di Natalia Guerrieri
Copertina: Questo caffè è una chiavica – Antimonio
I giorni a Roma sono bianchi, un bianco latteo. Le strade fanno odore, l’odore sale dal basso verso l’alto insieme ai riflessi dei raggi del sole. Cammina, mettendo un piede dopo l’altro sul marciapiede irregolare, costellato da buchi, crepe, spazzatura, merde di cane. Pensa che ha degli orribili piedi, mentre cammina, se li guarda e constata per l’ennesima volta che sono troppo lunghi, troppo magri, con dita piccole e storte come radici di zenzero. I sandali di pelle nera le fanno sudare le piante e anche quelle fanno odore e faranno sempre più odore nel corso della tiepida giornata di maggio che Kelly si è decisa a affrontare uscendo di casa. Però la polvere potrebbe seppellire tutto, pensa, anche le cupole, i campanili, i monumenti romani, e allora niente farebbe più odore. C’è tantissima polvere a Roma, tantissimo disgregarsi generale di esseri viventi, cose, l’universo che va sbriciolandosi copre lentamente tutto come un velo. Autoseppellimento, pensa Kelly. L’autoseppellimento è impossibile, a meno che non ci si seppellisca vivi. Restare sotto le coperte del suo monolocale arroccato al settimo zona Tiburtina sarebbe stato autoseppellirsi da viva. Ma invece è uscita. Si guarda riflessa in una vetrina. Ricci capelli neri, cioè tinti di nero, un naso imponente. Occhiali. Ossuta. Kelly è ossuta, si definirebbe ossuta. Marionetta fatta di ossa, tac, tac, tac. Tac. Si muove a marionetta, si gira di scatto, un uomo la evita passando. Prima però di arrivare dove deve arrivare le spetta – per il fatto di essersi disseppellita e di muoversi scattante ora per le vie – un cappuccino, un cappuccino e un cornetto.
Il bar è vecchio, vagamente sporco, sicuramente contenente molta polvere. Polvere di quelli che c’erano ieri e ora dove sono? Per quanto tempo rimangono in circolazione le cellule di quelli che sono sotto terra? Dietro la vetrinetta Kelly agita il dito e dice voglio quello lì, alla crema. Marmellata di albicocca? Nemmeno a pensarci. Nemmeno se fosse l’ultimo cornetto alla fine del mondo. Se Kelly deve pensare di uscire di casa per poi ritrovarsi a addentare un cornetto all’albicocca allora tanto vale non mangiare, e non uscire dal letto, e non fare niente. Col cazzo che si mangia un cornetto all’albicocca. Col cazzo. Già che ci siamo brioche vuota, dai. Per celebrare lo schifo e la tristezza del mondo di prima mattina. Brioche vuota allora tanto valeva non mettersi nemmeno la sveglia per alzarsi. La schiuma è fredda e il caffè potrebbe essere meglio, potrebbe essere un 10 invece è un 7 ma va bene così. Il cornetto è alla crema, va bene così. Hanno la tv accesa, e ci sono delle tette che danzano e poi anche dei corpi attaccati alle tette e delle facce attaccate ai corpi con le tette. Poi ci sono dei culi nello spazio. Il signore che sta alla cassa ha l’aria di uno che nella vita ha fumato tantissime sigarette ma proprio tantissime fino a asciugare tutta l’aria che aveva dentro, a vaporizzare tutta l’acqua. Kelly gli dice autoseppellirsi? E lui dice eh? Perché la gente quando ci parli davvero o fa finta di non capire o non capisce veramente niente. Allora un quanto le devo e un due e cinquanta bastano benissimo.
La gente a Roma ha cani piccoli così non deve rinunciarci. Cani piccoli, pasti piccoli, cacche piccole ma numerosissime. Ne schiva una. Pestare una merda di cane con i sandali. Allora tanto valeva cercare quel cane e fargliela mangiare, la sua cazzo di merda, e un po’ anche al padrone che è un porcaputtana. Pensa Kelly. Ma poi si dice che si deve calmare, non l’ha pestata, dopotutto non l’ha pestata, e il cornetto era alla crema e il caffè arrivava almeno al 7 che è accettabile e quindi andiamo avanti. Si vede in un’altra vetrina. Pensa che tutto quello che c’è nella sua testa non va bene, non va per niente bene. Pensa che quello che invece dovrebbe esserci nella sua testa è una specie di essere-ninfa che si scandalizza, che mangia cornetti vuoti, che percepisce la propria persona come una rosa appena sbocciata e non come una marionetta che pensa di autoseppellirsi a cui puzzano i piedi. Piedi orrendi, per giunta. Se sei una ragazza sulle sedie ci stai in punta di culo, cammini tenendo su il culo, pensi ossessivamente alla forma del tuo culo. Così si fa, si dice Kelly, e scoppia a ridere da sola in mezzo alla strada e qualcuno la guarda male. L’appuntamento è alle 10. Ha salvato l’indirizzo sia sull’agenda sia sulle note del telefono ma comunque ogni tanto se lo ripete. Non si sono mai visti a casa sua, sempre solo in ufficio, o al bar, o sentiti per telefono. Lo avrebbe volentieri evitato, il fatto di andare a casa sua, ma non ci è riuscita. Dire di no non è bastato, anzi a lui è parso quasi un complimento, con quel no ha potuto vedere in lei la pudicizia della ninfa. Invece Kelly non vuole perché non vuole e il suo no era un vero no e ancora lo sarebbe, se potesse esserlo. Gli alberi sui due lati dello stradone formano con l’intreccio delle loro chiome una sorta di cupola, bassa e gravida, sarebbe bella se non fosse soffocante, pensa Kelly. Sarebbero belli gli alberi se non costeggiassero questa strada.
Apre la porta in camicia e la chiama ehi sciocchina. Ha dei pantaloni beige molto brutti. Ha i capelli unti, non si è fatto lo shampoo stamattina e puzza. Non puzza molto ma dato che quell’odore non è l’odore di Kelly, seppur anche dei piedi di Kelly, bensì il suo, un odore totalmente altro e estraneo che lei non vorrebbe assolutamente sentire, le fa venire da vomitare. Ma lui sorride, si sente probabilmente a suo agio in quell’aspetto casalingo e stropicciato, è proprio l’effetto che vuole dare, la barba sfatta, entra nella mia tana, piccola ossuta Kelly, entra, entra, vieni a rovistare fra il pattume lasciato aperto, il letto sfatto, le briciole sul tavolo. Convinto che tutto sia divino perché suo. Quanto tempo impiegheranno le molecole di lui che lei respirerà stando nella sua casa a uscire dal corpo di Kelly, a strisciare fuori dai suoi polmoni? Le viene da piangere ma si dice no, che non deve. È arrivata fin lì. Farà il lavoro più in fretta possibile e se ne andrà. Chiede se può sedersi, si siede, mette il computer sul tavolo, lo apre con impazienza, cerca il file. Lui blatera qualcosa a proposito di un caffè, lei non lo ascolta. Guarda le note che ha scritto al suo file, si concentra, inizia a parlare, spiega punto per punto cosa bisogna modificare nel copione ma poi si accorge che lui non c’è. È in bagno. Sui fornelli c’è una moka che spruzza caffè acquoso e bollente da tutte la parti, le finestre sono chiuse. Farsi seppellire. Si alza e apre la finestra, mette il naso fuori e respira. Non ci riesce. Prova a respirare, prova a calmarsi. Respira. Ha le vertigini, le formicolano le gambe. Torna a sedersi, lui esce dal bagno e le dice come stai bene oggi, e lei gli risponde che nel secondo atto la frase che Carol dice non ha senso, non ha proprio senso, Carol non la direbbe mai. Carol non esiste, ribatte lui, infilandosi la camicia nei pantaloni, sorridendo, bruciandosi le dita con la moka rovente. Kelly lo guarda e capisce che parlargli probabilmente non servirà a nulla ma dato che la pagano trecento euro al mese per farlo deve farlo. Gli spiega il punto di vista di Carol, gli fa vedere le battute che ha cambiato, che ha spostato, i numerosi errori di sintassi che ha corretto. Lui annuisce senza dare troppo peso a quelle cose. La ragazza fa il suo sporco lavoro, la paga per questo, lui non deve abbassarsi a sistemare gli apostrofi o le virgole. Kelly invece a ogni apostrofo mancato o di troppo sobbalza di stizza, evidenzia, sottolinea, corregge. Un lavoro certosino, che la sfinisce. Lui beve altro caffè. Lei sente il suo alito pioverle sui capelli. Le dice come stai bene, anche se gliel’ha già detto, le chiede ci sarai alle prove sabato, poi le dice hai dei bei capelli. Kelly si alza in piedi al colmo della nausea, vorrebbe dirgli che non ha dei bei capelli, che non sta così bene oggi e che non ci sarà alla prove sabato perché sarà già egregiamente occupata nell’attività di autoseppellirsi ma tutte queste cose insieme le fanno salire su un gran panico, insieme al cappuccino e al cornetto, così si piega in avanti come sotto a un colpo di frusta e vomita sul tavolo, sul pavimento, sui piedi di lui scalzi e pelosi.
Per un microscopico istante si sente proprio meglio. Liberata da un peso, capace di respirare, ha solo un pessimo sapore in bocca che è tuttavia poca cosa confrontato all’alito di lui e alla merdosa puzza della sua lurida casa.
Lui ha ancora il caffè in mano, si guarda i piedi nudi e i pantaloni, studia gli schizzi che lo hanno imbrattato. Non può crederci. Non dice niente, non la guarda, guarda se stesso, sporco del vomito di Kelly nella propria casa di prima mattina. C’è qualcosa che gli sfugge, che non capisce. Si guarda nello specchio, interrogando se stesso più che lei. Kelly sa che dovrebbe mormorare delle scuse ma non ce la fa, non le escono proprio dalla bocca. Lui finalmente la guarda, si spinge gli occhiali sul naso, si sposta il ciuffo dalla fronte. Lei è convinta che lui sia convinto di essere affascinante, forse addirittura bello. Ma su di lei quegli occhioni sgranati dietro la montatura modaiola non suscitano altro che un effetto comico. Le parte un risolino, vorrebbe tenerselo dentro, trattenerlo, ma proprio non ci riesce. Ride mordendosi le labbra, dicendosi basta Kelly, sforzandosi di pensare a cose tristi per smetterla ma anziché cimiteri, bare e malattie, che pure sono per lei pensieri tanto consueti, le ritorna in mente lui, sporco di vomito, del suo vomito, vomitevolmente affascinanti piedi scalzi e lerci, e ridacchia, sbuffa, fa un piccolo grugnito tirando su con il naso. Va verso il tavolo, spegne il computer, lo chiude, lo infila nello zaino, si volta verso la porta e fa tutti i passi necessari per raggiungerla. Lui, dietro di lei, dice ma aspetta scusa, che non è uno scusa di scuse ma le scuse che lui pensa che dovrebbe porgli lei semmai, e poi Kelly, e poi ma sei matta, e poi ma ti sembra, e poi ancora, roba da matti, tu sei fuori di testa, l’avevo sempre detto io. Ma le parole di lui non arrivano chiarissime a Kelly perché nella mente di lei nel frattempo ci sono voci acutissime che strillano fuori dalla cassa, fuori dalla cassa, e il rumore di chiodi che saltano, di sigilli che si rompono, i raggi del sole, i raggi del sole. Esce, scende le scale, ancora lui che dice ma scusa e i chiodini che prima mordevano il legno che saltano via come grilli, fuori dalla cassa! Si ripete in testa fuori dalla cassa, Kelly, via libera, fuori dalla cassa! Fuori, il vento spazza via la polvere dalle strade.