Testo: Desirée Ketabchi
Immagine: Senza titolo – Teresa Visceglia
Tristano era seduto sul divano di pelle marrone chiaro nel salotto di casa sua e aveva appena avviato il film Manhattan di Woody Allen, uno dei suoi registi preferiti, quando gli arrivò un’e-mail dal Ministero della Famiglia. L’aprì: conteneva una scheda con il profilo di una donna.
Nome: Bianca
Cognome: Crocetti
Sesso: femminile
Capelli: biondi, ondulati
Occhi: azzurri
Altezza: 1,68 m
Età: 32 anni
Status: single
Professione: direttrice del dipartimento di risorse umane dell’agenzia di comunicazione Tipico
Relazione con i genitori: buona, parla regolarmente con loro, circa due volte a settimana, si vedono ogni sei settimane
Interessi: film del periodo 1980-2000, trekking
Libro preferito: Anna Karenina di Lev Tolstoj
Cibo preferito: lasagna vegetariana
Social preferito: Instagram
La scheda continuava con altri dettagli della vita di Bianca Crocetti. L’e-mail spiegava che aveva un mese di tempo per conoscerla e iniziare una relazione sentimentale con lei, o rifiutare e lasciare che il software di selezione delle coppie, come veniva comunemente chiamato, mandasse la scheda di Bianca a un altro uomo sopra ai 30 anni con cui sarebbe potuta andare d’accordo. Se avesse rifiutato, avrebbe ricevuto la scheda di una donna meno idonea, e con meno crediti sociali. Il governo del Partito dei Verdissimi, che era salito al potere quasi dieci anni prima, proibiva ai cittadini di avere relazioni sentimentali prima dei 30 anni, con lo scopo di rallentare la crescita demografica nel mondo. Circa due anni prima le organizzazioni di difesa dei diritti umani avevano iniziato a indire manifestazioni settimanali. Ogni sabato, in tutte le città del Paese, si riunivano migliaia di persone davanti agli edifici del governo. Gli attivisti infatti sostenevano che dopo i 30 anni diventava più difficile incontrare un partner, e in tanti erano d’accordo, anche se non tutti osavano scendere in piazza e sfidare il governo. Inizialmente, come previsto, il governo aveva reagito duramente, azzerando i crediti sociali di tutti i partecipanti alle manifestazioni che le videocamere a riconoscimento facciale erano riusciti a individuare, ma le proteste erano continuate. Due mesi dopo, il governo aveva ceduto in parte e aveva creato un software che analizzava le schede di tutti gli uomini e donne al di sopra dei 30 anni mettendoli in contatto tra di loro. Nessuno al di fuori del Ministero della Famiglia sapeva quali fossero i criteri di selezione dell’algoritmo, però si sospettava che fossero gli interessi personali, i luoghi di frequentazione e le idee politiche, per evitare che due persone con tendenze rivoluzionarie o anche minimamente di opposizione al governo si incontrassero. Le relazioni omossessuali erano incoraggiate e avvenivano fuori dal controllo del software. Siccome non subivano restrizioni di età, molte persone eterosessuali che cercavano un po’ d’intimità avevano relazioni con un altro uomo o un’altra donna fino ai 30 anni.
Tristano invece si era talmente abituato a vivere da solo che la solitudine aveva finito per piacergli. Quando pensava all’eventualità di mettere su famiglia, si chiedeva come sarebbe stato dover rinunciare alle sue rassegne di cinema, che non finivano mai prima delle 4 di mattina, o dover riordinare le carte sparse sulla sua scrivania. Ah, secondo la scheda a Bianca piacevano i film degli anni Ottanta, forse le piaceva anche Woody Allen. Gli algoritmi del software avevano accesso a tutti i dettagli della vita privata dei cittadini, dai film che guardavano su Netflix e altre piattaforme di streaming alle ricette che consultavano sui blog di cucina come Giallo Zafferano, a quante volte a settimana facevano attività fisica, e per questo i risultati erano molto accurati.
Suonarono alla porta, un fattorino in bicicletta gli aveva portato un paniere di frutta e verdura: all’ultimo controllo medico del governo, il livello di trigliceridi nel suo sangue era risultato troppo elevato, probabilmente dovuto al whiskey che beveva durante le maratone di cinema e alle lasagne surgelate che si comprava spesso per pigrizia, e da allora il governo monitorava la sua alimentazione. Posò il paniere sul ripiano della cucina, agguantò una mela rossa, controllò che non ci fossero vermi o parti marce e si rimise a studiare la scheda di Bianca. Cliccò su “Organizza appuntamento”, aveva deciso di darle una possibilità. Sul suo schermo apparve una lista di bar e ristoranti in cui entrambi erano stati e che avevano apprezzato. Ne scelse uno, prenotò per il venerdì sera seguente e andò a dormire.
Lo sguardo di Tristano passava dal bancone di metallo al barista intento a fare un cocktail molto elaborato, ignaro della ragazzina che cercava di ordinare qualcosa e controllava nervosamente l’ora sul cellulare, alla porta di ingresso. Si stava innervosendo, aveva paura di non sapere cosa dirle, o, ancora peggio, di mettersi a balbettare, cosa che gli succedeva quando le parole arrivavano troppo in fretta al suo cervello ed era troppo agitato per articolarle con calma. Non che fosse mai stato bravo a incominciare una conversazione con una sconosciuta, ma da un po’ di anni non incontrava spesso persone nuove. Il software gli aveva mandato una scheda con dei suggerimenti su cosa indossare e cosa fare durante il primo appuntamento, e una lista di possibili argomenti di conversazione. Aveva scelto una camicia a stampe colorate, come suggerito dal software – a quanto pare a Bianca piacevano gli uomini che non si prendevano troppo sul serio –, e aveva messo un libro nella tasca della giacca, Il giocatore di Fedor Dostoevskij, che avrebbe potuto mettere in bella vista per fare colpo o per avere un argomento di conversazione in caso di bisogno. Per il momento aveva appoggiato la giacca sulla sedia, con la tasca con dentro il libro rivolta verso il pavimento e quindi non visibile, come un’arma da sfoderare in caso di bisogno.
Finalmente Bianca arrivò, la riconobbe immediatamente, e vedendola entrare e guardarsi intorno per cercarlo, si disse che sicuramente il software le aveva suggerito di portare i capelli sciolti: i capelli biondi ondulati che scendevano morbidamente sulle spalle furono la prima cosa che notò. Indossava un vestito blu che faceva risaltare il colore dei suoi occhi, una giacca di pelle che aggiungeva un tocco rock ‘n roll alla mise e un rossetto rosso. Si alzò per farsi vedere da lei e salutarla. Quando lei lo vide un sorriso spontaneo le apparve sul viso, e Tristano pensò che c’era il rischio che sarebbe stata l’unica cosa genuina della serata.
«Tristano, piacere», le disse porgendo la mano.
«Bianca, ciao, piacere».
Se era nervosa non si vedeva, la stretta era decisa e la mano non era sudata.
Ordinarono entrambi una birra. Tristano aveva scelto un bar dove passavano musica rock degli anni Settanta, un’altra passione che avevano in comune oltre ai film degli ultimi decenni del XX secolo.
«Qual è l’ultimo concerto che hai visto?»
«Inizi subito con le domande», rispose lei con un altro sorriso, questo più studiato. «Nick Cave, e tu?»
«Thurston Moore», rispose lui, fiero. Forse non avrebbe dovuto usare la sua migliore carta all’inizio della serata, poi gli sarebbe rimasto solo il libro. «Scusa vado troppo veloce. Raccontami di te, cosa fai nella vita?»
La conversazione fluì così bene che Tristano si dimenticò del libro nella tasca finché Bianca non lo notò, a fine serata, quando si avviarono verso casa di lei. Si dimenticò anche della lista di argomenti di conversazione, finché Bianca non gli confessò, il giorno dopo a colazione, che si era appuntata un paio di idee sul suo taccuino prima di uscire.
Tristano chiuse la porta di casa di Bianca, e, mentre si dirigeva a piedi verso il suo ufficio, si chiese se non le mostrasse troppo di sé, se non le avesse esposto troppo le sue opinioni. Si frequentavano da più di un mese ormai. Si vedevano una volta ogni due giorni, dormivano una volta da lei, una volta da lui. Insomma, erano una coppia. Per quanto le cose andassero bene tra di loro, quella mattina Tristano si era svegliato agitato, con una sensazione d’insicurezza senza contorni definiti addosso, e non riusciva a rilassarsi completamente. Aveva abbassato la guardia, e non era sicuro di poterselo permettere. Si ricordò l’ultima sera che aveva passato con Ruggero, prima che partisse con la moglie e i due figli. Ruggero gli aveva detto di stare attento, di non abbassare mai la guardia, perché non si poteva mai sapere di chi ci si potesse veramente fidare. Lo spionaggio era cambiato negli ultimi anni; nel vecchio mondo, come lo chiamavano Tristano e Ruggero, il governo doveva reclutare e addestrare le spie, nel mondo di adesso, invece, il governo infiltrava i computer e gli smartphone dei cittadini a piacimento senza che loro se ne accorgessero. Chiunque poteva essere una spia senza nemmeno saperlo. Tristano cercava di fare attenzione ai cambiamenti repentini del suo smartphone e degli altri apparecchi elettronici, ad esempio se la batteria si scaricava rapidamente, o se l’apparecchio si scaldava senza che lui lo stesse usando. Ma era consapevole del fatto che questi accorgimenti erano insufficienti. La prima volta che lui e Bianca si erano visti, aveva pensato di lasciare lo smartphone a casa, ma lo avrebbe potuto fare una volta sola, se lo avesse fatto una seconda volta, il gesto avrebbe insospettito il governo. Era estremamente raro che qualcuno si dimenticasse il telefono a casa.
A lavoro i colleghi ormai sapevano della sua relazione con Bianca. Tristano non era il tipo di persona che parlava dei fatti suoi in ufficio. Non era neanche tanto bravo a iniziare una conversazione senza rivelare troppi dettagli della sua vita personale o delle sue opinioni, quindi la maggior parte delle volte se ne stava zitto ad ascoltare gli altri. Tuttavia non c’era stato bisogno che dicesse qualcosa della sua relazione, già la seconda volta che erano usciti insieme, Bianca aveva postato una story di loro due a teatro su Instagram. Lei aveva insistito per andare a vedere Tristano e Isotta, e a letto la sera aveva voluto che lui le sussurrasse “Isotta” all’orecchio. La richiesta lo sorprese ma gli piacque, lo fece sentire giovane, erano passati più di dieci anni dall’ultima volta che qualcuno gli aveva proposto un gioco di ruolo a letto. La mattina dopo quando era arrivato in ufficio i colleghi gli avevano chiesto come stava la sua Isotta.
Più tempo passava con Bianca e più si innervosiva. La notte faceva spesso incubi e arrivava in ufficio stanco. I giorni peggiori erano i lunedì, dopo ogni fine settimana che passava interamente con Bianca, si chiedeva sistematicamente se non fosse un errore fare entrare qualcuno nella sua vita privata. Un lunedì in particolare Tristano arrivò a lavoro con il mal di stomaco. Aveva una presentazione da preparare per la riunione del giorno dopo con un nuovo cliente, ma non riusciva a concentrarsi. La sera prima Bianca e lui avevano guardato Pulp Fiction, e Tristano si era lasciato sfuggire “Questa è la parte preferita di Ruggero” durante la scena dell’overdose della signora Wallace. Aveva sentito la gamba di Bianca irrigidirsi sotto la sua mano. Aveva cercato di fare finta di niente, ma lei aveva messo il film in pausa.
«Chi è Ruggero?»
Tristano aveva tolto la mano dalla sua gamba per prendere il bicchiere dal tavolo e bere un sorso di whiskey. Gli vennero in mente gli avvocati nei film americani, che per far perdere la concentrazione alla parte avversaria si versavano lentamente un bicchiere d’acqua.
«Un amico.»
«Non me ne hai mai parlato.»
«Andavamo all’università insieme, ma ci siamo persi di vista. Tutto qui.»
«Invitalo a cena, non mi hai presentato nessuno dei tuoi amici, mi farebbe piacere.»
Aveva buttato giù un altro sorso di whiskey, annuito con un sorriso e riavviato il film. In realtà Bianca non aveva conosciuto nessun suo amico, semplicemente perché non ne aveva. Anche per questo sentiva spesso la mancanza di Ruggero, delle loro lunghe chiacchierate, ma mai quanto adesso aveva sentito il bisogno di consultarlo. Era Ruggero il più sveglio dei due. Da quando il suo amico era partito per l’estero, non aveva più potuto parlare di certe cose con nessuno. Non ci avevano pensato prima che lui se ne andasse di creare un codice per poter comunicare liberamente senza correre rischi. Di usare una chat criptata non se ne parlava nemmeno, la punizione se fosse stato beccato era molto severa. Ma chi prendeva in giro, anche solo comunicare con lui sarebbe stato pericoloso, i cittadini che lasciavano il paese erano considerati dei traditori, non potevano più tornare, e per qualche anno i loro famigliari e amici erano tenuti sotto controllo, alcuni venivano anche arrestati e interrogati. Per anni aveva evitato contatti stretti con qualsiasi persona, e sapeva per certo che gli avevano sottratto parecchi crediti per essere stato amico di un dissidente. Aveva conosciuto Ruggero il primo giorno di università e avevano lavorato per anni insieme, fino al giorno in cui Ruggero era andato in vacanza e non era più tornato. L’ufficio dove lavorava Tristano era grande e potenzialmente avrebbe potuto fare amicizia con altre persone, c’erano probabilmente una ventina di uomini tra i 30 e i 35 anni come lui, ma non si fidava di nessuno. E pochi avevano voglia di frequentarlo, dopo quello che era successo a Ruggero. Prima di incontrare Bianca, si era rassegnato a passare le sue serate a casa da solo e i giorni di ferie in montagna. Ma adesso che le cose erano cambiate, non sapeva se il suo crescente disagio fosse dovuto al suo istinto che fiutava il pericolo, o al suo lato abitudinario che non si adattava al cambiamento.
Cercò di studiare l’espressione di Bianca, ma sembrava di nuovo assorbita da Pulp Fiction. Cambiò posizione sul divano, prese uno dei cuscini che erano magicamente apparsi un giorno sul suo divano, se lo mise dietro la schiena, e cercò di rilassarsi e godersi anche lui il film.
Sempre di lunedì, due settimane dopo, Tristano ricevette una mail dal signor Bruni che gli chiedeva se poteva passare dal suo ufficio dopo pranzo. Si chiese che cosa volesse da lui il suo capo, non sapeva cosa immaginare, non era periodo di valutazione, e non stava lavorando su nessun grosso progetto. In generale a Tristano piaceva il suo lavoro: aveva una posizione abbastanza alta in azienda da non annoiarsi mai, ma non abbastanza alta da avere troppe rogne. Era il manager di alcuni impiegati, ma aveva deciso di star loro dietro solo il tempo di cui avevano bisogno per iniziare a lavorare in modo indipendente. Finì il pranzo in fretta e diede un’occhiata veloce alle sue ultime e-mail, per controllare che non ci fosse niente di strano che avrebbe potuto insospettire i suoi superiori. Controllò anche di aver cancellato almeno il 60% dei messaggi e dei documenti dell’ultimo mese; pulire regolarmente la casella di arrivo e le cartelle sul computer era obbligatorio per legge, in modo da ridurre le emissioni di CO2 causate dai server e dall’archiviazione di dati. Siccome sia gli impiegati che l’azienda erano multati duramente in caso di negligenza, i dirigenti prendevano questa legge molto sul serio.
Il signor Bruni lo fece accomodare nel suo ufficio. Tristano si sedette su una delle due poltrone nell’angolo dedicato alle riunioni. Si guardò intorno: ogni dettaglio rispecchiava la posizione del signor Bruni. Quando gli offrì un caffè, Tristano pensò a quanto gli dava fastidio quel gesto, con cui i dirigenti credevano di dare un’impressione di parità, facendo il caffè per i loro dipendenti, ma in realtà la loro caffettiera personale nel loro ufficio ad angolo che faceva un caffè ben migliore di quello della macchinetta a gettoni per i dipendenti era lì per ricordare che non erano uguali. Tuttavia accettò senza lasciar trasparire nemmeno un accenno di questo fastidio, che sarebbe sicuramente finito nella sua scheda impiegato. Troppe annotazioni negative potevano portare a una riduzione dello stipendio, e non se lo poteva permettere.
«Tristano, mi dica, come sta? Come va il lavoro?». Anche la pacca amichevole che aveva appena ricevuto sulla spalla gli aveva dato fastidio.
«Tutto bene, la ringrazio.»
«Mi hanno detto che ha una relazione, i miei complimenti.»
«Mmh… Grazie.»
«Volevo semplicemente dirle che se ha bisogno di un prestito per comprare una casa più grande, o per le spese per la festa di matrimonio, può contare su di noi. L’azienda sarebbe disposta a farle un prestito. Stavo guardando la sua scheda e ha abbastanza punti fiducia. Ci fidiamo di lei.»
«Grazie, per adesso non ne avrò bisogno.»
«Ah, vedo. Torni pure al suo lavoro allora, non la tratterrò più a lungo.»
«Grazie ancora, signor Bruni. Buona giornata.»
Tristano se ne tornò al suo ufficio con la sensazione di aver fallito una prova.
Alla fine della giornata, raggiunse Bianca al ristorante tailandese dove si erano dati appuntamento. Era stata Bianca a sceglierlo, una collega ci aveva mangiato la settimana precedente con suo marito e le era piaciuto molto. Consigliava la zuppa. Bianca arrivò quasi di corsa, con una cartellina piena di documenti dell’ufficio sotto al braccio. Si salutarono con un bacio sulla guancia.
Si sedettero, il cameriere venne ad accoglierli e diede loro un menù.
«Tristano, che hai, sembri soprappensiero», gli chiese Bianca. Allungò la mano per accarezzare il braccio di Tristano, che ebbe quasi un sussulto.
«Niente, sono solo stanco, e ho fame.»
«D’accordo, guardiamo subito il menù allora.»
Ordinarono in silenzio, e quando il cameriere se ne fu andato, Bianca gli chiese com’era andata la giornata di lavoro.
Tristano ebbe un momento di esitazione, avrebbe voluto confidarsi con lei. «È andata bene, dai, niente di nuovo, ormai conosco il lavoro a memoria.»
«Ti annoi? Vorresti cambiare?»
«No no, non volevo dire quello, sto bene dove sono, per adesso, almeno.»
«Per adesso?»
«È un modo di dire, non volevo dire niente. Parliamo d’altro, dai.»
«Cosa ti va di fare questo fine settimana?»
«Non lo so, non ci ho ancora pensato.»
«Potremmo invitare a cena il tuo collega Gregorio e la moglie Maria, che ne dici?»
Tristano non si ricordava di averle parlato di Gregorio, però allo stesso tempo avrebbe potuto aver letto questa informazione sulla scheda del software di selezione delle coppie. Gregorio era l’unica persona che si avvicinava a essere un amico.
«Bianca, stavo pensando che questo fine settimana mi piacerebbe andare in montagna.»
«Bella idea, mi piace fare trekking, e anche il campeggio.»
«Mi piacerebbe andarci da solo, se non ti dispiace.»
«Ah, ho capito. Va bene, non ti preoccupare, ho un po’ di lavoro arretrato.»
«Potresti anche uscire con le tue amiche.»
Bianca non rispose. Finirono la cena in silenzio. Tristano finì la zuppa e l’insalata che aveva ordinato, anche se non aveva più fame, ma si era dimenticato di portarsi un contenitore, e non voleva pagare la multa per aver ordinato troppo cibo e non poter portarselo a casa. Si salutarono con un abbraccio frettoloso, e quella sera per la prima volta ognuno se ne andò a casa per conto suo.
Il giorno dopo Tristano preparò lo zaino e la tenda per la sua gita in montagna. Prese un libro, una torcia, un panino per il viaggio in treno, la cartina del parco naturale e la bussola e uscì di casa. Si diresse verso la stazione dei bus, che gli avrebbe permesso di guadagnare qualche “punto Ambiente” in più rispetto al treno. Era da tanto che non passava un fine settimana intero da solo, fuori città. Sentiva una stretta allo stomaco, un misto di eccitazione e nervosismo che gli fece pensare che correre un rischio ogni tanto forse valeva la pena. Dopo un viaggio di un’ora e mezzo circa sarebbe arrivato all’ingresso del parco naturale dove avrebbe passato i due giorni. Il parco era abbastanza esteso per poter piantare la tenda non troppo vicino ad altre persone e godere di un po’ di tranquillità.
Tristano non aveva notizie di Bianca dalla cena al ristorante tailandese. Gli mancava, non era poi così male avere compagnia la sera, poter parlare dei film che guardava, avere qualcuno con cui provare un ristorante nuovo. Quella sera aveva scelto Inception, avrebbe voluto chiedere a Bianca se secondo lei la trottola alla fine cadeva o no. Era uno dei tanti film che aveva visto con Ruggero quando vivevano insieme. Avevano parlato a lungo del film e dell’ultima scena, Ruggero pensava che la trottola finisse per cadere, invece secondo Tristano continuava a girare su sé stessa.
Suonarono alla porta. Tristano andò ad aprire: erano due poliziotti. Erano molto giovani, pensò Tristano, dovevano aver appena iniziato a lavorare, uno dei due aveva solo un accenno di baffi.
«Come posso aiutarvi?»
«Dobbiamo farle qualche domanda», disse Baffetto, come lo aveva soprannominato Tristano nella sua testa. «Dov’è stato durante il fine settimana?»
«Sono stato in montagna, appena fuori città.»
«Con chi?»
«Da solo.»
«Perché non è andato con la sua fidanzata?»
«Volevo passare un po’ di tempo da solo.»
«Perché non si è portato dietro il telefono?»
«Non vi capita mai di volervi disconnettere da tutto e tutti?»
«No, signore. Conosce la legge, deve essere sempre raggiungibile.»
«Abbiamo un mandato di perquisizione per casa sua». Era stato l’altro a parlare adesso, era quello che andava diritto al sodo, si disse Tristano, mentre si metteva da parte per farli entrare in casa sua. Gli cadde lo sguardo sullo schermo, non aveva messo il film in pausa e nel frattempo era arrivato alla fine. Non aveva fatto in tempo a vedere se la trottola si fermava o continuava a girare.
I due poliziotti controllarono i documenti sul suo computer, dai film alle foto. Baffetto prendeva appunti sul suo tablet, mentre il suo collega prendeva in mano ogni oggetto, ogni libro, ogni lampada, ogni bicchiere, ogni foglietto che trovava e li lasciava cadere per terra. Poi passò alla stanza da letto, rovistò sulla scrivania, aprì ogni cassetto del mobile e rovesciò il loro contenuto per terra. Tutto finiva inesorabilmente per terra, quasi lo facesse apposta a creare più disordine possibile. Quando finalmente se ne andarono, due ore dopo, Tristano volle finire di guardare il film, ma appena riaccese il programma di streaming, si accorse che gli avevano sospeso la connessione internet per 48 ore.
Durante la pausa pranzo a lavoro solitamente Tristano mangiava in mensa. Non era uno di quelli che si portava il pranzo da casa, e nemmeno tra quelli che restavano davanti al computer tutto il giorno senza staccare mai. Quel giorno era sceso in mensa con Gregorio, che era venuto a bussare alla porta del suo ufficio per invitarlo a mangiare con lui.
Appoggiarono il vassoio su un tavolo vicino alla parete di vetro, da cui si vedeva il fiume, e si sedettero. Gregorio gli chiese come andavano le cose con Bianca. Tristano domandò notizie della moglie, Maria, che non vedeva dalla festa di Natale dell’azienda, e della figlia Elisabetta, che non aveva mai incontrato, nonostante avesse già due anni.
Tornato in ufficio, Tristano vide che gli era arrivata una scheda dal software di selezione delle coppie. Qualcuno aveva notificato al software della sua rottura con Bianca, anche se nessuno dei due aveva messo fine alla loro relazione in alcun modo concreto, avevano semplicemente smesso di parlarsi due settimane prima. Adesso però gli era arrivata la scheda di un’altra donna. Cancellò l’e-mail senza neanche aprirla, noncurante dei punti che probabilmente gli avrebbero tolto per questa insolenza. Dopo l’esperienza degli ultimi mesi era giunto alla conclusione che alla fine stava bene così, da solo. Chiuse la casella di posta elettronica e si concentrò sulla presentazione che doveva preparare per la riunione del giorno dopo. Il signor Bruni aveva ricevuto dal sistema di valutazione automatico una scheda sul rendimento e il valore di Tristano per l’azienda e voleva parlarne con lui.
Ho avuto i brividi nel leggere questo racconto di Desirée Ketabchi. Mentre la mente suggeriva che fosse una narrazione di un futuro distopico, avevo la sensazione che tutto ciò non riguardasse “ciò che ancora non è”, ma “ciò che è già”. Con la differenza che nel racconto c’è una sorta di dittatura informatica , quindi qualcosa di esterno agli esseri umani che li obbliga a comportamenti assurdi; nel nostro presente, invece, noi diventiamo i dittatori di noi stessi quando cerchiamo l’anima gemella affidandoci a software, quando facciamo le cose solo per un tornaconto (per acquisire punti), quando rispondiamo prontamente alle imposizioni della società che ci vorrebbe tutti sposati con un solo figlio.
Lo scritto di Desirée ci mette di fronte a questa realtà e sottolinea, inoltre, quanto la condivisione vera e profonda non nasca da imposizioni e artefatti, ma da un’esigenza interna. Tristano rimpiange l’amico Ruggero, scappato dal Paese con gli affetti a lui cari – tutti gli affetti, tranne lui.
Quando, infine, giunge un’altra scheda vediamo il nostro protagonista avere un motto di ribellione… mi piace immaginare che prima o poi uscirà di casa per raggiungere l’amico e magari (chissà?) incontrare casualmente una donna a cui sentirsi legato fino a provare quella”sensazione di insicurezza senza contorni. definiti addosso”.
Brava, Desirée! Spero di leggere presto un altro tuo racconto.