Sirena
By Malgrado le Mosche Posted in Racconti on 27/04/2021 One Comment 11 min read
Nel mese del sole rosso Previous Johnny Next

di Luca Rastelli
Copertina: Specchio riflesso – Julio Armenante

Il giorno dopo una lite accesa, mentre ero al lavoro, Anna mi aveva mandato un messaggio dicendomi di passare a comprare, tornando a casa, tre bottiglie dello Chardonnay che ci piaceva e di prepararmi a prendere un giorno di malattia per l’indomani. Poco dopo mi aveva scritto in un altro messaggio di non pensare subito male, ma comunque di fare come mi aveva chiesto. Non le avevo risposto a nessuno dei due messaggi, ma ero stato sollevato dal secondo.
Passammo tutta quella serata e la notte a parlare e a bere il vino e decidemmo di trasferirci il mese successivo, per provare a rimetterci in sesto. Un colpo di testa forse fuori tempo massimo rispetto alla nostra età, ma in quel momento ci fece scherzare e stare bene per un po’, e questo ci sembrò già qualcosa da cui partire.

Riuscimmo a trovare, a un prezzo economico, un appartamento spazioso già arredato, al secondo piano di un condominio di quattro, a un paio di chilometri dal centro storico. Il complesso di quei condomìni era stato costruito su un leggero rialzo, che dal terrazzo e dalla finestra della camera da letto offriva una visuale libera su un’ampia porzione del litorale nord oltre l’autostrada, mentre più avanti, nelle giornate limpide, si vedeva il profilo del massiccio della Majella. Avevo qualche difficoltà ad ambientarmi col nuovo lavoro, ma tutto sommato non potevo davvero lamentarmi. Lavorando da casa Anna non aveva risentito del cambio di città sotto quell’aspetto. Allo stesso modo però, questo non le aveva suscitato cambiamenti significativi di attitudine, e neppure della sua routine, che aveva ripreso con quella che a me era sembrata apprensione, o quantomeno eccessiva fretta, subito dopo l’entusiasmo iniziale. Negli anni avevamo fantasticato spesso su una casa con una vista come quella, e quando andammo a vederla cercammo di non far trasparire la nostra eccitazione davanti all’agente immobiliare.

Adesso però la realtà era che le cose non stavano andando come avevamo sperato. Certo, almeno lì c’era il mare, e nel giro di un paio di mesi sarebbe iniziata l’estate.

Presi l’abitudine, quasi tutte le sere dopo cena, di andare con la macchina alle spiagge per poi passeggiare sulla battigia fin sotto al promontorio del Paese vecchio, oppure nell’altra direzione, lungo il litorale nord che era più spoglio e costeggiato solo da pochi edifici oltre la strada. All’inizio eravamo andati spesso insieme, poi avevo continuato a chiederglielo per un po’, ma mi diceva che era ancora troppo desolato e che le metteva una certa inquietudine. Ora era più che altro un modo per me per evitare diverse cose, più di tutte l’imbarazzo.
Mi tornarono alcuni pensieri che mi avevano dato tregua nei mesi a cavallo del trasferimento; gli stessi che erano stati parte in causa di quella decisione. In particolare riguardavano la possibilità che Anna mi avesse tradito. Il sospetto mi nasceva, senza nessuna ragionevole prova o segnale, dalla convinzione che dovesse averne l’impulso, dato che io, da tempo, avevo iniziato a provarlo. Le prime volte avevo sorriso dell’avere paranoie così stupide, poi però avevano continuato a girarmi in testa e mi dicevo che in effetti io e lei eravamo sempre stati molto simili in certe cose, addirittura simultanei; come quando mi aveva detto di aver deciso di non volere figli ed era il periodo in cui anche io stavo cercando un modo per confessarglielo. O cose meno serie, come la destinazione delle vacanze. Era stato così per il viaggio in Molise e Basilicata che ci aveva fatti innamorare di Termoli.

Il pensiero che potesse avermi tradito, in sé, non mi provocava rabbia o sconforto, ma piuttosto mi faceva venire voglia di tornare a casa e litigare per qualcos’altro. Anna non sapeva nemmeno che avessi paranoie del genere. A volte mi sorprendevo nell’andarle a cercare apposta, e nel figurarmi gli scenari solo per caricarmi.
Con il trasferimento queste fisime si erano acquietate, riaffacciandosi solo ultimamente, senza che ancora avessimo avuto grossi diverbi.
La prima volta che, rientrando dal lavoro, la trovai in casa con le tapparelle della porta vetro del terrazzo e della finestra a vista mare completamente abbassate mi sorpresi, ma non le dissi niente. Le volte successive provai qualcosa tra il fastidio e la pena, insieme naturalmente al dispiacere. Quando le chiesi cosa avesse, la verità era che lo feci soprattutto perché mi vergognavo per quello che stavo provando nel vederla così. Aveva cominciato a passare in casa più tempo di quanto già non facesse prima. Le passai un piattino con una percoca tagliata in otto pezzi, poi andai a metterne un’altra tagliata allo stesso modo in una caraffa dopo averla riempita di vino bianco. Mi disse quello che già avevo immaginato, ma ebbe il riguardo di non includere nel discorso la nostra situazione. E ovviamente non c’era di mezzo un tradimento.
Disse che il vino con i pezzi di percoca dentro era molto buono. Le risposi che lo sarebbe stato ancora di più se si fosse lasciata la frutta sedere ancora un po’ nel vino; e che poi in realtà non era ancora stagione per quelle e che probabilmente venivano da fuori Italia, ma più avanti ce ne sarebbero state di davvero migliori e dolci prodotte in zona. Disse che anche così andava bene, e che i pezzi inzuppati nel vino erano più buoni che al naturale. Si mise a ridere quando le raccontai di come avevo cercato di farmi spiegare dal fruttivendolo quale fosse la differenza con le normali pesche, senza riuscire a capire una parola della risposta per via del dialetto, e la sua risata era contagiosa. Rimanemmo un po’ così, in silenzio, seduti alla penisola, io le riempivo il bicchiere quando stava per vuotarlo.
-Che cosa cazzo ci è preso?
Parlai per qualche minuto nel tentativo di darle una risposta, ma quello che dicevo era sconnesso e poco chiaro, come lo era nella mia testa. Poi le chiesi se le andava di giocare a carte, che era una cosa che la calmava anche se non era brava e la battevo sempre, come anche quella volta.

Nei giorni seguenti non si fece più trovare in casa con le tapparelle abbassate, ma continuava a uscire poco. Uno dei primi di maggio, quando rientrai, mi disse che era il compleanno di Roberta, una del gruppo di conoscenti più che amici con cui uscivamo più spesso a Brescia. L’aveva chiamata quella mattina per farle gli auguri, e più tardi le aveva inviato un video dal pranzo di compleanno insieme agli altri in cui ci salutavano e ci chiedevano come ce la passavamo qua al mare.
-E tu cosa gli hai risposto?
-Che stiamo bene, che qua c’è l’aria buona e le solite cose. Gli ho detto che dovrebbero venire una volta, quando hanno modo.
-Hai fatto bene.
-Per quanto vale. Poi mi han subito chiesto se hai trovato lavoro; tanto lo sai che loro hanno in testa solo quello.
-Da bravi bresciani. Dovremmo trovare qualcuno con cui uscire qui, ci farebbe bene.
-Sì, sarebbe carino.

Una sera verso la fine di quel mese uscii come al solito per andare alle spiagge e lasciai l’auto nei parcheggi di uno dei residence. Ancora non si poteva dire iniziata la stagione turistica e la maggior parte dei parcheggi delle strutture ricettive era libero. Da un paio di settimane negli stabilimenti balneari avevano cominciato a piantare i supporti per gli ombrelloni e a stendere le pedane delle passerelle. Il litorale sembrava già avere un altro aspetto. Sceso a riva cominciai a camminare verso il litorale nord, dove c’erano meno stabilimenti. Oltre la linea dei frangiflutti a cinquanta metri dalla costa il mare sembrava leggermente mosso, per quello che si riusciva a vedere, anche se non c’era molto vento. Nella parte vicina alla spiaggia era come sempre piatto e silenzioso, arrivavano onde a frangersi sulla battigia solo nei pochi punti corrispondenti a dove i frangiflutti si interrompevano. Camminando mi accorsi di una figura bassa, in lontananza sulla riva, in una zona di spiaggia libera. Era poco illuminato e sentivo crescere l’agitazione mentre mi avvicinavo senza che la figura si muovesse. Mi fermai a circa quindici metri quando mi accorsi che era una donna. Stava carponi spalle al mare, appoggiata sui gomiti, con le gambe nell’acqua fino a metà coscia e la testa abbassata, mentre le piccole onde le si rompevano sul culo e sulla schiena. Faceva minimi movimenti avanti e indietro col corpo. Rimasi così a guardarla per qualche minuto, e man mano che gli occhi si abituavano a quel buio capii che si stava masturbando, con le onde che le battevano contro i genitali. Continuai a guardare anche quando girando la testa mi vide. Si scostò i capelli dalla faccia con un gesto calmo del braccio sinistro mantenendo l’appoggio del gomito a terra, e restò così forse un minuto, rivolta verso di me, ma senza interrompere quel lento movimento avanti e indietro. Poi abbassò di nuovo la testa, e io rimasi ancora un po’ lì fermo prima di incamminarmi verso la macchina mentre lei era ancora carponi.
I profili dei supporti degli ombrelloni ora si distinguevano nitidamente contro le luci lontane del promontorio del Paese Vecchio e quella rossa del faro. Pensai che doveva avermi visto in quello stesso modo. Continuai a pensare a quella scena mentre tornavo a casa, con la sensazione che ci fosse qualcosa di primigenio, come se quella donna stesse facendo sesso col mare e nel modo più naturale e urgente e procreativo. E provai il desiderio di farlo con Anna.

Anna era già nel letto con l’abat-jour accesa. Mi tolsi i vestiti e mi stesi accanto a lei. Cominciai a baciarle la schiena e il collo fino a che cedette alla mia voglia, senza dirmi una parola, e avevo davvero voglia e vidi che ne fu sorpresa. Quando eravamo più giovani quello era sempre stato il nostro segnale, e lo coglievamo anche se si stava già dormendo o facendo qualunque altra cosa. Pensai a come eravamo gentili e delicati anche. Si alzò per andare in bagno e io aprii un po’ la finestra. Era tutto così tranquillo là fuori e pensai che era stato bello aver sentito quella voglia di fare l’amore con lei, per quanto fosse stata in un certo senso come di riflesso, nello stesso modo in cui mi era successo quando avevamo visto accoppiarsi un paio di asini durante un viaggio di diversi anni prima nei Pirenei francesi. Quella volta se ne era accorta e mi aveva preso in giro, per poi ammettere che anche lei aveva sentito una cosa del genere.
In quel periodo non avevamo ancora preso la decisione di non avere figli. Mentre la guardavo lì in piedi al lavandino del bagno, le guardai i fianchi più larghi di come erano se provavo a figurarmela. Pensai che ora avevamo irrimediabilmente una certa età, e non potevamo permetterci più di una follia per volta. Pensai che ormai avevamo una certa età, e che questo avrebbe potuto semplificare davvero molte cose.

Nei giorni successivi i bagnini iniziarono a montare anche gli ombrelloni.
Al di là dell’autostrada, sul tratto di lungomare che vedevamo dal terrazzo era cominciato un continuo movimento di auto a tutte le ore. Le dissi che ormai eravamo arrivati all’estate, e che di sicuro in spiaggia avemmo conosciuto qualcuno. Dei vicini di ombrellone magari.
Quando iniziammo ad andare al mare al mattino o dopo pranzo nei fine settimana o dopo il lavoro smisi con le passeggiate serali; ora faceva buio tardi, e anche dopo c’erano sempre gente e musica e luci su tutto il litorale. Non le dissi niente di quella donna, ma era stata solo una bella cosa strana che non sarei comunque riuscito a farle capire.

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