M'ama non m'ama
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 06/04/2021 0 Comments 6 min read
Analisi logica Previous I nani Next

di Valentina Scelsa
Copertina: Senza titolo – Chiara Casetta

Non l’avevo capito.
Loredana è magra, muscoli lunghi da nuotatore, niente seno, viso duro, occhi grigi e sguardo ironico, capelli biondo cenere con piccole vertigini sulla fronte che la fanno dannare. L’ho conosciuta in Inghilterra a quindici anni, lei tre anni più di me. L’ho incontrata in un periodo della sua vita in cui, adesso lo so, si sforzava con tutta sé stessa di essere femmina: gli amorazzi goffi e insoddisfacenti che tanto la facevano penare, i rifiuti costanti e i suoi comportamenti sempre più stronzi, le botte cieche sferrate con il cucchiaio di legno da cucina da sua madre, religiosa cattolica fervente, dopo aver letto il suo diario scoprendo la perdita della verginità, non importava se violentata da uno più grande senza che lei se ne rendesse neanche conto nel ripostiglio della parrocchia tra palloni sgonfi e scheletri di biciclette. I tentativi di indossare gonne e scarpette, il rossetto e il mascara, la goffaggine nel mostrarsi così, la testardaggine nell’insistere. L’anima spaccata a metà. Poi basta, tanto era inutile, ha iniziato a vestire solo di nero, jeans, chiodo e stivali, ad ascoltare i The Doors, a sognare Jim Morrison, a voler essere Jim Morrison.
Chissà perché lei e mia madre si trovavano simpatiche, e a mia madre non è mai piaciuta nessuna delle mie amiche. Forse perché tutt’e due dell’Ariete, pittrici di madonne con bambino, figlie di madri fredde che non concedevano baci e sfuggivano gli abbracci, che la domenica andavano a messa e poi preparavano fettuccine al sugo di basilico e arrosto con le patate al forno per il pranzo come menù fisso e rituale invariabile, e di padri padroni comunque anelati, entrambi con una disabilità fisica, il piede sinistro torto, che gli consentiva giornate di permesso dal lavoro impiegatizio da godere nella cura delle loro terre di campagna.
A ventitré anni so quindi di avere un’amica dolce e premurosa, che mi regala orecchini di perle colorate e anellini con pietre grezze incastonate anche se non è il mio compleanno e un motivo non c’è, che racimola per me scatoloni nei supermercati quando devo traslocare, il che capita spesso, mentre lei vive ancora con i suoi, che mi invita a pranzo dividendo con me i tortellini di carne in brodo o le verdure dell’orto del padre, il suo chinotto Neri unica concessione al lusso, lei che è sempre senza un soldo e lo conosce bene il valore delle cose. Mi dice che sono troppo forte, che la faccio troppo ridere, che sarei bella pure con un Mocio Vileda in testa, che le ricordo una volpe, –se fossi un animale saresti senza dubbio una volpe!, anche se invece io tanto furba non mi ci sento mica.
So anche però che la stessa amica è imprevedibile e irascibile e che tradisce le mie aspettative. Un giorno mi chiama trafelata, la fototessera che mi immortala con l’espressione schifata e che avrei buttato via ma che lei ha voluto per forza in regalo qualche anno prima e che aveva attaccato poi sul muro accanto al suo letto, si è staccata ed è atterrata dopo volteggi vorticosi a faccia in giù sul pavimento, e questo è cattivo presagio. Mi chiede di andare subito a casa sua a Garbatella per un caffè, mi deve parlare.
Mi accoglie con un sorriso triste, due bacetti sulle guance, un abbraccio forte che mi fa credere che il presagio lo abbiamo strizzato per bene e incenerito.
Me le hai prese le Camel?
L’odore di caffè satura la cucina linda e dignitosa di sua madre, che nutre un’avversione per gli aloni e la rimprovera sempre con durezza per ogni granello di polvere che intercetta con l’indice indagatore in un interstizio. Oggi per fortuna non c’è e pregusto un pomeriggio di chiacchiere in santa pace e di risate.
Mi dai una sigaretta? Sono di buon umore, poso la tazzina di ceramica decorata con pesciolini blu sul tavolo e mi lecco le labbra che sanno di zucchero. Mi allunga il pacchetto che ho comprato per lei.
Si ma fumatela giù che adesso ho da fare.
Non mi guarda in faccia mentre parla, sembra arrabbiata.
Che cosa? Mi hai fatto venire solo per le sigarette? Abbozzo un sorriso, alzo le sopracciglia, sicuramente scherza.
Beh il caffè l’abbiamo preso no?
Ma che c’hai?
Niente, devo studiare per quell’esame lo sai.
Ma non dovevi parlarmi di qualcosa?
Tanto non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
-Oh! Ma che sei matta? Se ti rode non te la devi mica prendere con me!
-Te ne vai o no?
Non scherza. Mi alzo, prendo le mie cose: –Vaffanculo stronza!  E sbatto la porta uscendo. Appena arrivo a casa mia inizia ad assillarmi di telefonate ma io non rispondo e non ci vediamo per qualche anno. Ecco, il nostro rapporto è così, anni di presenza e assenza, complicità e abbandono.
Ci siamo amate una notte sola.
Mi ero lasciata con Massimo e rifugiata nella sua camera, nel suo letto. Mi ero scolata una bottiglia di vodka al melone. Non lo so com’è iniziata, so che mi ha abbracciata e il suo desiderio ha acceso il mio corpo:
Dai smettiamola.
-Perché?
-Perché sei ubriaca.
-Embè?
Il suo tocco prima timido si è fatto deciso, le mie mani audaci, le nostre lingue un solo flusso fluido, la sua saliva dolce, il languore bagnato si è fatto orgasmo, l’assenza di un pene non è stata mancanza.
Il giorno dopo me ne sono andata da casa sua con un post sbornia trita testa e l’euforia di sentirmi più grande dei miei diciotto anni. Ormai ero una donna di mondo.
Era stato bello, era stato una volta. Credevo che la nostra amicizia sarebbe continuata come prima ma Loredana diventava sempre più stronza, gradualmente, attraversando gli anni tra scenate e evitamenti.
Poi quella notte: il suo compleanno, trent’anni accolti con paturnie e disappunto. Siamo andate a ballare con un gruppo di amici in un locale di Testaccio. Bevute, canne, forse una pasticca di troppo, decido di andarmene via verso le tre con uno e la lascio lì con un’amica.
Il giorno dopo Lori mi chiama:
Io a te una cosa così non te l’avrei mai fatta.
La sua voce è sussurro, piange.
-Ma non ti ho lasciata mica da sola, dai! Madonna che esagerata è il tono.
-Non capisci un cazzo! Me l’ha detto la mia amica che è meglio se ti lascio perdere a te, che tanto non ne vali la pena.
Mi sbatte il telefono in faccia.
A lei non ci voglio pensare, adesso non siamo amiche, non siamo niente, non l’ho vista più. È passato troppo tempo. Non l’avevo capito che Loredana mi amava.

Chiara Casetta letteratura M'ama non m'ama Racconti racconti d'amore racconti di amicizia Valentina Scelsa


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