di Beatrice Fiorenza
Copertina di Susan Orlok
L’anno del fuoco segreto è un’antologia neo-weird curata da Edoardo Rialti e Dario Valentini, che firmano anche un racconto a testa. In tutto, gli autori e le autrici sono venti, di cui quattordici maschi e ben dodici appartengono all’altra categoria di persone che ha devastato questo paese: i toscani. Ognuno faccia le sue considerazioni in merito: le argomentazioni che spuntano quando si solleva il problema della rappresentazione di genere sono più o meno sempre le stesse e non mi va di rinvangarle. Per quanto riguarda l’egemonia toscana, invece, non so davvero cosa pensare. É un libro che ho molto atteso, nel senso che avevano detto che ce lo mandavano ma poi non lo facevano mai, quindi è passato molto tempo. A un certo punto ci hanno pure chiesto chi e quando facesse la recensione senza che lo avessimo ricevuto. Non so se volessero far salire l’hype mettendoci più di Tedua a far uscire l’album o se gli sia giunta voce che gli hacker che hanno fatto leakare Renassaince di Beyoncè fossero all’opera anche per questo, ma questo alone di mistero metaletterario che hanno creato è già molto weird. Se ho interpretato bene l’accezione di questo termine, visto che io non so molto di weird e questo è precisamente il motivo per cui in redazione hanno pensato a me per la recensione, vai a capire perché.
Nella prefazione si riassume così quello che leggeremo:
Banchetti e balli sfrenati, commedie nere sulla gentrificazione, stupri e sacrifici umani, sogni spionistici, fughe nella giungla, grumi di sangue preumani e investigatori postumani, identità che si chiudono progressivamente ai cinque sensi, canzoni d’amore suonate alle piante, labirinti, case stregate, fini del mondo, conversazioni tra intelligenze artificiali, adolescenti sull’orlo del precipizio, animali fantastici, clochard filosofi e imperatori-golem.
In posizione incipitale calano il poker d’assi: L’ombelico dell’Arno di Andrea Zandomeneghi, quello che ho apprezzato di più. Racconta di esperienze nuove ma anche molto quotidiane, pesci e sesso con una scrittura bellissima e venata di una tenerezza disarmante. Se questo è il weird mi piace molto. Ho notato una cosa, però, che ha in comune con il secondo racconto, Il drago delle rose di Dario Valentini: enumera compulsivamente specie viventi. Nel primo sono pesci, nel secondo piante. Per la precisione, solo nella prima pagina Zandomeneghi cita: anguille, cracassi, ciprinidi imbastarditi […] pesci rossi, tartarughe d’acqua (non-pesci ma comunque acquatiche), tinche, cavedani, barbi e siluri.
Per quanto riguarda il mondo vegetale (non all’inizio ma più avanti):
C’erano rose impettite, piccoli ciclamini montani, gerani pieni di dignità e ginestre indifferenti, gelsomini rampicanti dai fiori bianchissimi e profumati, orchidee di tutte le sfumature, calle funebri, girasoli smargiassi e perfino oleandri dalle intenzioni chiaramente malefiche. C’erano arbusti e alberelli, melie e magnolie imperscrutabili, limoni, olivi e altri piccoli alberi da frutto. In fondo si vedevano pure alcuni ortaggi: pomodori datterini, zucchine fiorite e radicchi variegati.
Ora, io non so molto del weird ma non pensavo che l’inventore fosse Linneo.
L’antologia, com’è ovvio, prosegue con una qualità altalenante. Alcuni racconti sono molto belli, altri molto medi, altri ancora troppo lunghi, troppo toscani, qualcuno, non dirò chi (ma è toscano) fa giusto il compitino. I temi sono i più vari: si passa da Edoardo Rialti che è in quota stupri&femminicidi seriali a Roberto Recchioni che invece parla dell’avventura di un ragazzo nell’aldilà: a metà tra il contrappasso ciclico e un videogioco dove si ricomincia sempre daccapo ma non è esclusa la possibilità di apprendimento per il nostro eroe (Gallina). Il passaggio è brusco, i due racconti non hanno molti motivi per appartenere allo stesso contenitore. In realtà, questa è un’impressione che torna molte volte nel corso della lettura. Riguardo al primo: ne sentivamo il bisogno? Io no e recentemente in redazione abbiamo discusso dello stesso argomento riguardo i racconti che ci arrivano e abbiamo anche scritto un post al riguardo per illustrare la nostra opinione. Ovviamente questo non significa che non si possa parlare di tutto, però in futuro preferirei leggere più autrici e meno maschi che si compiacciono scrivendo del caro vecchio patriarcato nelle sue manifestazioni più cruente utilizzando dei personaggi maranza (usciti dai film dei D’Innocenzo o dal profilo delle Etero Basiche, per capirci) da cui evidentemente si sentono molto lontani. Il racconto di Recchioni, invece, l’ho amato. Molto bravi anche Andrea Morstabilini con Verso Monsalvat e Elena Giorgiana Mirabelli con La serpe.
Una cosa di molto weird che ho letto da piccola e che mi è tornata in mente leggendo questo libro è la favola L’uccello strano dei fratelli Grimm, una variante di Barbablù. Quest’ultima è citata nel racconto Barbablù_1 di Francesco d’Isa. Quella dei Grimm è più bella di quella francese perché c’entra un uovo da tenere immacolato, ci sono tre sorelle di cui inevitabilmente l’ultima è la più sveglia ma tutte collaborano, hanno un ruolo più attivo che nell’altra e soprattutto perché vediamo la protagonista cospargersi di miele e tagliare un materasso per appiccicarsi le piume addosso e poi andare in giro travestita da uccello, oltre a lasciare un teschio agghindato alla finestra per dissimulare la sua fuga, stratagemma in cui peraltro tutti cascano. Ma la sostanza resta la stessa: una ragazza che non accetta i limiti imposti dal marito (qui anche rapitore) e alla fine riesce a salvarsi e vendicare le altre mogli uccise. Nel racconto di Francesco d’Isa c’è il limite e l’incertezza che assale la moglie: il timore assume la forma di una sfocatura sensoriale, raccontata alla sorella. Le percezioni ingannevoli poi si riversano sulla pagina e il racconto si conclude così:
“Sì ma Barbablù.” “Barbablù Barbablù”
Barbablù Barbablù Barbablù
Barbablù BarbablùBarbablùBarbablùBarbablù”
Barbafergblù?
,Barbvvfove fdsablù c
Barabfdfff77lù n ewjkcjekwnv lefncvew ew c 1\e9320fj30+cnweioc opmc39022 i .
Lo spunto di questa fiaba è stato ripreso anche da Carmen Maria Machado in Nella casa dei tuoi sogni: lei articolava una riflessione sulle relazioni abusive, qui ci si concentra sulla coscienza della protagonista e si finisce con un espediente, anche gustoso.
È bello, è interessante ma avrebbe potuto esserlo molto di più e questo, per me, vale un po’ per tutto il libro.
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Per ora ho letto 6 racconti e li ho trovati mediocri. Sia per i contenuti, sia per la scrittura. Il primo racconto al momento è il peggiore per quanto mi riguarda: banale e noioso nella descrizione delle vicissitudini sessuali e lisergiche del protagonista.
Alcune descrizioni delle mini biografie degli autori sono francamente ridicole: di uno si dice che “è considerato il miglior autore italiano di racconti”. Ahahahah!ma da chi?
Cringe.
Andrò avanti (forse), ma a mio avviso in giro, nel weird, c’è assai di meglio.
Approviamo tutti i commenti, ma sarebbe gentile da parte di chi scrive usare dei toni meno irritanti.