di Simone Bachechi
Copertina: Vento – Julio Armenante
Il timore era che potessero appiccare dei fuochi da un momento all’altro. Erano vestiti con delle giacche con le losanghe, stivaloni tirolesi, avevano dei chepì gialli e marroni di feltro con disegni floreali. Quello che li rendeva esemplari unici erano le loro barbe, castane, arricciate e lunghissime, che li avvolgevano, come se indossassero un secondo abito. L’odore che emanavano le piccole creature era di cuoio misto a fumo e osteria. Li chiameremo Hans, Witt, Dan, Grott, Franz ecc… per il loro aspetto un po’ teutonico e un po’ olandese, non se ne abbiano a male Mammolo, Brontolo, Pisolo ecc… L’edificio nel quale i nani si erano insediati, nottetempo si presume, perché la porta di ingresso era ancora chiusa a doppia mandata e Pauline entrò dal retro come sempre, senza notare alcun segno di effrazione, apparteneva ora a una vecchia compagnia di assicurazioni. I nani dovevano essere passati attraverso i muri. Nell’edificio era stata messa su una mensa per poveri, un’associazione di solidarietà con Haiti, un centro tricologico e l’azienda nella quale lavorava Pauline che faceva stampiglie, cose di serigrafia. Lavoravano con gli inchiostri, progettavano e stampavano oggetti e cartellonistica, grafica pubblicitaria per bar, negozi, ristoranti e volantini che facevano consegnare per conto dei committenti a cingalesi arrabbiati.
La sala dove si erano piazzati i nani, loro osservatorio privilegiato sul modo della produzione, era un ballatoio. Se ne stavano lì ad osservare le macchine, respirando tutti gli afrori di tessuti, agenti chimici e solventi, senza pronunciare una sola parola, senza che nessuno osasse dire loro qualcosa.
Pauline non sembrava nemmeno del tutto sorpresa della loro presenza e immaginò la voce del signor Macchia, il capofficina, che gli stesse raccontando di un sogno nel quale c’erano dei nani da giardino nella sala stampa che si erano piazzati lì da due giorni, muti come tombe e che non volevano sapere di andarsene. Pauline si occupava di contabilità e pubbliche relazioni per la stamperia; apriva la mattina e chiudeva la sera, era la prima ad arrivare e l’ultima ad andarsene, gestiva contratti e si occupava delle scadenze e delle pulizie. Labbra sottili, spiritose, molto francesi, una lunga treccia da cavallo, la sua voce assomigliava ai gridi delle rondini, le sue labbra semiaperte a cuore, a bacio, da allattamento. Non sembrava intimorita affatto dalla presenza dei nani e non faceva la gattina impazzita che galoppava per le stanze miagolando stridula. Il suo sguardo mellifluo sembrava suggerire dei pensieri sconci per quei nani, come se essi fossero il simbolo fallico dell’effrazione, leggeri nella postura ma pesanti nell’aspetto, nani che avevano attraversato i muri.
Con il passare dei giorni i nani iniziarono a interagire con l’ambiente circostante. Alcuni di loro portarono avanti delle rivendicazioni in modo più o meno sguaiato e giullaresco. Fu Witt il primo a inasprirsi per la questione della mancanza di internet – Glielo ho anche detto! riattivatemi il wi-fi, come faccio senza porno, è un’opera sociale, vi dovrete ritenere responsabili di qualche mio atto inconsulto – Erano nani ma non erano fessi e visto che dovevano rimanere lì era giusto secondo loro che potessero godere di tutte le comodità. Fra di loro a sua volta si erano create delle fazioni: c’erano i socialdemocratici per i quali il progresso della società e della stamperia, sarebbe dovuto andare di pari passo con quello della loro comunità di reietti e c’erano gli oltranzisti che invece pensavano che un cambiamento non poteva prescindere da un ribaltamento rivoluzionario. Fra questi vi erano Franz e Grott che svolgevano il pericoloso ruolo di sobillatori, motivo per cui Pauline si sentì in dovere di dover informare il Macchia. Se la sarebbe vista lui sul fatto se avvertire o meno per lo sgombero il titolare, il signor Nebbia, il quale invece non si fece mai vedere.
Con il passare dei giorni si formò una vera e propria fronda al loro interno. Fra i trattativisti Dan e Hans, che ballavano la danza scozzese o la giga del marinaio, erano quelli che più avevano a cuore una risoluzione pacifica dell’impasse che si era venuta a creare con la loro improvvisa comparsa. I nani riformisti, dei quali Dan e Hans si erano in qualche modo fatti portavoce si sforzavano di far capire a tutti gli altri che avrebbero dovuto adottare un comportamento impostato al civico decoro data l’ospitalità che era loro concessa, cosa che evidentemente non era molto nelle corde della fronda dei nani capeggiata da Franz e Grott che stava pericolosamente diventando maggioranza nel consesso. Fu Hans che in un impeto di rabbia e in una sua tutta torta filippica accusò i suoi sodali, ora a rischio scisma, di causare solo disastri. Portò ad esempio quello della caldaia della stamperia. Da quando i nani si erano insediati la caldaia faceva delle cose strane, misteriose: partiva quando voleva lei, anche se il selettore era impostato sull’estate; spesso all’improvviso la caldaia attivava la sua fiamma e i vecchi radiatori in ghisa diventavano bollenti rendendo asfissiante l’intera stamperia. Anche il tecnico contattato da Pauline e che venne a fare un sopralluogo non ci capiva niente. Guardò la caldaia ansioso, le parlò, sembrava farle delle domande con lo sguardo torvo, ironico e la bavetta alla bocca, e lei, la caldaia, sembrava quasi ascoltarlo. Il tecnico parlò di scheda elettronica difettosa, di valvole ballerine, di differenziali e compressione a una Pauline che ascoltava attentamente le sue disquisizioni termotecniche senza capirci niente e pensando che l’elettronica non fosse che un atto di fede. Quando il tecnico ventilò a Pauline in un labiale appena percettibile l’idea di doverla sostituire, lei, la caldaia, non si azzardò più a fare di quegli scherzi. Fu il timore che volessero sbarazzarsi di lei a farla rientrare nei ranghi e in quel frangente l’atteggiamento dei nani cospiratori e presunti sabotatori non poté che confermare che fossero loro la causa prima di quei dispetti. Sui loro volti calarono delle espressioni come se fossero coperti di velette o di nebbia.
Allo stesso tempo altre cose sulle quali i nani, cospiratori o meno che fossero, non sembravano avere controllo si sistemavano da sole. – Internet è tornato – esordì Witt entusiasta una mattina, e dov’era andato? Forse che internet non ci fosse stato per due giorni e una notte aveva qualcosa a che vedere con il sorcio enorme che lo stesso Witt vide due notti prima beccheggiare intorno alla ringhiera dell’edificio? Era grasso, caldo e sudato, gli sembrava di sentirlo quasi ansimare. Era un sorcio elegante e pieno di sprezzo, un sorcio nobile pensò Witt; continuò a razzolare intorno alla ringhiera mentre lui lo guardava pensando di andar giù ad accopparlo. Aveva già inforcato il badile, poi il sorcio riprese la sua lenta marcia a passi brevi e veloci e se ne tornò da dove era venuto. Witt lo vide scomparire nel tombino e da allora la connessione internet mancò per due giorni.
Vi erano nani che si sentivano depositari di grandi verità e che l’alto valore etico e morale della missione loro affidata li portava a convincersi di dover mettere a disposizione di tutti il loro potere visionario in un’epoca complicata nella quale stavano per verificarsi grandi cambiamenti. Witt era il capostipite di questa fazione che cercava di spronare tutti gli altri sul concentrarsi su ciò che sarebbe accaduto in futuro. Ma ce ne erano molti altri di nani, di carattere irrequieto e vanesio. Certo, vi erano anche nani meno centrati su se stessi, ma quelli erano destinati a soccombere e in pratica si autoescludevano dalle varie faide interne. C’era un nano depresso al quale Pauline si rivolgeva con compassione chiedendogli – E cosa ti fanno sentire quelle pasticche? – Mi fanno sentire come essere da un’altra parte – rispondeva lui. C’era una nano che amava giardini e roseti; si fermava sempre quando ne trovava uno e ora che viveva al chiuso moriva di nostalgia, si può morire di nostalgia sapete? C’era un nano mistico che a chiunque si avvicinasse nelle vicinanze del suo perimetro amava dire – Togliti le scarpe, perché il suolo dove cammini è sacro – C’era un nano che disegnava e mentre disegnava parlava – L’ho visto il merlo sulla cresta del tetto, saltellava, beccheggiava, aspettava e glielo ho detto, vola, vola, vola via, tu che puoi e lui ha aspettato un po’ e poi è volato via – Quel nano disegnava quasi sempre chiese e cattedrali che svettavano e troneggiavano come svaccate matrone sedute al centro di un lettone rotondo. Prima di trovarsi nella stamperia viveva negli orti, in giardini presi a prestito. Ce ne era uno che assomigliava al Bodhidarma e che era a suo dire uno studioso di religioni orientali. Non poteva fare a meno, anche lì nella stamperia, nel bel mezzo del clangore di macchinari e rotative di affacciarsi al finestrone della parete in laterizio sul retro per osservare il cielo e le buffe nuvole che vi scorgeva sentendosi in dovere condividere con gli altri le sue visioni. Parlava di nuvole fatte a manico di ombrello, a topolino accartocciato, a mela, a banana, a forma di donna, tutte molto morbide e bordate d’argento perché domani pioverà, diceva. Gli furono trovate nelle tasche dei pantaloni delle rarissime e preziose monete d’oro indiane che gli erano rimaste dal suo ultimo viaggio in India, quando andò ad acquistare due elefanti e una tigre per il suo zoo personale. Ora quelle monete ce le hanno il Macchia e Pauline che non hanno ancora deciso se informare del fatto il Nebbia, il titolare di quella strana azienda dove il personale viene assunto seguendo l’astrologia, previsionali farlocchi e vaticini contraffatti dalla stessa Pauline. Lei ha lo swop, la funzione primaria della stamperia. In quei momenti agisce in modalità swop e permette che le giornate, nonostante la presenza dei nani, scorrano via tranquille, dandosi da fare sulla trimestrale, sui flussi di cassa e più tardi andrà come sempre a farsi un aperitivo. Nel frattempo nella piazza si vedono dei palloncini colorati alzarsi e abbassarsi sulle teste dei bambini che giocano, anche questo è swop. Ci sono anche nani belli che si sposano le vecchie ricche, suggellando il sacro vincolo con la frase – Che tu possa morire, tu e tutti i tuoi me – come uno che dovesse fare i conti con il suo ego adulterato. Ci sono anche nani esorcisti a distanza, o aspiranti tali, come quello che raccontò la triste storia di una donna per la quale il Corano non bastava più. Disse che a quella donna era stata fatta una fattura a distanza da un’altra donna di famiglia che voleva farla divorziare da suo marito, e lei stava sempre peggio. Chiamarono l’Imam ma lei si indeboliva sempre più e le forze oscure si facevano campo sempre più dentro di lei. L’Imam a distanza però non poteva agire e questo era il problema fondamentale. Fecero la prova e l’olio divenne nero, ci avevamo messo anche il sale, la cosa era molto più seria di quello che pensavano, disse il nano. Dai segni nel bicchiere non si arrivava però a capire chi fosse con esattezza quella persona che le fece questo anche se fu scoperto trattarsi di una donna molto vicina alla famiglia anche se su questo stavano ancora indagando. Provarono tre volte, la terza andò un po’ meglio, evidentemente perché qualcuno a distanza pregava, forse il nano stesso. Era da molti anni che andava avanti questa situazione e la donna si indeboliva sempre di più e non bastava più leggere il Corano. Qualcuno a distanza la stava pensando. Quest’azione è talmente forte che non riesce a fare niente anche se capisce che questa persona che agisce è molto potente, l’importante è che lei non abbia paura e che si sostenga con la fede. Ha delle grandi occhiaie, è bianca come un cadavere, non riesce più a muoversi dal letto e i figli li accudisce la nonna e la suocera che cerca di fare da tramite. L’Imam fece delle domande preliminari raccomandando che ci andasse qualcuno altrimenti lei non avrebbe potuto più riprendersi. La cosa che allertò tutti quanti fu che lei sapeva tutto delle cose che le dice l’Iman e lui allo stesso tempo le riporta prima a lei quando le si rivolge prima di tentare l’esorcismo, disse il nano. Ce n’erano molti altri di nani lì nella stamperia, nani che non avevano niente a che vedere con Franz e Grott e con le loro aspirazioni rivoluzionarie, niente a che vedere nemmeno con Dan e Hans e con la loro incrollabile fede nel progresso. Ce ne erano di quelli che cacavano una miscela di stagno di densità spaventosa e che univano nelle loro deiezioni a una sorta di compost vegetale con il quale sembravano prendersi gioco dei loro compagni nell’interrogarli per far loro capire cosa avessero mangiato, e poi c’erano gli scontati, nani inconsistenti, effluvi di nano che sapevano solo affidarsi ai satelliti sbavanti che gestivano le loro emozioni. I nani facevano pensare all’intangibilità delle cose reali, ai territori dove le cose non avvengono che è nella testa di ogni essere pensante che nella propria precoce rovina perde colpi, si lascia andare a disquisizioni planetarie, cede, lascia cadere e non vede di contro al giudizio fisico e netto il nano, ma la nanità.