Once you go Hanging Rock…

di Vargas
Copertina di Edizioni Arcoiris.

Ritorno a Hanging Rock è un’antologia a cura di Emanuela Cocco e prima installazione di Trema, una collana per Edizioni Arcoiris che mira ad esplorare un determinato frangente di orrore: non propriamente paura, più quell’ingiustificata inquietudine che ti scuote con un singolo brivido, spiacevole abbastanza da rubricare l’esperienza come qualcosa che uno non vorrebbe ripetere, ma non da seguire davvero il proposito.

Parlare di quest’antologia mi trova in imbarazzo: Ritorno è chiaramente il tassello di un progetto più ampio di cui sarebbe opportuno trattare con una prospettiva completa, ma siccome pletore di inguaribili ottimisti continuano a sostenere che c’è gente che persevera nel leggere recensioni, chi sono io per oppormi?

Il titolo della raccolta rimanda a Picnic at Hanging Rock (1975), film di Peter Weir dove un gruppo di educande di un collegio australiano di inizio Novecento ha la brillante idea di passare San Valentino all’ombra di una formazione rocciosa nel mezzo del niente. Segue svenimento di massa di origine non troppo chiara (probabilmente legato alla dimensione onirica onnipresente in vari culti aborigeni), al termine del quale una delle ragazze svanisce. Seguono peripezie.

L’antologia, ritorna (ahah) a due dei nuclei del film: il contatto con qualcosa di ineffabile e la più o meno simbolica sparizione di un essere umano, fato peggiore della morte: la dipartita ci dà una conclusione soddisfacente, mentre la scomparsa lascia sempre uno spiraglio di dubbio che impedisce di trovare pace.

Scrivere narrativa dell’orrore è sempre complicato. Il cinema ha dimostrato (peccando spesso di una certa faciloneria) di essere un media molto più adatto a toglierci il sonno. Le immagini sono vivide, il ruolo della musica inestimabile e a dirla tutta, basta un pupazzone coperto di sangue finto che spunta all’improvviso da un angolo a far saltare sulla sedia buona parte del pubblico. La letteratura, tutti questi strumenti se li sogna e Cocco opta con sapienza per una forma di orrore lento e strisciante, che più si addice alla carta stampata. Ovviamente la faccenda richiede un livello di competenza diverso.

La raccolta si divide in quattro filoni: storie (approssimativamente) di fantasmi, tra cui brillano i racconti di Franceschelli e di Furia; un filone più lovecraftiano che apre trionfale la raccolta col duo SonPei; uno che chiamo intimista per non ripiegare su miscellanea realistica, dove l’orrore viene sostituito da un senso di ansia diffusa (Gallico, o il gioiellino meta di Lacavalla che scomoda addirittura il cast originale di Hanging Rock); infine, storie che non riesco a leggere se non come comico-grottesche, prima su tutte quella di Pierluca D’Antuono, una specie di racconto double face, al contempo dell’orrore e fanfiction trasfigurante su La Nuova Verdə.

Al contrario di altre antologie di questo tipo e al netto di una spiccata eterogeneità stilistica, non è la qualità della scrittura (generalmente alta), ad oscillare. Ogni brano è curato più che professionalmente da Cocco, mentre la presa dei singoli autori sullo spazio messo a disposizione non può sempre vantare altrettanto.

Alcuni pezzi suonano come il prologo di storie da ampliare, non per fornire spiegazioni (il mistero nel cuore di Hanging Rock rimane fondamentale), quanto per lasciare più tempo al lettore di percorrere i corridoi asfittici del testo e perdersi in un sentimento che trae la propria forza nella persistenza temporale. Un esempio è il (comunque ottimo) pezzo di Di Furia, che sembra scapparci velocemente di mano appena prima del dipanarsi di un qualcosa di più grande, debolezza non esibita da Franceschelli che invece imposta nelle pagine a disposizione una vicenda la cui forza risiede nella tangenzialità della voce narrante rispetto agli eventi.

Un altro elemento gestito con fortune alterne è quello delle illustrazioni interne, a cura di Cristiano Baricelli e Sergio Caruso. Il tono dei due artisti sembra creato su misura per quello dei racconti: immagini confuse, opprimenti, incubi da dormiveglia, che però finiscono castrati dalle limitazioni di una piccola stampa in bianco e nero, segregati insieme alle biografie a una pagina di distanza dal testo e incapaci di aprire la lettura come dovrebbero.

La struttura stessa dell’antologia, con l’impaginazione di biografie, illustrazioni di copertina e testo rimanda a quella delle varie riviste del litweb e sorge spontaneo il dubbio che un formato magazine, con la libertà grafica che comporta, avrebbe potuto rendere molta più giustizia ai contenuti e alla sequenzialità del progetto.

Come nota personale, mi ha urtato un po’ che siano presenti le biografie di tutti i partecipanti, anche del traduttore dell’unico allucinante racconto straniero, ma non quella della curatrice.

Al netto di questi inevitabili difetti (Ritorno è la prima curatela di Cocco), l’antologia mantiene le sue promesse: ci accompagna per mano in un’uncanny valley di misteri irrisolti, orrori scorti con la coda dell’occhio e assenze insopportabili, a cui si aggiunge una cura per il testo che può essere tradotta solo come un atto d’amore.


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