La bottiglia

di Matteo Romano
Copertina di Beatrice Nicolini

Terry indossava un vestitino fucsia, indecente, e una coroncina di plastica argentata. Mi sembrava una sottomarca di Barbie, a prezzo scontato, di quelle che si trovano affastellate alla rinfusa nei discount. Tutte le ragazze le baciavano le guance sbrodolando cascate di parole al miele e alla marmellata mischiate insieme. Lei le ringraziava con un affilato sorriso metallico che le arrivava fin sopra le orecchie strappandole in due il viso. Ma non appena si allontanavano, tutte quelle streghe si riunivano a confabulare. Trattenendo le loro risatine, bisbigliavano giudizi sul suo vestito, sull’acconciatura troppo vaporosa e sulle placchette verdi dell’apparecchio, che mal s’intonavano al color cappuccino dei suoi nuovi occhiali da segretaria zitella.

Di Terry non m’importava nulla, non mi suscitava neppure un briciolo di pena. Non posso soffrire le manie di protagonismo di persone egocentriche come lei. E ovviamente non eravamo amici, perché io non ho e non voglio amici. Pertanto, a nessuno verrebbe la folle idea di invitarmi ad una festa. Per il suo compleanno, però, Terry aveva invitato – ahimè –  tutta la classe, di cui alla fine si presentò solo la metà. Il motivo per il quale voleva circondarsi di perdenti che la detestavano segretamente mi era del tutto oscuro e insensato. Per quanto mi riguarda, invece, la ragione che mi aveva spinto a partecipare a quella ridicola farsa preadolescenziale era una sola: Monica.

Solo sentir pronunciare o ripetere fra me e me quelle tre sillabe aveva l’effetto immediato di sconquassarmi il petto, offuscarmi il cervello, farmi ribollire il sangue e risvegliare quel molliccio pezzo di carne insignificante che – almeno biologicamente – avrebbe dovuto rendermi un individuo di sesso maschile. Sensazioni inedite e troppo potenti che la mia povera anima desolata non era in grado di sopportare.

Monica Monica Monica. Sempre assorta nella propria inaccessibile galassia. Mi chiedevo cosa custodisse in quei suoi incrollabili silenzi. Le labbra tumide, imbronciate, gli occhi ombrosi, i capelli vorticosi come i flutti di un nero oceano. Se mi avessero costretto a scegliere la mia ultima dimora avrei indicato senza dubbio proprio quell’oceano.

Monica, lussureggiante, già donna, e per questo disprezzata e invidiata dalle streghe. Raccontavano che la sua bocca avesse dissipato baci a destra e a manca, che fosse una suprema maestra della fellatio, ma soprattutto che il suo imene fosse stato già squarciato da tempo. Quei piccoli sgorbi, privi della generosità delle forme femminili, e i cui pensieri si concentravano ancora attorno alle Winx e alle principesse Disney, dipingevano la creatura più straordinaria della terra come una meretrice fatta e finita. Tuttavia, nessuna di quelle volgarità sul suo conto mi turbava. Monica avrebbe potuto essere anche una delle concubine di Satana, la sua cagna favorita, ma io avrei continuato ad amarla sempre con immutabile ardore e dedizione. I nostri spiriti affini, le nostre menti acute, ci elevavano al di sopra del porcile nel quale il resto della classe sguazzava gioioso. Io lo sentivo e lo sapevo perfettamente. Ma lei ancora no. Monica non mi aveva mai rivolto parola. La mia gracile costituzione poi, ancora simile a quella di un moccioso delle scuole primarie, i miei osceni baffetti da latte, non abbrustolivano a fuoco lento le sue tenere e giovani carni, non traghettavano la sua immaginazione in torbidi gorghi nei quali i nostri corpi sospiravano in preda agli spasmi della più lancinante e sfrenata passione. Per questo vivevo – perennemente – con una lama di ghiaccio infilzata appena sotto lo sterno. Se ci fossimo parlati, almeno una volta! Se soltanto i nostri sguardi si fossero sfiorati, per poi agglutinarsi per sempre, allora anche lei l’avrebbe compreso. La sua mente avrebbe conosciuto una sola, straziante ossessione. E il suo cuore sarebbe avvampato in un’indomabile tormenta di fuoco.

Proprio come avevo previsto, quel convegno di microbi sottosviluppati si stava rivelando un supplizio. Me stavo seduto in silenzio, fortunatamente ignorato da tutti. Il mio unico conforto era posare lo sguardo su di Monica, anche lei in disparte, accanto alla finestra spalancata. Incantevole e seriosa, con le braccia conserte sul floridissimo seno.

Gli altri invitati invece non facevano altro che ingozzarsi saccheggiando il banchetto allestito su un tavolo in fondo al salotto. C’erano salatini, patatine bianche e al formaggio, focaccine al pomodoro surgelate, wurstel avvolti nella pasta sfoglia, tartine al salmone e al tonno in scatola, e altro cibo rivoltante che mi avrebbe avvelenato pure l’anima e che non avrei mangiato nemmeno con una pistola puntata su per il mio orifizio anale. Non toccai nulla di quell’immondezzaio, ma, dato che osservare Monica mi agitava al punto tale da mettermi lo stomaco in subbuglio, mi limitai a bere solo un bicchiere d’acqua.

Quel branco di animali senza coda, che razzolava ridendo e schiamazzando, aveva ormai intriso l’aria di idiozia e fallimento. Non respiravo più. Se avessi avuto un coltello almeno avrei potuto tracheotomizzarmi. Poi scrutai Monica, sempre immobile alla finestra. Decisi che avrei finto di prendere solo una boccata d’aria. In questo modo non avrebbe potuto ignorarmi. Fissarla negli occhi e annusare la sua meravigliosa fragranza mi avrebbe di certo restituito la voglia di vivere.

Proprio mentre mi avviavo da lei, Monica si diresse al banchetto. La osservai mangiucchiare come un timido passerotto. Che visione estatica! Dolce, tenebrosa. Perfetta. Quando terminò, però, non tornò alla finestra, si sedette sul divano. Restai lì, a spiarla febbrilmente, come un sociopatico, percosso da una scarica di rabbia e disperazione.

Dopo essersi rimpinzata a dovere assieme agli altri porci, Terry proclamò all’improvviso di aver avuto un’idea “pazzesca”. Per me fu una sorpresa: non immaginavo che il suo cervello fosse in grado di elaborare pensieri. Ad ogni modo, la grande trovata di Terry fu quella di giocare alla bottiglia, uno dei giochi più imbecilli e abominevoli che si possa fare alla nostra età. La proposta fu accolta nell’entusiasmo generale. A quel rituale penoso e infantile fui costretto ad unirmi anch’io. Non essermi opposto e aver chinato il capo, come un’ubbidiente bestia da soma, mi provocò un irrimediabile senso di vergogna che nemmeno la partecipazione di Monica al gioco poté mitigare.

Quel tricheco maleodorante di Piero trangugiò più di mezzo litro di coca-cola per vuotare la bottiglia e utilizzarla per giocare. Sperai che una pronta e quanto mai umiliante dissenteria lo cogliesse in quel preciso momento, ma purtroppo i miei desideri non vengono mai esauditi.

Ci accovacciammo a terra, in cerchio, e iniziammo quella tortura. Le regole sono semplici, a prova di cerebroleso: quando quell’affare ti punta devi scegliere fra obbligo o verità.

Era palese che la maggior parte di quei maniaci avesse accettato di giocare solo per dar sfogo ai propri pruriginosi appetiti. Al fine di tutelare l’intimità delle coppiette appartate era stato messo a disposizione il bagno. Ma tutta quella spasmodica libido si tradusse di fatto in casti e imbarazzanti baci sulla fronte, sulla guancia o al massimo sulle labbra. Tutto molto patetico. Ma chi optò per la verità ci inflisse momenti ancora più deleteri. Quell’effemminato di Riccardo confessò ridacchiando di aver indossato la biancheria lorda della sorella, mentre Rita, una smidollata timorata di Dio, di aver rubato un pacco di gomme da masticare. Raccontandolo scoppiò a piangere, temeva che per quel gesto sarebbe sprofondata negli abissi dell’Inferno. Glielo auguravo di tutto cuore, mi sembrava di poterla sentire urlare e mi divertivo a immaginare le smorfie di dolore che s’imprimevano sul suo viso deformandolo in quello di una vecchia lebbrosa. Invece, vedere gli altri commossi, intenti a consolarla e a rassicurarla, fu estremamente angosciante e anche in quel caso fui sopraffatto dalla vergogna.

Il gioco proseguì ancora per molto, nonostante pregassi, con tutto me stesso, l’arrivo di un cataclisma o di una piaga biblica che avrebbe potuto porre fine a quella scempiaggine e alle nostre inutili esistenze. Perché? Perché non mi ero portato appresso un coltello? Avrei voluto cavarmi il fegato, lacerare la cistifellea e liberarmi di tutta quella bile maligna.

Poi, come se davvero qualche entità superiore avesse udito le mie suppliche, avvenne lo stravolgimento…

Quando arrivò il suo turno, Monica disse che avrebbe baciato chiunque – maschio o femmina –  sulla bocca, e con la lingua. Il cosiddetto bacio alla francese, che nessuno della classe aveva mai sperimentato. Il silenzio s’insinuò fra di noi come una serpe, pronta ad azzannare chiunque avesse osato fiatare. Gli occhi di tutti si riempirono di orrore ed eccitazione. Al contrario di quei falliti, cercai di conservarmi imperturbabile, tuttavia la mia colonna vertebrale si drizzò all’improvviso e avvertii come un tizzone incandescente scottarmi dall’interno. Solo Monica non tradì la minima emozione. La sua scostante e algida bellezza rimase intatta, e per questo l’amai ancora di più.

Monica afferrò la bottiglia, attese qualche istante e poi, caricandola con un colpo secco e vigoroso, la fece ruotare. Il silenzio venne disturbato dal lieve sibilo prodotto dalla rotazione. La mia attenzione era rivolta solo alla bottiglia, trasformatasi in un enorme punto rosso. Lentamente, tutto ciò che mi stava attorno si dissolse. Esisteva solo quel punto che m’ipnotizzò trascinandomi in una dimensione nella quale i miei pensieri si sfaldavano ancor prima di nascere.

Quando il sibilo cominciò ad affievolirsi e la rotazione a perdere forza, deglutii e trattenni il fiato. Presi a contare i giri della bottiglia. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei. Al settimo si fermò. Qualcuno sospirò. Le streghe invece emisero degli irritanti gridolini battendo le mani. Lento e solenne, sollevai gli occhi e il primo sguardo che incrociai fu quello torvo e malioso di Monica. Scintille, saette, elettricità pura. La fisica o il destino. Qualcosa l’aveva deciso. Tu ed io siamo la medesima carne, il medesimo spirito. Da questo momento in poi vivremo insieme, in eterno. Non solo avrei dato il mio primo bacio, ma l’avrei dato alla donna che amavo. L’unica per la quale valeva la pena amare, l’unica per cui avrei ucciso, sempre con piacere, s’intende.

Finalmente le bestie tacquero. Di nuovo silenzio. Mi tremavano le ginocchia. Monica invece si alzò di scatto. Poco dopo la imitai, credo ciondolando maldestramente, e la raggiunsi. Quando mi prese la mano, i miei corpi cavernosi s’irrorarono di sangue, dandomi l’illusione di essermi tramutato in un portentoso toro da riproduzione. Fu lei a condurmi risoluta in bagno. Una volta chiusa la porta alle nostre spalle udimmo il brusio e le risa di quel branco di babbuini ammaestrati.

Monica accese la luce. Annusai l’odore acre di quei deodoranti per bagno che in realtà non riescono mai a sopprimere completamente i miasmi fumanti delle deiezioni.

Eravamo l’uno di fronte all’altra. Pochi centimetri ci separavano. Ci fissavamo negli occhi, muti, e mi duole ammettere che sostenere il suo sguardo era un’impresa assai ardua. Ero costretto a sfuggirle. Mi rifugiavo fra le sue scure sopracciglia e mi arrischiavo ad inerpicarmi sulla sua fronte liscia scivolando giù, sulle sue fresche gote. Ammirare poi da così vicino la sua bocca fu un’esperienza che per poco non mi commosse fino alle lacrime. Increspata, turgida come un frutto che a breve si sarebbe schiuso per saziarmi col suo prelibato e dolcissimo succo. Per me, tutta per me! Ma io, avrei dimostrato di essere finalmente un uomo? Oppure solo il miserabile poppante che ancora ero? Un terribile dubbio che mi opprimeva torcendomi le viscere.

Tutt’a un tratto Monica mi sbatté schiena contro la porta e colmò la distanza che ci separava premendo i prosperosi seni contro il mio petto cavo. In risposta a quel violentissimo stimolo, la protuberanza nei pantaloni si fece ancora più tesa e incandescente. Se Monica l’avesse anche solo sfiorata col bacino, probabilmente sarebbe esplosa con tutto il suo gelatinoso contenuto, condannandomi alla più umiliante delle onte. La mia inettitudine doveva averla divertita: un ghigno truce e lascivo le comparve sulla bocca, ma solo per poco. Un istante dopo la sua espressione tornò enigmatica e sussiegosa.

Ebbene, questa è la fine dell’infanzia, mi accingo a diventare un uomo. Sono pronto! E proprio mentre pensavo queste parole, Monica mi avvolse il collo col braccio, si avvicinò al mio viso, e serrò gli occhi. Ancora una volta la imitai. Poi, avvinto da un desiderio che ormai diveniva sempre più vibrante e dolente, udii la sua bocca schiudersi, immaginandomi la carnosa consistenza. In un solo attimo, fatale e travolgente, il suo torrido respiro mi penetrò le narici e…       

Dio onnipotente! Che cos’è questa cloaca a cielo aperto?! Come poteva quel polposo fiore di carne, che tanto avevo agognato nei miei sogni più oscuri, mandare un tanfo di carcassa appestata? Un tremendo scossone mi agitò le viscere. Arricciai il naso e inclinai il capo all’indietro nel tentativo di sfuggire a quell’esalazione mortale, a quella bocca infida. Troppo tardi, la mia sorte era già scritta. Monica pose le sue labbra sulle mie e cominciò ad assaporarle e a succhiarle ingordamente, spalmandole con una saliva densa e appiccicosa. Le sue labbra sapevano di patatine al formaggio e tonno, un connubio che mi fece rabbrividire. Ma il peggio fu quando lei, spiritata e insaziabile, decise di esplorare il mio anfratto con la lingua. Quel viscido leviatano irruppe con una brutalità inaudita. Si dibatteva come un ossesso sui denti, sulla lingua. Residui di tonno, wurstel e patatine inquinarono e profanarono il mio cavo orale. Lo stomaco brontolò sonoramente. Monica premette i seni ancora più forte sul mio scricchiolante torace e, in balìa di una cieca eccitazione, mi afferrò la natica e prese ad impastarla con una frenesia che mi immobilizzò del tutto. Ero inerme, in suo potere, con le braccia tremanti lungo i fianchi, privo d’aria. Saliva, disgustosa saliva che mi annegava senza pietà. In quel momento mi accorsi che il sangue si era addirittura ritirato dai corpi cavernosi prosciugandoli. Da toro mi ero trasformato in un vitellino in fasce.

Non respiro! Lasciami in pace, ti scongiuro! Perché mi fai questo?! Io volevo solo amarti! Sono stato un idiota, mi sono fatto sedurre dal tuo perverso sguardo incantatore, dall’abbondanza delle tue mammelle da fattrice! Che tu sia maledetta, Monica! Tu, le tue eccezionali mammelle, la tua incontentabile voluttà, la tua bocca e il tuo inaspettato e riprovevole alito di carogna!

Quando mi rassegnai ad una morte ormai certa, sentii un mostro risvegliarsi in fondo allo stomaco e risalire rapido l’esofago. Allora capii che forse c’era ancora vita in me. Raccolsi le ultime forze, mi staccai da quella pianta carnivora e ruppi le catene che mi imprigionavano. Monica spalancò gli occhi, mi fulminò con uno sguardo prima incredulo poi carico d’odio. Scaraventai quel demonio inferocito contro il muro e in un lampo mi ritrovai inginocchiato davanti al gabinetto. Con un verso disumano, seguito da un flato, che nulla più conservava dell’infanzia, aprii la bocca e liberai un fetido mostro liquefatto.

Il mio primo bacio… memorabile, nauseante, scivolato giù nelle fogne.


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2 Comments

  1. Un crescendo rossiniano di emozioni, un climax di erotismo adolescenziale, l’attesa spasmodica di un’iniziazione sessuale svaniscono, si dissolvono e poi si trasformano in un’inattesa e traumatica esperienza.
    La dovizia di particolari e l’accurata tecnica narrativa fanno sì che il lettore si cali nella vicenda per diventarne spettatore.

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