L’ultima battaglia

di Sara Bicchierini
Copertina di Rosellina Formoso

Giuro eterna fedeltà alla calza color carne, mi prostro di fronte all’immensità della canotta di lana. La mutanda a vita bassa non fa per me, e tutti i miei tanga sono nel bustone della Caritas.

Ieri ho oltrepassato il limite d’età, sono yogurt scaduto ad alta acidità.

Cambio tutto, cambio vita, giro la vite che mi inchioda con i piedi per terra, quelli che non ho voluto mai.

Adieu, gioventù sbruciacchiata. Entro nei magici anni cinquanta e, senza tanta fantasia, mi infilo nel modello antagonista che sempre ho rifiutato: quello della vergine attempata, della maestra del coro, della gattara astiosa. Mi punisco così, per aver sprecato tempo a lottare con i miei genitori ed esser diventata più monotona di loro.

Qual è stata la mia rivoluzione? Essere l’unica che non fuma in una famiglia di tabagisti. Fare le ferie in ottobre, mettere il seitan nel ragù.

Se devo essere patetica, meglio farlo fino in fondo. Rivoluzionaria mancata, sarò reazionaria.

Dolcevita rosa antico, proteggimi dai succhiotti involontari, i baci di un bebè non mio, le labbra di chi mi scambia per un’altra.

Mi schermo, mi tutelo. Tra carotide e alluce, non trapelerà neanche un centimetro di pelle.

Riga in mezzo per non fare ingiustizie tra le ciocche, strette a destra e a sinistra come le corde che trattengono i cavalli. Non mi imbizzarrisco più, e nitrisco solo quando rido. L’ultimo anelito di monta ormai risale a… Ah, non voglio pensarci!

Mi inguaino con pancera punitiva e schiacciaseno annesso. Somigliare a una madonnina infilzata sarà la mia missione.

Stringo la crocchia e schiaccio la criniera: più appiccata al cranio, di più, oh sì… Mi risale come bollicina il pensiero della monta. Così non va, così non va: subito un bidet di acqua ghiacciata, per l’amor del cielo!

Linda, asciugata, purificata, sono pronta per immolarmi alla causa: sdraiata al centro del cantiere, sarò la donna che salva la città. Le ruspe non mi fanno paura, il martello pneumatico mi è indifferente. Se vorranno costruire la ciclabile, dovranno calpestarmi con i cingoli.

Parlano di futuro, ma io so che è una bugia. Vogliono solo asfaltare ogni ricordo.

La lingua di sassi della ferrovia sepolta sotto tonnellate di terra gialla, i pini sradicati. Le rotaie sollevate, i sottopassaggi chiusi. La violenza delle benne si legge in ogni cosa.

Dove passava il treno, vogliono far girare stormi di ciclisti.

E già stravolgono la viabilità, ci confondono con i sensi unici. Le vecchie perdono l’orientamento, si arrendono, abbandonano l’auto in mezzo agli incroci. Guidi e rischi di investirle, testoline di capelli violacei che vagano su strade che non riconoscono. L’Inps gioisce, pensioni in meno da pagare, ma io no, io ho il cuore straziato.

Gli operai mi insultano in più lingue, la torre di Babele rischia di schiacciarmi, ma chiudo gli occhi e divento gandhiana, rispondo con l’immobilità.

Un bruto mi strattona — giù le zampe dal pullover! — ma una goccia di sudore, tutto suo, mi fa aprire gli occhi e riacquistare la vista. Bicipiti. Non pensavo che una canotta potesse scatenare tanti ormoni.

Mi solleva in aria con un braccio e mi descrive il mondo in rumeno, un mondo in cui il mio culo si adatta perfettamente alla sua mano, e una donna può volare anche se ha un macigno dentro. Cigolii di ovaie, rimpiango i tanga. 

Mr. Muscolo non mi abbandoni, mi riporti a casa. Non mi lasci perdere tra i sensi unici modificati, le vecchie smarrite, gli altri operai che mi vogliono linciare. Anche io ho una canottiera, la vuol vedere? Sotto uno strato nascosto da altri strati, ci siamo io e la mia armatura, e un corpo a cui non riesco più a volere bene.

Sono un riccio ascendente scorpione, deve stare attento, ma ho visto che bei calli ha, di certo non le farò paura io. Lei crede al futuro? Giuro che mi fido.

Lo guardo con occhi da talpa, e lui mi posa in alto, sopra una benna alzata. Come un trofeo, come una madonnina in una teca, come una marionetta dopo lo spettacolo. Più che in premio mi sento in ostaggio, sospesa su una ruspa in pausa, scaricata come un sacco di calcina.

La passione era un bluff, dunque? Un senso unico che non portava a niente? Il freddo attraversa i gambaletti e mi ferisce con sferzate di delusione e libeccio.

Gli operai se ne sono andati, Mr. Muscolo è svanito, e oltre la polvere del cantiere non si vede anima viva. Il vento si porta via la mia voce, e il sole è già sceso dietro all’orizzonte delle case popolari.

Avvicino le ginocchia al mento e mi rannicchio nel pullover. Resterò così, a vegliare su una battaglia persa, ad abbracciarmi fino all’alba.


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