di Beatrice Fiorenza e Mariel
copertina di Battaglia edizioni
Battaglia edizioni è una casa editrice imolese nata nel 2019, col motto “Potere ai lettori!”. Specializzata in letteratura contemporanea, di attualità e sportiva, di cui pubblica romanzi, saggi e memorie nella collana Aquilone cosmico, tra cui figura Dónde está Daniel Schapira. Desaparecido. Gli autori sono Roberto Brambilla e Alessandro Mastroluca, entrambi giornalisti sportivi.
Siamo nell’Argentina degli anni Settanta e Juan Domingo Perón ne ha delineato la storia politica sin dagli anni ‘40. Nel 1974, alla sua morte, gli succede la moglie Isabelita il cui governo, nel ’76, viene rovesciato da un golpe che dà avvio al Proceso de Reorganización Nacional, uno dei capitoli più bui della storia del Paese. Durerà fino al 1983. È in questo contesto che si colloca la vicenda di Daniel Schapira, tennista, studente e dissidente.
«Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi» Ibérico Saint-Jean, governatore de facto della provincia di Buenos Aires.
Entrambi avete scritto di sport e storia politico-sociale del Novecento, quindi il libro su Daniel Schapira e l’Argentina della repressione peronista s’immette in un solco già tracciato, ma come ci siete arrivati? “Chi ha lanciato il servizio?”
La prima volta che abbiamo scoperto la storia di Daniel è stato perché Roberto ha scritto un pezzo su Avvenire che parlava delle iniziative della memoria dei club argentini. Ci siamo detti “mettiamola via e quando avremo tempo la faremo”. All’inizio non avevamo né tempi, né scadenze, né sapevamo cosa sarebbe potuto essere il nostro lavoro: un articolo, un long form o un libro. Poi nella primavera 2020 è scoppiata la pandemia e abbiamo pensato ”perché non ci lavoriamo sopra?”. Da lì è nato il libro.
È stato difficile reperire informazioni? Qual è stata la reazione alle vostre ricerche e domande?
Di Daniel sapevamo poco. Erano usciti alcuni articoli in Argentina, il primo dei quali a firma di Oscar Pinco, che poi è stata la persona da cui è cominciato il nostro viaggio di ricerca. In più Daniel era stato il soggetto di una serie di documentari sugli sportivi desaparecidos. In Italia di fatto era uscito poco o nulla. La ricerca non è stata così difficile. Da parte di tutti, a partire dalla famiglia di Daniel, suo fratello Edgardo, da chi l’aveva conosciuto abbiamo trovato massima disponibilità e appoggio. Ovvio che per alcune parti della nostra ricerca ci siamo un po’ ingegnati. Per esempio la parte di Cordoba l’abbiamo scoperta contattando attraverso Facebook un gruppo di detenuti politici e abbiamo trovato alcune persone che avevano conosciuto Daniel. È stato un lavoro abbastanza lungo ma non così difficoltoso.
Quando avete scelto di portare in Italia Schapira, che tipo di pubblico avevate in mente e siete contenti della risposta? In Argentina quanto è conosciuta la sua storia?
Avevamo in mente un pubblico variegato. Nel senso che pensavamo di rivolgerci, sì, a un pubblico interessato allo sport, ma visto che qui il tennis fa quasi da sfondo anche alle persone che si interessano di temi come i diritti umani e l’intreccio tra la storia e lo sport. Come dicevamo prima, la storia di Daniel in Argentina da chi si occupa di tennis e di chi si interessa di diritti umani è conosciuta, anche se non esisteva nulla di approfondito su di lui. Sulla risposta siamo contentissimi. Colleghi argentini, italiani e anche il pubblico delle presentazioni si è dimostrato molto interessato a quello che abbiamo fatto e anche a quello che è l’attualità in Argentina.
Una cosa che vi ha colpito, in positivo e/o in negativo
Indubbiamente ci ha colpito quanto Daniel sia riuscito a lasciare il segno, pur avendo solo 27 anni quando è stato rapito, nelle persone che l’hanno conosciuto. La sua è una traccia molto forte e molto presente ancora oggi in chi l’ha vissuto come maestro di tennis, compagno di università o di militanza. E tutti hanno dimostrato una enorme disponibilità a raccontare, a raccontarsi, a mettere in comunione con noi parti anche emotivamente intense della loro vita, penso soprattutto a chi ha condiviso con Daniel la clandestinità a Cordoba. Le testimonianze dirette ci hanno permesso di dare concretezza a quell’idea del convivere con la paura. Ma un conto è sentirla in un freddo resoconto, un altro è capire quanto profondamente fosse radicata nelle scelte quotidiane. Voleva dire cambiare sempre percorso in autobus o in tram, scegliere di non scattare foto al proprio matrimonio per timore che gli invitati potessero essere riconosciuti. O, ancora, dover rinunciare a indossare un pendaglio con le proprie iniziali, come successo un giorno alla moglie di Daniel dopo un litigio con sua sorella, perché dalle iniziali sarebbe stato possibile risalire alla loro identità. La durezza di certe scelte, che diventavano però la normalità, ci ha molto colpito.
Come avete scelto il tono da dare al libro? Nello stile si avvicina a una scrittura giornalistica asciutta e distaccata, ma bisognava mantenere l’attenzione deə lettorə più a lungo: cosa avete fatto per riuscirci? Durante il lavoro avete mai preso in considerazione l’idea di un andamento più narrativo?
Ci è venuto molto naturale, in realtà. È il tipo di libro che su una storia così avremmo voluto leggere. In questo siamo stati sempre concordi, prima ancora di iniziare a scrivere. Avevamo chiari due principi: non romanzare, non imbellettare nulla; e non metterci davanti alla storia. Il nostro è un lavoro di testimonianza, siamo dei portavoce, non i protagonisti. Andando avanti, intervista dopo intervista, abbiamo capito che sarebbe stata anche una forma di rispetto per tutti quelli che ci hanno concesso il loro tempo, ci hanno fatto entrare in questa storia e ne hanno condiviso con noi tratti non sempre semplici.
D’altro canto non avevamo nemmeno intenzione di scrivere un saggio storico, perché non siamo degli storici. Il racconto di una vita attraversata dalla storia, che è il topos della grande letteratura, l’abbiamo interpretato per questo così. Come, appunto, un racconto. In cui dare spazio alla vita, a quel che Daniel è stato, in cui dare concretezza e tridimensionalità a un’esistenza normale e insieme eccezionale per coraggio. Farlo senza trasformarlo in agiografia, ma semplicemente cercando di farlo rivivere, e attraverso di lui illuminare il contesto, raccontare un’epoca, raccontare il mondo che Daniel guardava e che già non gli somigliava più. Anche per restituire dignità di persona a un ragazzo che, come tutti i desaparecidos, non è soltanto un numero, una statistica.
Grazie a voi!
Alessandro e Roberto
La storia di Daniel Marcelo Schapira è una tra tante, circa trentamila, delle cosiddette desaparecidas: un professionista e un insegnante di tennis – sport popolare in Argentina –, studente di diritto e militante peronista di sinistra, un montonero biondo ed elegante. Sposato con Andrea Yankilevich, militante anch’ella e studente di psicologia, avranno un figlio, Danielito, che lui non conoscerà e lei non potrà crescere. Daniel scompare a 26 anni. Andrea a 25.
Le Abuelas (nonne, e madri) de Plaza de Mayo hanno per prime aperto una breccia nell’omertà dello Stato. Hanno chiesto a gran voce di sapere. E che il mondo sapesse. Lo Stato, poi, ha condannato i criminali, e il libro Dónde está Daniel Schapira. Desaparecido, assieme alle manifestazioni, le targhe e le cerimonie è un ulteriore pezzo di giustizia. Una restituzione dovuta.
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