L’anno della Mossa del Pinguino

di Vargas
Copertina di effequ + Susan Orlok

Questa recensione, come il libro di cui parla, non è un sequel, ma una continuazione. Siccome ripetere altre due volte le stesse cose ci pare la definizione di follia, consigliamo la lettura propedeutica della prima parte, giusto per farsi un’idea di cosa sia cambiato alla luce del secondo volume.

Oppure no, non sono vostra madre.

Come al solito si rischia un modicum di spoiler, ammesso e non concesso che per quest’opera abbia senso.

La Dorsale, l’anno dell’oro (di qui AdO) è un romanzo di slice of life in ambientazione inventata di Maria Gaia Belli, edito da effequ a fine 2022.

Continua a seguire le vite di Luk, Key e Kami, questa volta all’interno dell’Accademia in cui sono finiti più o meno volontariamente arruolati. Nessuno è cambiato granché dal primo volume e se possibile, all’attivo dello sforzo di adattarsi alla vita in caserma, sono tutti e tre ancora più sé stessi di quanto non fossero prima. Luk è il solito orango del primo capitolo, un gomitolo di complesso di inferiorità e schiacciante responsabilità che lo plasma, paradossalmente, nel protagonista più convenzionale del romanzo: un mix tra Rocco e Simone Parondi (Rocco e i suoi fratelli, Visconti, 1960) smangiato dal senso del dovere verso la famiglia e il bisogno di crearsi una vita da ostentare di fronte agli altri. Key è ancora l’illustrazione che sul vocabolario uno potrebbe trovare di fianco al lemma Ipersensibilità, s. f.: non può stare al sole, non sopporta i rumori o gli odori forti, va soggetto ad attacchi di panico. Da quando lo abbiamo lasciato è diventato un dottore, professione con cui stempera un po’ questo suo essere l’eterno straniero. Infine, Kami: la stessa Heidi grimdark de l’Anno del Ferro, abrasiva, poco comunicativa, rigorosa, selvatica che per sua fortuna non solo conosce a menadito la Dorsale (la Renania-Saar del worldbuilding, contesa da tutte le fazioni in gioco), ma è anche un asso a cavalcare i Draghi.

Ciò la rende contemporaneamente una risorsa strategica inestimabile e una campionessa sportiva, in un mondo dove qualsiasi disputa diplomatica viene definita a cavallo di un drago. La letteratura d’invenzione, tradizionalmente, serve a parlare della realtà e infatti come nella realtà, la piccola ingestibile selvaggia, una volta divenuta sfruttabile dal sistema che la tiene in ostaggio, smette di essere un problema per l’Accademia e lo diventa per chi è costretto ad averci a che fare.

Dove i primi due co-protagonisti hanno un impatto relativo sul mondo, Kami ne è uno degli ingranaggi più ingombranti, trasformando questo capitolo della Dorsale a tutti gli effetti nella sua storia.

Questo aspetto si porta dietro anche un cambio di struttura del romanzo: dalle lunghe soggettive a chiusura stagna del primo capitolo, si passa a un avvicendarsi più serrato tra i punti di vista a cui si inframezzano brevi passaggi di valore contestuale. Il mondo della Dorsale, infatti, va avanti nei 15 anni coperti dalla narrazione. C’è anche un disastro naturale verso metà libro, ma noi non lo vediamo. Stiamo ingabbiati nel punto di vista dei tre protagonisti, ognuno ben chiuso a riccio nei propri affari, in particolar modo quelli quotidiani, quasi sempre relativi a Kami.

AdO è un avvicendarsi di chiacchiere, piccole prassi, litigi relazionali che si interrompono appena prima di eventi che gli stessi protagonisti dipingono come fondamentali, gare continentali o azioni belliche rischiose: una lunga ballata senza ritornello, con una singola differenza. Questa volta, ansiogeno all’apertura di ogni sezione del libro sta un conto alla rovescia per l’inizio della Guerra, un conflitto che resta sullo sfondo e che diventa visibile solo prendendosi la briga di riunire i pezzi di ciò che viene descritto fuori dalla scena.

Un conflitto che inizia esattamente quando finisce il libro.

Di nuovo.

E qui veniamo alla questione del genere, che i più perspicaci avranno notato essere cambiato rispetto alla precedente recensione.

Il primo volume de La Dorsale è stato commercializzato come fantasy, sul secondo invece il sito effequ mantiene il silenzio. La trilogia viene definita in maniera più neutra come “fantastica” e anche qui ci sarebbe da discutere, ma il discorso sul genere è lungo, terribile e per lo più futile (almeno a questo punto dell’elaborazione) e l’unica etichetta che mi sentirei di allungare all’opera è quella di invenzione, nel senso che il mondo della Dorsale si distanzia dal nostro solo per geografia e perché abitato da una razza di grossi ovipari che non potrebbero volare, ma lo fanno lo stesso. Si potrebbe obbiettare che qualsiasi opera di narrativa sia opera d’invenzione, al che rimando alla questione del discorso lungo, terribile e futile di cui sopra.

Quello su cui mi preme rimarcare, invece è il tema dello slice of life.

La Dorsale non è un romanzo di formazione, o per lo meno non lo è per adesso. I personaggi non “crescono” nell’ottica pedagogica che di solito si ascrive al genere, ma invecchiano (Zach Wienersmith lo disegna qui molto meglio di me). L’opera non segue una vera trama, ma osserva le reazioni e relazioni dei personaggi dati determinati presupposti. Le grandi gesta, la storia, in maiuscolo come in minuscolo, è sempre fuori dall’occhio della telecamera, che invece si sofferma sui piccoli eventi quotidiani. Per fare un esempio, Kami parla molto di rado di quanto effettivamente corra sui draghi o organizzi operazioni militari e molto di più del tempo che spende a cercare sigarette in ogni singolo locale in cui riesca ad avere accesso.  

Da un certo punto di vista, ricorda Boyhood (Linklater, 2014).

L’approccio slice of life viene confermato indirettamente dall’autrice stessa. La Dorsale è qualcosa che la accompagna da molto prima di diventare un romanzo e ha senso che una volta calato in un contesto narrativo, il mondo viva e respiri per fatti suoi, mentre Belli segue con attenzione i personaggi che ci vivono dentro. Non è un approccio comunissimo in letteratura, ma basterebbe leggere un paio di manga per notare come si tratti di un genere più che consolidato.

Dire di più del libro, a questo punto non ha ancora senso. Sarebbero pronostici e siccome su queste cose la SNAI non organizza nulla, non vale la pena provare.

A fine libro, quella Storia pervicacemente ignorata per due volumi irrompe nelle vite dei protagonisti: un ulteriore cambio strutturale sarà inevitabile e noi di Malgrado le Mosche saremo ancora qui per parlarne un po’, perché se non si parla delle opere d’arte allora che le facciamo a fare?


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