È tutto asciutto

di Gian Marco Griffi
Copertina di Andrea Herman

Vittorio Bruma, poiché era finito in un grosso guaio, per raggranellare qualche soldo decise di sfruttare la sua particolarità presentandosi a una selezione per cavie di uno studio sull’emotività umana seguìto ventiquattrore su ventiquattro da un’equipe medica altamente qualificata.
La particolarità di Bruma, assicuratore cinquantenne, era quella di non riuscire, o meglio di non potere, piangere, avendo presumibilmente l’apparato lacrimale poco o per nulla sviluppato (o almeno così credeva).

Rispose a un annuncio che diceva: “stiamo cercando persone la cui emotività non riesca a esprimersi mediante lacrimazione per studiare scientificamente le conseguenze dell’incapacità umana di manifestare le emozioni nell’era della collettività virtuale e della solitudine reale. Lo studio sarà condotto da un’equipe medica all’interno del Laboratorio Analisi sulla Sensibilità Umana di Sabbione Centro e in ogni altro luogo in cui gli esperti riterranno opportuno condurre analisi o osservazioni. Durata cinque giorni, pagamento in contanti, metà subito l’altra metà a lavoro ultimato”.
Bruma si presentò al laboratorio un mercoledì pomeriggio, attese un’ora in una sala profumata dopo di che fu accolto da una certa dott.ssa Reynaldi, la quale gli strinse la mano, gli mise sotto al naso un piatto pieno di cipolla appena tagliata e gli domandò: “da quanto tempo non palesa il fenomeno secretomotore caratterizzato dall’effusione di lacrime da parte dell’apparato lacrimale senza alcuna irritazione per le strutture oculari?”Bruma non disse nulla.
“Insomma, da quanto tempo non piange, signor Bruma?”.
“Più o meno da quarantacinque anni”, rispose Bruma. Poi cominciò a piangere, per via della cipolla.
“Meraviglioso”, disse la Dott.ssa Reynaldi.
“Sono scartato?”, domandò Bruma.
“Per nulla!”, esclamò la dottoressa Reynaldi, “il fatto che lei abbia pianto a causa della cipolla dimostra che il suo non è un problema fisico, ed è precisamente ciò che cerchiamo”.
Lo scritturò immediatamente per i test.
“Ero l’unico candidato?”, domandò Bruma.
“Ce n’era un altro, ma lo abbiamo scartato dopo dieci minuti, non ha superato il test della cipolla”, disse la dott.ssa Reynaldi.
“Come procediamo?”, domandò Bruma.
“Cominciamo domani. Deve trasferirsi qui in laboratorio per cinque giorni”, disse la dott.ssa Reynaldi. “Porti solo lo stretto necessario, uno spazzolino e tre o quattro paia di slip. Per il resto le forniremo noi gli abiti adatti”.

Il giorno dopo Bruma si ritrovò seduto di fronte a tre professori e cinque telecamere indossando una tuta bianca recante un’etichetta con la scritta cavia.
“Negli ultimi quarantacinque anni ci sono state occasioni per cui, secondo il pensiero comune, avrebbe dovuto manifestare la sua emotività mediante lacrimazione?”, gli domandò la dott.ssa Reynaldi.
“A parte qualche lutto, un paio di incidenti domestici, cinque o sei cani morti, ho perso quasi tutti i capelli e non vendo una polizza da quindici mesi; sono pieno di debiti e mia moglie si è portata via le mie due figlie adottive, che amavo come figlie naturali. Non volevo figli, ma ammetto che quelle due bambine…”.
Ci fu una pausa durante la quale la dott.ssa Reynaldi temette che Bruma potesse cominciare a piangere, invece non lo fece. “Inoltre l’altra mattina camminando scalzo ho sbattuto il mignolo del piede destro contro lo spigolo del letto”, disse.
“E non ha lacrimato?”, domandò il dr. Pompoj.
“No”, disse Bruma fermamente.
“Stupefacente”, disse il dr. Krug.
“Signor Bruma, risponda a una domanda”, disse la dott.ssa Reynaldi. “Lei è triste?”.
“Moltissimo”, rispose Bruma.
“Questo è un bel modo per cominciare”, intervenne il dr. Krug.
“E si sente alienato?”, chiese il dr. Pompoj.
Bruma osservò brevemente le sue scarpe, poi cercò di trovare una risposta adatta alla domanda.
“Insomma”, lo anticipò la Dott.ssa Reynaldi, “trova che il suo modo di manifestare le emozioni sia in qualche modo, come dire, una diretta conseguenza dei tempi che stiamo vivendo? In altri termini, la virtualità opprimente cui siamo sottoposti può condurre un uomo a essere completamente incapace di piangere? O, per dirla ancora in un altro modo, si sente arido?”.
Bruma non capì completamente la domanda, cionondimeno annuì.
“Nei prossimi giorni la sottoporremo ad alcuni esperimenti scientifici approfonditi”, disse uno degli studiosi. “Naturalmente se lei è d’accordo”.
Bruma si disse d’accordo e ricevette un assegno di tremilacinquecento euro. Inoltre gli applicarono decine di sensori per monitorare il battito cardiaco, la frequenza elettromagnetica, la pressione arteriosa, ecc.
“L’assenza di lacrimazione le ha procurato o le procura disturbi fisici, Signor Bruma?”
“Ho la pressione bassa e il colesterolo alto”.
“Molto bene”, disse la dott.ssa Reynaldi, “le piace il cinema?”.
“Sì”, rispose Bruma, “anche se è da quasi tre anni che non ci vado”.
Prima di cominciare la dott.ssa Reynaldi informò Bruma che durante il periodo degli esperimenti avrebbe dovuto inghiottire una dozzina di pastiglie al giorno, a orari prestabiliti.
“Di che si tratta?” domandò Bruma.
“Niente di cui preoccuparsi”, disse la dott.ssa Reynaldi, “più che altro ansiolitici o antidepressivi sperimentali”.
“Non si era parlato di farmaci”, si lamentò Bruma.
La dott.ssa Reynaldi lo convinse aumentando la paga del doppio, inoltre gli comunicò che aveva diritto a una telefonata al giorno, subito prima di cena.

Bruma chiamò un tizio che aveva piazzato una scommessa forte sulla Giostra del Peccato.
“Hai puntato quattromila sul tacchino corrispondente all’accidia? Decollazione al primo colpo? Cavalcatore Gillo Maumè?”
“Come da tue istruzioni”.
“Se perdo sono fottuto”.
“Non vincerai mai. È una scommessa folle. Troppe variabili. Comunque, quando mi dai i soldi?”.
“Appena torno”.
“Dove ti trovi?”
“Ho deciso di fare la cavia per un esperimento scientifico”.
“Che vergogna”, rispose il tizio, “era proprio necessario sminuirsi in questo modo?”.
“Assolutamente necessario”, rispose Bruma.
“Ti faranno male?”, chiese il piazzista.
“Ho bisogno di soldi”, rispose Bruma, “se voglio scommettere e salvarmi la pelle”.
“Finirai per farti avvelenare il sangue”, disse il piazzista. “Vedi almeno di non crepare prima di avermi pagato il debito”, e riattaccò.
Poiché gli restavano ancora quaranta minuti prima di cena, Bruma poté dedicarsi al suo secondo hobby preferito (dopo il modellismo ferroviario): comporre sciocchi esercizi di stile privi di vita e passione da indirizzare alla propria ex moglie mediante raccomandata postale; ne aveva scritti circa centoventi, tutti riferiti alle proprie caratteristiche somatiche (per es. caviglie, attaccatura dei capelli, polsi, sopracciglia, mento, ecc). Quel giorno si osservò allo specchio, osservò le sue sopracciglia abbastanza dense, ne misurò la distanza con uno strumento di fortuna e compose un esercizio di stile freddo e caustico a cui diede il titolo “Sopracciglia”.

Dopo cena fu il momento dell’esperimento cinematografico.
Quando entrò, la sala era completamente deserta. Bruma fu lasciato libero di scegliere il posto che preferiva, e quando si fu accomodato una voce gli domandò se era perfettamente a suo agio e se desiderasse qualcosa, come per esempio una coca-cola o un bicchiere di popcorn.
“Sono a posto così”, rispose Bruma, e inghiottì il primo farmaco, una pasticca gialla di forma trapezoidale.
Il primo film che proiettarono suscitò alcune chiose da parte degli studiosi. In particolare essi non riuscivano a concordare su una questione centrale, cioè se i film trascelti potessero effettivamente procurare un’emozione manifestabile attraverso la lacrimazione, oppure no.
Il film in corso era Philadelphia, con Tom Hanks.
“Non capisco per quale ragione un tizio malato di AIDS dovrebbe suscitare un’emozione manifestabile attraverso il pianto”, disse il dr. Pompoj piuttosto commosso.
“Un tizio malato di AIDS suscita lacrimazione nel cinquantanove percento dei tester, un tizio licenziato dal lavoro in quanto malato di AIDS suscita emozioni manifestabili mediante lacrimazione nel novantasette percento dei tester”, disse il dr. Krug asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di carta e spulciando una cartellina rossa.
Avevano stilato un elenco di film lacrimosi sottoponendo un campione di centoquaranta maschi adulti alla visione solitaria di quarantanove film, e Philadelphia era in cima alla lista, seguìto da Qualcuno volò sul nido del cuculo, Titanic e Braveheart.
Ciononostante, anche nelle scene classificate come strappalacrime, Bruma (che aveva una telecamera puntata addosso in modo che gli studiosi potessero controllare in tempo reale le sue reazioni), non pianse neppure un po’. Il suo volto traspariva una certa afflizione, o contrizione, pur tuttavia il suo apparato lacrimale non produsse una sola lacrima.
“Proviamo con Titanic?”, domandò la dott.ssa Reynaldi terribilmente commossa dalla morte di Tom Hanks.
“Che ne dite invece di Fuga per la vittoria, o della finale dei mondiali di calcio 1982?”, suggerì il dr. Krug.
Alla fine decisero di abbandonare il cinema e sottoporre Bruma a un nuovo test.

“Signor Bruma, lei è cattolico?” domandò la dott.ssa Reynaldi.
“Non propriamente”, rispose Bruma.
“Ma la sua cultura è cattolica?”.
“Sono andato a catechismo”.
“E perché ci è andato, signor Bruma?”
“Mi costringevano a farlo”.
“Non avrebbe preferito andarsene in giro per i prati, oppure a fumare con i suoi amici?”
“Può darsi”.
“Nonostante ciò è andato a catechismo lo stesso”.
“L’ho fatto”.
“E durante gli anni del catechismo non ha maturato coscienza del suo cattolicesimo?”.
“Direi proprio di no”.
“È davvero sicuro di non essere cattolico?”
“Sicurissimo”.
“Inghiotta il farmaco”.
Bruma inghiottì una pasticca rossa e blu di forma ovoidale.
“Lei è cattolico, signor Bruma. Non adesso, forse. Non ancora. Ma lo è stato, e lo sarà ancora. Siamo tutti cattolici”.
“Io non lo sono”, tagliò corto Bruma.

Cionondimeno, visto che il programma dei test lo prevedeva, decisero di procedere ugualmente con l’esperimento religioso, che consisteva nel rinchiudere Bruma in uno stanzino completamente vuoto a eccezione di un crocifisso appeso alla parete. Del resto uno studio dell’università di Harvard aveva dimostrato che alcuni soggetti, definiti cattolici sopiti, anche dopo aver giurato di non ritenersi cattolici, manifestavano violente reazioni lacrimali se sottoposti, in solitudine, alla visione prolungata di un crocifisso.
Dopo tre ore Bruma si addormentò, e l’esperimento fu interrotto.

Il terzo giorno fu svegliato da una musica che non riconobbe, gli fu servita un’ottima colazione, inghiottì una pasticca marrone chiaro di forma tondeggiante, e fu accompagnato in una camera buia nella quale c’era una grande vetrata. Dall’altra parte della vetrata poteva distinguere chiaramente un laboratorio.
Dall’interfono vibrò una voce.
“Signor Bruma, è pronto?”, era la voce della dott.ssa Reynaldi.
“Per cosa?”, domandò Bruma.
“Questo è l’esperimento animale”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi.
Bruma non comprese di cosa si trattasse e rispose di essere pronto.
Immediatamente all’interno del laboratorio fecero entrare una lucertola. La lucertola lucertolò per un paio di minuti, durante i quali Bruma manifestò una certa noia.
Poi immisero nel laboratorio un gas appena visibile a occhio umano.
“È un veleno mortale”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi.
Bruma comprese che l’esperimento consisteva nel fargli assistere a esperienze in cui gli animali morivano come mosche. Infatti la lucertola morì in pochi secondi.
Bruma non fece una piega.
“Ci tengo a precisare”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi, “che se lei piangerà l’esperimento sarà immediatamente interrotto”.
Nello stesso momento un criceto entrò nel laboratorio. Bruma comprese che le cose si mettevano male.
“Devo proprio farlo?”, domandò.
“Abbiamo la sua firma sui moduli”, disse la voce della dott.ssa Bruma.
Il criceto si avvicinò alla vetrata, annusò l’aria un paio di volte scrollando simpaticamente il muso, grattò contro il vetro, subì uno spasmo, iniziò a respirare a fatica.
Bruma fece per afferrarlo attraverso la vetrata. Avrebbe voluto salvarlo, non aveva dubbi.
In tre minuti il criceto era morto soffocato.
“Siete disumani”, mormorò Bruma.
Un dottore entrò nel laboratorio, prelevò il cadavere del criceto e uscì.
“Non è giusto”, disse Bruma, tuttavia non pianse e l’esperimento dovette continuare.
Nel laboratorio entrò un vitello.
“Si rilassi”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi.
“Fermate tutto”, disse Bruma, “non voglio guardare”. Si coprì gli occhi con le mani.
“Signor Bruma”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi, se lei non guarda sarò costretta a interrompere tutto. E se interromperò tutto lei dovrà rinunciare al suo compenso”.
Bruma pensò che i soldi gli servivano maledettamente e tolse le mani dagli occhi.
Un paio di dottori in camice verde entrarono nel laboratorio. Il vitello se ne stava sulle sue, guardava intensamente Bruma, anche se in realtà non poteva vederlo, dacché la parte posteriore della vetrata era uno specchio.
Uno dei due dottori con il camice verde accarezzò il vitello, l’altro estrasse una pistola sparachiodi, la appoggiò delicatamente alla tempia della bestia e sparò. Il vitello crollò al suolo seduta stante.
“Rinuncio ai soldi”, urlò Bruma prendendosi la testa tra le mani, “non li voglio. Pazzi schifosi, smettete immediatamente”. Ciononostante non pianse.
“Signor Bruma, le viene da piangere?”, domandò la voce della dott.ssa Reynaldi.
“Vorrei piangere”, disse Bruma con voce debole. “Vorrei farlo da quando avevo sei anni”.
In quel momento all’interno del laboratorio entrò un cane. Si trattava di un simpatico pastore tedesco, giocoso e in perfetta salute.
“Kruger ha quattro anni”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi.
Bruma colpì con un pugno la vetrata, poi si lanciò contro la porta dalla quale era entrato, ma questa era impenetrabile.
“Potrebbe interrompere tutto semplicemente piangendo”, disse la voce della dott.ssa Reynaldi.
Il respiro di Bruma era affannoso, il battito impazzito, sentiva una forte emicrania e aveva voglia di vomitare. Ma non pianse.
Un dottore in camice bianco entrò nel laboratorio. Il cane lo accolse come un cane accoglie il proprio padrone: cominciò a scodinzolare, a emettere i tipici suoni da cani, si avvicinò al dotto-re e lo leccò ripetutamente su una mano, sul volto, eccetera.
Bruma aveva la nausea. Non riusciva più a pensare, stava tre-mando. Due assistenti della dott.sa Reynaldi scommisero che questa volta avrebbe pianto. La dott.ssa Reynaldi li ammonì severamente.
“Come si sente, signor Bruma”, domandò la voce della dott.ssa Reynaldi.
Bruma non rispose. Pensava che avrebbe potuto svenire, ma sfortunatamente non svenne.
Il dottore all’interno del laboratorio, che nel frattempo stava giocando con il cane, tirò fuori dalla tasca una polpetta di carne. Il cane la mangiò scodinzolando.
Bruma imprecò e vomitò ma non pianse.
Il cane, mangiata la polpetta, si distese su un fianco. Guardava il dottore e continuava a scodinzolare. Il dottore nel laboratorio iniziò a piangere. Anche la dott.ssa Reynaldi non riuscì a trattenere qualche lacrima.
Il cane morì scodinzolando. Ci mise all’incirca sei minuti.
Bruma restò immobile, terrorizzato. Non pianse.
Due inservienti aprirono la porta, lo presero di forza e lo riportarono nella sua stanza.

Il quarto giorno fu svegliato da una musica che non riconobbe, gli fu servita un’ottima colazione, inghiottì una pasticca grigia e verde di forma triangolare e fu accompagnato nell’ufficio della dott.ssa Reynaldi.

“Signor Bruma, lei a cosa tiene?” gli domandò la dott.ssa Reynaldi. “Voglio dire, c’è qualcosa a cui tiene particolarmente?”.
“Tutto ciò che mi rimane è un gatto”, rispose Bruma.
“Un gatto?”
“Un gatto a cui tra non molto mancheranno il latte e i croccantini”.
“Niente altro?”
Bruma osservò la scrivania della dott.ssa Reynaldi.
“Una cosa ci sarebbe”, disse poi.
“Si confidi con me”, disse la dott.ssa Reynaldi.
“Il mio plastico ferroviario, ci ho lavorato trentacinque anni”.
“Stupendo, signor Bruma, non deve vergognarsi di avere un hobby, avere un hobby è meraviglioso”.
“Trova che sia meraviglioso?”, domandò Bruma.
“Trovo che sia una cosa molto dolce”, confermò la dott.ssa Reynaldi.

Immediatamente dopo condussero Bruma in una sala illuminata a giorno per sottoporlo all’esperimento dell’umiliazione.
Questa volta non fu fatto sedere. Restò in piedi al centro della stanza, trafitto da una luce abbagliante che per quanto ne sapeva avrebbe potuto procurargli un’ustione agli occhi.

“Signor Bruma, non sente di aver sbagliato tutto?”, gli domandò improvvisamente una voce che riconobbe, era quella della dott.ssa Reynaldi.
“Beh..”
“La sua situazione non le ha spalancato le porte dell’insensatezza e dell’angoscia? Non si sente inadeguato?”
“Insomma..”
“Lei è inadeguato, signor Bruma. Lei è un mediocre Ispettore, un mediocre giocatore d’azzardo, un mediocre marito, un mediocre padre. Non è neppure in grado di badare a un gatto”.
“Ci ho provato, mi creda.”
“Ma non ci è riuscito. Il suo gatto attende una ciotola di croccantini che lei non può permettersi di procurargli”.
“Mi sento mortificato”.
“Pensi al suo gatto, signor Bruma; non sarebbe meglio lasciare che di lui si occupi qualcun altro? Magari una clinica per gatti? Magari qualcuno capace di non sperperare i suoi soldi in bische clandestine, che possa permettersi di acquistargli una scatola di biscotti?”.
“Ci sono affezionato”.
“Ma lui è affezionato a lei?”
“Sembra di sì..”
“Lo lasci andare, signor Bruma. Deve ammettere che per il bene del suo gatto sarebbe meglio che una vera famiglia lo accogliesse”.
“È un gatto terribilmente affettuoso..”
“Lei, signor Bruma, non è una famiglia”.
“Sto benissimo anche da solo”.
“Parla così solo perché è stato abbandonato dalla sua famiglia”.
“Non dica così”.
“Sta per piangere, signor Bruma?”
“Probabilmente vorrei, ma non ci riesco”.
“Inghiotta la pasticca viola”.

Quando si spense la luce Bruma notò una televisione appesa alla parete di fronte a lui. Il poveraccio rimase in silenzio, indeciso su cosa fare; la sua espressione era contrita, quasi disperata. Pensò brevemente al suo debito, poi cominciò a mangiarsi le unghie.
Dopo circa quindici minuti sullo schermo apparvero le immagini di un luogo che Bruma conosceva bene, essendo l’interno del suo seminterrato, dove egli custodiva il suo plastico ferroviario.
Le inquadrature in diretta spaziavano su numerosi treni Märklin, sulle colline fedelmente ricreate, sui ponti, sulle strade e sui dettagli curatissimi delle stazioni ferroviarie, del porto, della cremagliera.
Osservando quello spettacolo Bruma ebbe un moto d’orgoglio.
“Qualcosa di buono l’ho fatto”, disse; “questo plastico è indubbiamente l’opera di un uomo che possiede delle qualità”.

Mentre Bruma fissava il monitor riflettendo sul frutto del proprio lavoro, cinque uomini travestiti da pompieri fecero irruzione nel suo seminterrato e cominciarono a distruggere il plastico utilizzando quelle che apparentemente sembravano mazze da baseball, giacché erano, mazze da baseball.
Bruma soffocò un grido.
Il primo colpo sfasciò la riproduzione di una stazione ferroviaria di montagna che gli era costata un mese e mezzo di lavoro nel millenovecentonovantuno. I binari si frantumarono e la polvere si levò fino al soffitto.
Bruma rimase paralizzato.
“Fermi!”, urlò.
Il secondo e il terzo colpo raggiunsero il porto e la cabinovia del Monte Bianco, che Bruma aveva edificato nel maggio millenovecentosettantanove.
“Cosa vi ho fatto di male?”
Un altro colpo distrusse la centralina per lo smistamento dei convogli, che egli progettò a più riprese dal settantasette in poi.
“Fermatevi!”, urlò ancora Bruma.
Il colpo più tremendo fu inferto alla riproduzione di un condominio con meccanismo temporizzato per l’emissione di piccoli gemiti, rumori di stoviglie, luci accese/spente, sciacquoni del water, ecc., che Bruma riteneva giustamente il fiore all’occhiello del suo plastico, l’esempio concreto della sua meticolosità nel definire anche e soprattutto i dettagli più insignificanti.
“Questa deve essere la punizione per aver accettato una cosa umiliante come far da cavia in un esperimento scientifico, la punizione per essere stato un pessimo padre e un pessimo marito, la punizione per non essere stato un buon cattolico”, disse tra sé e sé, farfugliando e urlando.
Altri colpi frantumarono la riproduzione di una ferrovia del far west con treno a carbone e quella di un Minuetto delle Ferrovie dello Stato che Bruma aveva ricevuto in dono dalla figlia più grande tre Natali prima.
“Il Minuetto no!”, gridò Bruma.
Con altri, innumerevoli, colpi, gli uomini travestiti da pompieri frantumarono il plastico ferroviario di Bruma. Egli rimase impietrito a osservare lo scempio per un tempo innaturale, con il volto a cinque centimetri dallo schermo. Provò a toccare i resti del suo lavoro, ma i polpastrelli non potevano oltrepassare il vetro dello schermo. Se ne rese conto e chinò il capo, ma non versò neppure una lacrima.
Rimase fermo e in silenzio per venti minuti.
“Lei è un uomo buono, signor Bruma”, gli disse tramite interfono la dott.ssa Reynaldi.
“Il mio plastico..”, sussurrò Bruma.
“Quella che ha appena visto è finzione, una ricostruzione renderizzata della distruzione del suo plastico, se mi passa il gioco di parole. Stia tranquillo, quando tornerà a casa lo troverà perfettamente integro”.
Bruma si sentì investire da un’ondata di benessere e gioia.
Gli portarono un whisky e una pasticca grigia di forma quadrata, e quando si fu calmato un’infermiera lo accompagnò alla biblioteca del laboratorio, dove lo fece accomodare presso una postazione ben illuminata.
Dopo qualche minuto la dott.ssa Reynaldi si scusò per la faccenda del plastico, offrì ad Bruma un caffè e gli porse un quotidiano.
“Credevo di prendere un infarto”, disse Bruma.
“La sua frequenza cardiaca è sempre stata sotto controllo”, disse la dott.ssa Reynaldi. “Riteniamo tuttavia che la sua disfunzionalità lacrimale possa maturare una propensione a stati depressivi anche gravi”
“Lo crede davvero?”.
“Signor Bruma, apra il quotidiano alla pagina che preferisce e cominci a leggere le notizie”.

Bruma lesse la notizia di una strage da qualche parte, dodici morti. Lesse di una bambina di sette anni stuprata da un ministro di dio. Lesse di un cinese morto ammazzato per questioni politiche. Lesse della crisi immobiliare. Lesse di undici uomini che si erano fatti saltare il cervello per qualche forma di protesta che non gli riuscì di chiarire. Lesse di uno stato dell’Africa in cui ogni giorno muoiono tredicimila bambini (ma forse l’articolo si riferiva all’intero continente) e intraprese una serie di conti per scoprire quanti bambini morissero al mese, al giorno, al minuto, al secondo.
Si domandò quanti litri di inutili lacrime versavano ogni minuto i genitori di questi bimbi, poi pensò che gli sarebbe piaciuto, per una volta, provare a piangere, tanto per scoprire l’effetto che fa.
Lesse di una fabbrica che inquinava un fiume e una valle, di migliaia di persone malate, poi richiuse il quotidiano.
Tali notizie, per quanto lo disgustassero, o lo ripugnassero, sebbene i due impulsi fossero praticamente equivalenti, non produssero in lui alcuna reazione corrispondente alla lacrimazione. Tutt’al più una forte nausea, che lo costrinse a interrompere la lettura e a rifugiarsi in bagno.

“Lei è incapace di piangere”, disse la dott.ssa Reynaldi prima di consegnare nelle mani di Bruma la seconda metà del compenso pattuito.
“Ve l’avevo detto”, disse Bruma con una punta di amarezza.
“Inghiotta l’ultima pasticca e se ne torni a casa dal suo gatto, signor Bruma”, disse la dott.ssa Reynaldi, “lei rappresenta l’uomo di oggi. La sua aridità lacrimale è un simbolo, solo non sappiamo ancora di cosa. Ma siamo pagati per scoprirlo, e lo scopriremo”.
Bruma, annuì, inghiottì l’ultima pasticca, ringraziò e mise l’assegno nel taschino della camicia.
“Addio, Signor Bruma. Oltre alla paga pattuita ci permetta di regalarle un soggiorno presso la struttura alberghiera lacustre convenzionata con il nostro Centro”.
“Grazie. E addio, dottoressa”.

A casa Bruma rovesciò un’abbondante quantità di croccantini nella ciotola del gatto e quando aprì la porta del seminterrato trovò il suo plastico ferroviario completamente distrutto, raso al suolo, sbriciolato. I treni deragliati e spezzati a metà, l’impianto elettrico fracassato, la casa del doganiere crollata. Trentacinque anni di lavoro massacrati.
Prese in mano i resti di un ponte sospeso perfettamente in scala, si mise in ginocchio e guardò l’immagine del suo volto riflessa nei cocci dello specchio frantumato che aveva utilizzato per rendere l’ambiente più luminoso. Sulla porzione intatta dello specchio c’era scritto “saluti dal tuo amico Blikfitter” con un rossetto viola.

Bruma rimase in quella posizione per quattro ore, durante le quali da un certo punto di vista non piangeva affatto, sebbene da un altro punto di vista piangesse quanto mille genitori africani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *