di Carlo Martello
Copertina di Mondadori
Stella Poli è una delle autrici che più si è fatta notare in questi ultimi anni grazie ai racconti pubblicati su diverse riviste, alle collaborazioni, all’intelligenza che ha messo in ogni scrittura e in ogni progetto.
In parecchiə aspettavamo il suo romanzo d’esordio e siamo statə felici di averne notizia, personalmente addirittura prima di leggerlo, perché vale (quasi) sempre la regola della Nouvelle Vague, per cui il peggiore film di Hitchcock è comunque un film d’autore, con tutte le conseguenze del caso. La gioia avvenire, edito da Mondadori, non ha tradito le aspettative.
Senza svelare troppo della trama, che nonostante le apparenze riveste invece una sua importanza, la vicenda ruota intorno a una ragazza, adulta nel presente della narrazione, stuprata da un uomo molto più grande, con uno specifico ruolo sociale, molto attento alle ripercussioni delle sue azioni, estremamente calcolatore. Da questo trauma, con ruoli non secondari di altrə personaggə, si dipanano una serie di relazioni variamente conflittuali e l’intera storia raccontata da Stella Poli.
Detta qualche parola sulla vicenda, a mio parere sono due i punti che emergono con forza, addirittura con rabbia, dalla lettura de La gioia avvenire (il titolo richiama l’omologa poesia di Fortini, che può avere senso leggere prima del romanzo e che si trova facilmente su internet): la potenza, la consapevolezza e la bellezza della lingua di Stella Poli e la dimensione politica del romanzo, di nuovo, estremamente consapevole.
Riguardo allo stile, basta intraprendere la lettura per accorgersi di essere di fronte a un’autrice che non cerca la frase a effetto per il gusto di farlo, ma che costantemente si impegna per trasferire una o più emozioni all’interno della frase o di una porzione di testo più lunga. Talvolta perfino le singole parole scelte assolvono la stessa funzione.
Per cercare di spiegare, innanzitutto a me stesso, lo stile di Stella Poli in questo romanzo (ma forse posso azzardare che la sua ricerca era iniziata molto prima e in diversi racconti pubblicati qua e là se ne può trovare traccia di questa lingua sentimentale, rabbiosa, insofferente alle regole ma pure cavillosa), ho dovuto ricorrere alla poesia e alla musica, più che alla prosa. Allora vengono in mente Fortini, che del resto dà il titolo all’opera, Caproni, certi esperimenti del surrealismo, e nella musica, se l’intuizione è corretta, soprattutto il free jazz. È chiaro che è necessario lasciarsi andare, sospendere le idee precedenti, essere disponibili ad accettare frasi monche, ripetizioni, brevi elenchi, cambi di tono improvvisi (che rispecchiano incredibilmente le età diverse della protagonista), cadute vertiginose quando un paragrafo diventa completamente un’altra cosa, magari per via di un ricordo che rovescia la prospettiva della narrazione, esattamente come un ricordo traumatico fa nella vita delle persone.
Dico che quella di Stella Poli è una lingua sentimentale nel senso della ricerca delle emozioni, dei salti che fa il cervello. In questo lavoro linguistico, un peso rilevante ce l’ha la psicanalisi, che non solo si fa personaggio, non solo viene evocata esplicitamente in almeno un paio di occasioni, ma soprattutto segna la ricerca linguistica, è in un certo senso lo strumento, o meglio, uno degli strumenti, attraverso cui l’autrice crea la lingua dei sentimenti di cui sopra. Alcuni passaggi del romanzo sembrano delle sedute di autocoscienza, altri degli incontri di psicanalisi. Chiunque abbia fatto psicanalisi, anche solo per un breve periodo, non farà fatica a riconoscere che le frasi smozzate sono esse stesse rielaborazione del trauma, che il tono in seduta cambia, anche in modo radicale, quando il pavimento delle resistenze crolla. E si potrebbe continuare.
Sempre riguardo alla lingua, alla psicanalisi, alla capacità narrativa dell’autrice di sfondare le pareti del già detto e del prevedibile, per cui concetti conosciuti assumono forme e significati nuovi, una sola metafora vale già il prezzo del libro per quanto è esatta: la descrizione delle sensazioni di chi prova a uscire da un evento traumatico e terribile come quello di una violenza ripetuta, è resa attraverso l’immagine di un elastico attaccato a un chiodo. Non si giudica un giocatore da un calcio di rigore, non si giudica un’autrice da una metafora, ma applausi al rigore perfetto.
Tutto il romanzo, lo si sarà capito, si tiene su vari livelli di equilibrismo, quello della ricomposizione della persona, della risoluzione dei traumi (perché la violenza sessuale genera traumi a catena e il romanzo lo rende in maniera egregia), della tenuta stilistica, della musicalità, spesso dissonante, della lingua e, non ultimo, del piano politico. Lo dico subito: trovare in Italia, in questo momento storico, un romanzo con ambizioni popolari, così esatto dal punto di vista politico è qualcosa che mi ha fatto gridare al miracolo. Libri sul tema ne abbiamo a iosa, molti sono ottimi romanzi. Uno dei pregi de La gioia avvenire, che raramente si riscontra altrove, è che si tratta di un romanzo non didascalico, un romanzo avvincente, scritto con estrema cura.
Stella Poli riesce, per dirne una, a dare una definizione del consenso, che non è mai dato per sempre, incredibilmente efficace nella forma narrativa. Si trova a pagina 42, me la sono segnata perché è opera non solo di tecnica narrativa, ma di un’intenzione politica profonda.
Allo stesso modo, all’interno della narrazione, in più punti si rende visiva, di pietra, la difficoltà di denunciare che una donna deve purtroppo farsi carico, perché, il romanzo lo dice così bene da far ricordare le abilità di Heinrich Böll, da principio non sarà creduta, perché le saranno poste domande assurde, perché la giustizia è stata disegnata dagli uomini, da sempre, e funziona in un modo diverso, perfino quando vuole essere “accogliente”. La gioia avvenire è anche, e fortemente, un libro sulla giustizia; operando una forzatura è un libro sul rapporto di incomunicabilità tra la giustizia e la società, ovvero tra la giustizia e le persone.
L’ultima annotazione la prendo da un post di Facebook che ho letto per caso e che però mi ha trovato completamente d’accordo. Veronica Galletta scrive, su Facebook appunto, che la lunghezza del romanzo è esatta. In un primo momento, alla prima lettura, l’ho pensata diversamente. Invece ha ragione lei, soprattutto ha ragione Stella Poli. E credo che anche questa sia una scelta politica, perché, come diceva Veronica Galletta, vado a memoria, tirarla per le lunghe sarebbe stato fare pornografia del dolore.
Il trauma, il dolore, la sofferenza, le macerie, niente di tutto questo è espunto dal romanzo, ma è trattato con estrema cura, linguistica e politica. Non è un saggio, non vuole esserlo, è un romanzo. Ma è un romanzo che ha presente, non se lo scorda proprio mai, il mondo in cui viviamo, le dinamiche cui partecipiamo, le lotte femministe, il loro impatto sulla società.
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