma che cazzo farnetichi, gli abbaiò in faccia Peter.
Ma vaffanculo, disse Priscilla, che nel frattempo era uscita dall’automobile.
Questo mondo insensato, disse il tizio distinto, si fonda sulla possibilità che due idioti come voi possano fregare una povera donna handicappata. Il nostro mondo si fonda sulla possibilità che due idioti come voi entrino in un bar, una mattina qualunque, e urlino ai quattro venti che sono in possesso di un biglietto vincente di una stupida lotteria. Il nostro mondo si fonda sulla cattiveria, sull’opportunismo, sull’immoralità.
Ma che cosa stracazzo stai blaterando, disse Peter.
Ana Rosa cominciò a ridere.
Rispondi, disse il tizio distinto: questo è un luogo pietroso?
Ma fottiti, disse Peter.
È o non è un luogo pietroso, ripeté il tizio distinto.
Non me ne frega un cazzo se è un luogo pietroso, gridò Peter, chi cazzo se ne frega.
Sì, disse Priscilla, è un cazzo di luogo pietroso.
Dopo la luce rossa delle torce sui volti sudati, disse il tizio, e dopo il silenzio gelido nei giardini, viene l’angoscia nei luoghi pietrosi.
Peter non riusciva a capirci niente. Ana Rosa rideva sempre più forte.
Che cazzo ridi, urlò Peter ad Ana Rosa.
Fanculo ai luoghi pietrosi, disse Priscilla.
Del resto la passione travolge anche le piccole vite, proseguì il tizio distinto, fiori e insetti non ne sono immuni, ricalcitrando s’accoppiano nascosti dagli scarponi, dall’asfalto, dalle pietre, dai battistrada; inanimate s’intrecciano fra loro, brulicando nei cortili delle case, negli stabbi, nei mercati. Non si amano, non si parlano, si guardano di sfuggita e di sfuggita vanno.
Questo è completamente suonato, disse Peter a Priscilla.
Ana Rosa sembrava divertirsi un sacco ad ascoltare la litania del tizio.
Fu in quel momento che il tizio distinto estrasse una pistola dalla tasca destra della giacca.
Che figlio di puttana, disse Peter.
Vaffanculo, disse Priscilla.
Che cazzo vuoi, domandò Peter.
Sono colui che è contro l’intelligenza, disse il tizio con la pistola.
Colui che è contro che cosa, domandò Priscilla.
L’intelletto fa il suo corso, disse il tizio con la pistola, coltivando radici di follia al mattino quando il sole picchia sul vetro e si riflette sul crocifisso della parete, eccitando la mente dopo mezzogiorno, quando le nuvole portano buio e pioggia e il crocifisso è caduto sul marmo duro, rubando amore e odio la sera, quando le stelle affogano nel fiume e gli uomini s’incontrano a meditare chiusi nelle stanze delle cascine.
Cosa sei, domandò Peter, una specie di prete di merda?
Il tizio con la pistola non prestava alcuna attenzione a Peter e Priscilla.
Di scintilla in scintilla, continuò, come goccia nel lago che genera anelli, si tende come corda di arco, scagliando frecce finché la forza lo sostiene, degenera in follia, stanca elucubrazione, vecchiezza malata e sola, oppure travolge la potenza giovane, la inerme maturità, denuda grasse vite fino a spogliarle come rami invernali, le brucia come carne guasta.
Priscilla e Peter si guardavano immobili, mentre Ana Rosa continuava a ridere come una pazza.
Falla stare zitta porca puttana o l’ammazzo, disse Priscilla.
Peter non mosse un dito. Aveva la canna di una pistola con silenziatore puntata al naso.
Se veniste quaggiù, riprese il tizio, scavando nel sottosuolo, o ritornando di sopra, trovereste piccole vite colme di passione e null’altro, la bacca selvatica, il verme strisciante nello sporco, i ratti sguscianti nelle fogne, piccole vite agitate, contorte, inutilizzabili per risolvere algebra o sistemi comparati, incapaci di pregare o comprendere dio, piccole vite tenute al caldo d’inverno dalla legna umida e dalla terra smossa che brulicano senza degnare di sguardi il mondo cinguettante. Se veniste quaggiù, dove mi trovo io, ci sarebbero lunghe angosce striscianti su luoghi pietrosi.
Vaffanculo, disse Priscilla.
E cosa viene dopo l’angoscia in luoghi pietrosi? Domandò il tizio.
Peter non rispose.
E di’ qualcosa, cristo, urlò Priscilla.
Per esempio, riprese il tizio, viene la paura di una mezzasega come te. Oppure l’isterismo di una gallina snervante come la tua fidanzatina, qui. Mi viene da ridere, continuò il tizio distinto, a pensare che ho già visto tutta la faccenda che state vivendo, l’ho già presofferta e gustata, sapevo come sarebbe andata a finire appena vi ho incontrati. E se iniziassi a raccontare la storia di voialtri imbecilli a cento persone, tutte e cento saprebbero dirmi come andrà a finire prima della metà. Bella scena: c’è il ragazzo idiota, la sua fidanzata ignorante e avida, c’è la purezza, che è Ana Rosa, e ci sono i soldi, forse la sola cosa per cui vale la pena di ammazzare qualcuno. E poi ci sono io.
E chi cazzo saresti tu, disse Peter.
Priscilla si era messa a piangere.
Io sono quello che racconta la storia, disse il tizio distinto.
Poi sparò tre colpi; i primi due proiettili raggiunsero la fronte e il petto di Peter, il terzo la fronte di Priscilla. Rovistò brevemente nelle tasche dei due, trovò il biglietto senza difficoltà.
Si avvicinò ad Ana Rosa.
Va tutto bene, le disse.
Spinse l’auto di Peter nella boscaglia a lato dell’area di servizio, in direzione del gasometro.
Va tutto bene, disse il tizio distinto ad Ana Rosa. Prese il fazzoletto, le ripulì la bava dall’angolo della bocca. Sei una brava ragazza. Svitò il tappo del carburante, riuscì a impregnare il fazzoletto di benzina, lo incendiò.
Vai nel posto migliore che ti sia mai capitato di visitare, disse il tizio distinto ad Ana Rosa.
A quell’ora c’erano trentadue gradi, ma a causa dell’umidità il corpo umano ne percepiva trentanove.
Il fiume Tevere era tre metri sotto lo zero idrometrico e dal fondale affioravano una lavatrice, un paio di armadi e la statua rubata alla Chiesa del Cristo Redentore dodici anni prima.