di Adriana Follieri – Manovalanza
Copertina di Manovalanza
Arriva un momento, – arriva sempre ma non è mai allo stesso punto del lavoro e non sono mai uguali le condizioni che lo preparano, – in cui tutte le visioni più intime custodite nelle settimane diventano aperte e si svelano. La cova è finita. Questo momento, che poi è una personalissima festa, si scatena quando arrivano i collaboratori, i rinforzi, gli amici. Ieri è stata questa festa. Un’armata Brancaleone carica di borse coi costumi da far provare agli attori e alle attrici per capire insieme cosa funziona e cosa no. Una carovana di teatranti e musicisti accaldati lungo la salita che conduce al carcere, con il mare ambizioso a strapiombo e a perdita d’occhio, gabbiani dappertutto. Una compagnia di artisti che dopo tutte le riunioni e le premesse vengono per la prima volta insieme in carcere a condividere la giornata di lavoro: violoncello, flauto e tamburo ben protetti nelle loro custodie da aprire solo un momento per il controllo all’ingresso e poi via, in sala con tutto il resto della compagnia per le prime prove musicali. Il tempo è pochissimo e tutto richiede tempo, i ragazzi sono elettrizzati, la mia attenzione si sposta da una parte all’altra cercando ancora una volta di direzionare le energie di ciascuno verso il lavoro, per non disperderle, per non perderci. Eccoci. Le prove sono frammentate ma di qualità. Vorrei avere l’intera giornata a disposizione con tutti loro, per non rincorrere i momenti della creazione né quelli della ripetizione, vorrei poter condividere alcune riflessioni sul percorso, su quello che ci prepariamo a portare in scena, ma in questa sala piena e rumorosa l’unica strada che riusciamo a percorrere bene è quella dell’azione pura e immediata, e così facciamo. Scena per scena, una piccola azione dopo l’altra, disordinatamente eppure senza perdere il filo, entriamo nel dettaglio di ogni situazione; gli oggetti di scena non sono quelli definitivi e allora ci arrangiamo con quello che c’è: una sedia, una scopa, il mio foulard bianco che alla fine di questa giornata non è più tanto bianco. In alcuni momenti il lavoro di trasformazione prende la discesa, negli occhi diffidenti si solleva il piccolo godimento del gioco e il teatro si manifesta, tutti ce ne accorgiamo, siamo contenti e non ce lo diciamo. Torniamo a parlare delle cose da fare, ci organizziamo, prendiamo appunti.
Le giornate sono tutte diverse, ma da quando il teatro si è affacciato nel nostro gruppo di lavoro (non come attività ma come linguaggio) riconosco il desiderio sottile e discreto in tutti di ritrovarne un pezzetto ogni volta, in ogni incontro. La proporzione tra la negazione e la possibilità di far accadere Teatro è ancora sbilanciata, la lente d’ingrandimento deve puntarsi e fare leggibile ciò che è sfocato, quindi per me avere compagni di lavoro a supporto è uno slancio e una forza. Ringrazio la tenacia che mi ha fatto insistere per averli qui con me. È sabato e ci prepariamo per uscire, di nuovo carichi come muli a rifare la strada al contrario. Sistemo le ultime cose nella mia borsa e vedo Pasquale, fermo sulla porta, che abbraccia il suo violoncello già richiuso nella custodia nera; risponde ad un ragazzo affacciato alla finestra sopra di lui che gli ha chiesto qualcosa della musica… “sì, è grande, ed è bellissimo”. Si sorridono con una dolcezza disarmante.
Ognuno è un fiore
e viva è la sua voce
Ecco la costruzione di un giardino in fioritura, dove ogni giorno è una primavera e qualcuno nasce alla bellezza inattesa. I miei appunti intanto prendono forma per la scena. Qualcosa spero ritroveremo alla fine:
- Avanzare di ritorno – l’esilio di Oreste.
Per alcuni mesi ho pensato alla lontananza tra i due fratelli esclusivamente in termini di propensione, tensione, attesa. Ho guidato Sara e Alfredo, e tutti gli altri con loro, a comporre con me questa attesa, a cercare al suo interno la dinamica del ricongiungimento. I due fratelli hanno guardato il cielo, letto una corrispondenza intermittente e confusa, cercato una stella guida per concludere il viaggio. Adesso che l’attesa si è appoggiata su forme più rassicuranti e che le scene si vanno componendo e fissando sempre di più intuisco che il tempo della distanza nutre invece il più denso movimento di ricerca di sé: lo spazio intimo in cui l’altro non è ancora contemplato nonostante l’attesa sia costante e le sue manifestazioni continue. Il gioco solitario si fa strada, e una partita a dadi giocata in controscena nell’angolo a destra mi riporta a scenari notturni su campi di battaglia o a pomeriggi al mare in cui il tempo non chiede di essere interrotto. L’esilio di Oreste è questo avanzare di ritorno, giocare una partita a dadi anche se si è fatto tardi.
- Radiodramma con Elettra live – l’abisso.
La sola idea mi angoscia, ma esiste la possibilità che la compagnia di attori e attrici detenuti non possa uscire al completo per lo spettacolo in teatro. Le complessità e le variabili sono molte e si presentano a raffica sovrapponendosi, a volte annullandosi. Preparo uno spettacolo con tutto il coraggio e la tenacia di cui sono capace ma forse le persone che lo stanno costruendo con me non ci saranno, saranno già uscite e non avrò potuto salutarle, o peggio dovranno restare in carcere perché non autorizzabili all’uscita. Non posso scegliere con chi lavorare, e d’altra parte ho scelto di lavorare con tutti, senza paracadute. Questo abisso mina in me ogni giornata di lavoro, ogni ipotesi e proposta registica e testuale, ogni ragionamento sui costumi; le riunioni tecniche mi lasciano sconfortata. Eppure non c’è spazio per lo sconforto. Davide intravede uno spiraglio e mi inonda di fiducia, Federica resta salda e non mi molla, Francesco è dolcissimo e la sua disponibilità ricade su tutto come un dono, Armando mi accompagna da lontano e con lui tutto il circo della Fortezza, mio fratello Francesco ascolta generoso, offre piani di lettura appassionanti, grazie a lui ho iniziato a raccontare qui il processo di costruzione dello spettacolo e forse qualcuno ha cominciato a leggere. Ci siete e non è poco. Un pezzo per uno suggerite la strada.
Decidiamo di lavorare contemporaneamente alle prove e ad una sorta di radiodramma: registriamo i testi, le piccole frasi, i monologhi e dialoghi, così da avere una traccia di tutti incisa e forse utilizzabile, in ogni caso una memoria del lavoro che mi porto dietro anche una volta uscita. Abbiamo una bombola d’ossigeno per tuffarci dentro l’abisso.
- Fioriture – e i fiori?
L’idea della fioritura che mi ha guidata per alcuni mesi mi sembra ora complicatissima da realizzare. Immagino che i personaggi inizialmente vestiti in modo semplice (bianco?) man mano che le dinamiche si sviluppano vedano nascere fiori su di sé, come un’emanazione indisciplinabile, come una primavera urbana la cui fioritura non richiede innaffiatoi. È un’immagine che continua a convincermi, ma ho poco tempo e desidero passarlo il più possibile in carcere con gli attori e le attrici piuttosto che a seguire la realizzazione dei fiori da applicare agli abiti e ai corpi. Chiedo aiuto a mia madre e a mia zia Maria, che vengono una domenica a Napoli a sollevarmi da quest’impasse. Fabbricano e fabbricano. Abbiamo fiori.
Fottitene e balla
Tra i rottami balla
Il giorno e poi la notte
La ninna nanna per separarli
La cometa fa il giro intorno
La terra è ferma ed è meglio che ci resti
Così l’eroe può non partire ancora
Il suo momento per la guerra può aspettare
L’eroe e l’eroina allo specchio
Illuminati dalla loro stessa attesa
Illuminati dalla cometa
Speranza-desiderio
Voglia di ritrovarmi
Combaciare perfettamente
Combaciare è come baciare, non è vero?
Così siamo fratelli
Così siamo sorelle
Così il fratello e la sorella sono una cosa sola
Siamo eroi grandi
Ma una ninna nanna consola pure i grandi
Pure gli eroi consola.
La griglia, l’antefatto, i torti e le ragioni stanno scritti sopra il libro. A me interessa di non essere frainteso, di sentirmi con la faccia sulla faccia quando mi descrivi.
L’esiliato è un novello Pollicino che cerca di ricordare la strada di casa. L’esiliato cerca di ritrovare la memoria delle cose care, le facce, le voci di casa. L’esiliato cerca le tracce del passato che si intreccia nel presente per ricamare il futuro. Tutti questi fili sono fili elettrici. Sui fili elettrici volano gli uccelli che non possono essere fermati dai muri. Oltre i fili e i muri volano i gabbiani di Nisida. I fili e le antenne di una radio inventata e costruita pezzo per pezzo come le briciole che riportano a casa. La radio è la cometa. Oreste ed Elettra senza saperlo incastrano le loro voci. Tutte le altre voci sono palinsesto, ora doloroso, ora felice.
Parlarsi addosso.
Cantarsi addosso.
Chopin
No.8 In F
Ancora, fottitene e balla. Tra i rottami balla.