di Marco Esposito
Copertina: Chiara Casetta
Lascio che le parole mi scivolino addosso; le sento uscire dalla bocca di Sofia, piovono sulla mia testa, rimbalzano sul telo impermeabile che sono diventati i miei pensieri e gocciolano sul pavimento.
Sofia fa un altro passo e mi tocca la spalla. – Cerca di capire, lo sappiamo quanto eravate legati, ma il suo nome ha creato sempre scompiglio nella nostra famiglia. Lo sai i problemi che ci ha portato in questi anni.
Resto seduto col capo chino e conto le sillabe sparpagliate che si azzuffano ai miei piedi.
L’addetto delle onoranze funebri la chiama e me la leva di dosso. Sofia si sposta e si ferma a parlottare con lui sulla soglia della stanza. A loro si unisce anche l’altro mio cugino, Giuseppe, per decidere i dettagli del funerale e della sepoltura, prevista per domani mattina. I miei cugini non vedono l’ora di concludere la faccenda per ripartire senza guardarsi indietro.
Do un’ultima occhiata al cadavere di mio zio, poi mi alzo e passo in mezzo alle loro chiacchiere senza chiedere permesso.
Esco nel giardino antistante la villetta e mi accendo una sigaretta.
Mi tengo in disparte e comincio a guardare la gente che arriva per le condoglianze. La maggior parte lo fa come atto dovuto, altri perché avevano qualche affare in sospeso. Proveranno a sfruttare la negligenza dei miei cugini per ricavarci il massimo. Molti fra loro non hanno mai capito le scelte di mio zio, il suo attaccamento a questa terra e le battaglie che ha combattuto per risollevarne le sorti. Hanno solo giudicato quello che scrivevano di lui i quotidiani locali, e l’hanno odiato quando le sue gesta da bandito hanno attirato l’attenzione dei media nazionali.
– Sicché domani lo vogliono seppellire nell’altro cimitero – mi ha comunicato il sacerdote qualche ora fa, prima che Sofia venisse a parlarmi.
– Quale altro cimitero? – gli ho chiesto, anche se già avevo capito.
– Quello fuori paese, dove non c’è nemmeno un’anima dei vostri avi.
Ho chiamato Giuseppe e l’ho preso da parte. – Ma che significa ‘sta storia?
Si è sistemato gli occhiali sul naso e ha fatto lo gnorri. – Di che stai parlando?
– Vostro padre ha pagato le spese per la tomba di famiglia, e voi adesso volete farlo seppellire in un altro cimitero?
– Devi parlare con Sofia, è lei che se ne sta occupando.
– E tu sei il fratello maggiore e lasci decidere a lei? Ti sta bene qualsiasi cosa?
Ha riabbassato gli occhiali e mi ha fissato stizzito. – Io già per venire qui ho dovuto abbandonare una trattativa molto importante. Si è intestardita, che ti devo dire?
– E che mi vuoi dire, Giuse’? Che è morto tuo padre e tu pensi alla trattativa?
È a quel punto che si è avvicinata Sofia, col suo fisico statuario fasciata in un tailleur nero che le dava un’aria da femme fatale.
– Per i beni che gli hanno sequestrato non c’è nulla da fare – ha esordito. – Per fortuna rimangono le proprietà intestate a noi. Questa casa e gli appartamenti in Sardegna.
Li ho guardati con disgusto e ho voltato le spalle.
– Ma che gli è preso? – l’ho sentita rivolgersi al fratello mentre mi allontanavo.
Decido di restare per la notte. Sofia insiste per prepararmi un letto al piano di sopra, dove dormono lei e Giuseppe, ma rifiuto.
– Devi fare la veglia? – Il suo tono rasenta la presa in giro.
Non reagisco, non gliela do la soddisfazione. – Mi metto sul divano, tanto domani mattina dovrei comunque tornare.
– Come vuoi.
– Buonanotte.
Non risponde; imbocca la rampa di scale e sono certo che ripugna me, questo paese, la gente che ci vive, le loro usanze e ogni centimetro di questo posto. I soldi che farà con le proprietà che le ha lasciato il padre però non le fanno schifo.
Attendo paziente l’orario che ho stabilito. È una lunga attesa, carica di ricordi, di domande le cui risposte restano nascoste nel silenzio della notte. Mi avvicino alla salma; sarà dovuto al rigor mortis, fatto sta che mio zio sembra aver assunto quell’espressione scanzonata che aveva da giovane, la stessa ritratta nelle foto in cui ci sono io da bambino insieme a lui e mio padre. Mi convinco che entrambi approverebbero quello che sto per fare.
Alle tre e trenta mi carico il corpo in spalla; la mia stazza robusta lo tiene bene, ma la tensione per cercare di fare meno rumore possibile mi imperla la fronte di sudore. Esco fuori e lo adagio sui sedili posteriori dell’auto. Richiudo il cancelletto di ingresso della villetta e resto un attimo fermo, osservando le finestre del piano superiore. Mi assicuro che tutto sia immobile, le luci spente e i miei cugini dormano, poi entro in macchina e parto.
Un’ora dopo giungo a destinazione. Parcheggio nello stesso punto in cui si fermava mio zio quando andava a pescare, in prossimità di un sentiero lungo poche centinaia di metri che conduce alla riva del fiume. Mi infilo la torcia accesa in bocca e trasporto il cadavere. Mi bastano due soste di pochi minuti per arrivare in fondo. Lo sdraio sul terreno e mi siedo a riposarmi.
– Se potessi scegliere – mi disse un pomeriggio di qualche anno fa, – vorrei crepare pescando, con un bell’infarto fulminante che mi fa ribaltare in acqua. Tuo nonno mi portava qui che ancora gattonavo. È questo il mio posto.
Alle prime luci dell’alba rovescio il corpo nel fiume e lo lascio andare, guardandolo sparire nella corrente che lo trascina via.
Mentre risalgo il sentiero per tornare alla macchina, penso che Sofia farà il diavolo a quattro e mi toccherà scontare la pena per occultamento di cadavere. Raccolgo un ramoscello di salice, lo piego e me lo infilo in tasca; glielo consegnerò come souvenir, l’ultima volta che la vedrò.
complimenti la fine è troppo bella 👏👏👏👏👏