Quello che c’era da fare, malgrado le mosche

di Mario Bianco
Copertina di Alessandra Procaccio – Veduta di Napoli (incisione su lastra di zinco)

Più che altro mi sono piazzato ad Amritsar perché sono quasi tutti sikh e mio cognato è un sikh e fa il trafficone di tutto e mi ospita sotto il nome di Nanuk che poi è un nome eschimese per non farmi chiamare Nanak che sarebbe sacrilego perché Nanak è il venerabile fondatore del sikhismo. Però io non sono sikh né induista né muslim. Io sono libero professionista in fase di ritiro dal lavoro scopo pensionamento poi in casa di mia zia Angiolina a Termoli, ché le ho mandato da custodire un gruzzoletto notevole, non ti dico, almeno 300.000 sterline, per cui uno mette su un alberghetto e via dicendo coi cugini e si toglie dai solito giro e dai pasticci.

Invero io mi chiamerei Akash e sono di Mumbai.
Mio padre non c’è più e mia madre ch’era italiana nemmeno.
Sono un povero orfano di anni cinquanta nascosto, quasi seppellito da sei mesi ad Amritsar per non farmi riscovare dalla banda dei cazzoni per cui ho lavorato per anni. Uno spera sempre di fregarli poi va a finire che ti fottono lo stesso. Dice che in India sia difficilissimo trovare uno scomparso, sparito, nascosto. Invece no.
La banda di Castorp mi ha beccato. Mi hanno impacchettato, ficcato nel cassone di un furgone, e traslocato oltre confine, fino a Peshawar, in Pakistan, il posto più merdoso e trafficoso del mondo, al confine con Afghanistan, mi hanno chiuso in una schifosa, umida, soffocante cantina popolata di insettaglia orrenda e pericolosa ché mi sono grattato come un cane impestato, ho dormito pochissimo, sono dimagrito da morire, ho anche pianto, gridato. Un pastun cretino che mi portava la scodella mi ha urlato in urdu: Lo sapevi già che i fottuti traditori finiscono così!!!
Non sono un traditore di nessuno perché qui non c’è nessuno da tradire.
Secondo Castorp invece sì.

È arrivato proprio lui dopo sei giorni in persona, sempre bello lustro, biondo tinto, vestito come un colono inglese del 1940. Addirittura con un frustino in mano e la rivoltella in una fondina in cuoio giallo alla cintura. Anche scarpe dello stesso colore, roba teatrale. A Castorp piace fare la commedia del colonnello inglese ai tempi del Vicereame dell’India. Portava anche un cappello coi gradi da capitano.
Ha subito detto, piantandomi il frustino sotto il naso: Se non fossi un fottuto mio mezzo parente ti avrei messo a morire in un pantano infestato da coccodrilli, però ho bisogno di te! Perché ti stimo, mentre tu non mi degni di riguardi, ma io siccome so molto bene che sei un ottimo professionista ti voglio elargire la mia misericordia e immettere ancora nella schiera dei nostri esimi e scelti collaboratori…
Ecco, parole degne di Castorp: Elargire la mia misericodia!

È uscito con passo generalizio. Subito dopo due trucidi puzzoni pastun mi hanno sollevato dalla merda e portato su in una cella ocracea, pulita, senza finestre, però con cesso. Vaghi odori piacevoli di curry. È venuto anche un medico con sembianze tamil a visitarmi, mi ha fatto tre iniezioni. Ho dormito bene, ho mangiato bene, ho bevuto anche birra. Mi hanno dato una tuta di tela kaki coloniale, stirata. Tre giorni così, tranquilli, senza un suono. Mi sono rimesso. È tornato poi Castorp questa volta sciallato quasi da guru di Rishikesh, con bastone e enfiagione da pistola evidente sotto il manto arancione.

Te, mio caro Alfredo, detto Nanuk, sai tirare con tante armi, lo so, anche con fuciloni anticarro… L’hai usati su, sopra Kabul, tra Jurm e Badrasan, erano quei terribili Solothurn pesantissimi, ma adesso ti affidiamo un vecchio Boys inglese, però made in India, in ottimo stato, più leggero, 5 colpi, calibro 14 mm. Arma che conosci, c’è da far saltare un jeeppone, non un tank, un Land Rover corazzato, lo farai scoppiare come un barile con la schiuma flou flou splash e fumigherà per un po’. Domani parti.
Ti portiamo in elicottero e poi ti veniamo a prelevare.
Ma dove andiamo, per la miseria!?
Domani te lo diciamo in volo.

Mi sono detto: questa volta ci lascio la pelle… Ma perché sti figli di cani non sparano loro dall’elicottero contro il jeeppone e poi svolano via!? È evidente che mi lasciano a crepare in qualche luogo merdoso, dimenticato da tutti gli dei, anche dal buon Ganesh.
Adesso è giunta la mia ora, orcocane, non avevo nemmeno un genere di conforto alcoolico per addormentare il dolore, un tranquillante! Ho un cazzo di batticuore terribile!
È ripassato quella specie di medico o infermiere e mi ha fatto un’iniezione non so di che. Sono stato meglio: ho mangiato, ho dormito. Figli di cani!

Te lo diciamo in volo… Non è vero!
Castorp non c’era su quel cazzo di elicottero Bell. Il pilota stava zitto, con me sedeva un tale, tipo cinese, mongolo, cheneso, che mi spiegava in inglese il contenuto dei sacconi a me destinati e mi delucidava sulla foggia dell’auto che avrei dovuto far saltare. Ho capito che dopo due tappe per rifornimento carburante saremmo, non so come, finiti in Tajikistan. Sono riuscito a capire che nell’auto ci sarebbe stato un ministro tagico che se la faceva troppo con la Cina.

Avevo giuro, la tremarella, ore di volo, perché abbiamo fiancheggiato montagne altissime, la cabina era ben pressurizzata, per fortuna, mai avuto così paura in vita mia, sicuro che era oramai finita la mia storia di Akash tiratore scelto. Abbiamo sorvolato poi un gran bel posto, finalmente più a bassa quota; il cino mi ha detto che era il Parco nazionale del Tajik, con monti più allungati, distesi, deserti, e laghi, talora nevi e sabbie, e vallette poco fertili. Affascinante ma freddo, molto freddo.
Ci siamo abbassati e mi hanno mollato, scaricato con le mie cose su una collina che dominava uno stradone. Il cino fa: torniamo stasera, se ci chiami, se è passato il tipo. Lì hai il walkie talkie. Ti avvisiamo quando arrivano…
Buon lavoro!
E loro via subito con gran bordello delle loro eliche.
Buonanotte buongiorno buonasera buona morte, solo come un cane e ciau!

Dal saccone ho estratto le armi, il Boys pesantissimo, perlamiseria, con quattro caricatori, un M-16 e una pistola Tokarev russa. Poi roba per sfamarmi, in due buste. Una tanica d’acqua da cinque litri, per fortuna due birrette.
Mi son piazzato bene, posato il walkie talkie a venti centimetri dal naso, sdraiato dietro al Boys, verificato il funzionamento, fatto scorrere più volte l’otturatore, poi mi sono ficcato un telone in testa per proteggermi dal vento che portava con sé schifosa puzza e un indiavolato nugolo di insetti, mosche nere, brutte, orrende che mi ronzavano intorno. Le sporche troie mosche arrivavano a stormi ronzando come elicotteri e venivano sempre dallo stesso posto, da sud est, poco dietro di me. Non ne potevo più.
Mi sono alzato e sono andato a indagare nella direzione della corrente insettiforme. A poco più di venti metri ho beccato la carogna mezza marcia e puzzolente di un bovino peloso dove albergavano un milione di mosche. Un ammasso informe e verminoso, ributtante. Non ci voleva. Ho calciato della terra sulla carcassa, mi son servito del calcio del mio M16 come pala. Pochi risultati. Tante maledette mosche! Sono tornato alla mia postazione. Mi sono cacciato il telone sulla testa. Fino agli occhi, ma quelle bagasce mi si infilavano anche nel naso. Mi sono impolverato, insabbiato la faccia, ho bevuto acqua, ho buttato altra acqua un po’ più in là, creato una pozzetta, perché quelle nere bestiacce si abbeverassero.
Stavo svenendo dallo schifo e dal nervoso, per ste cazzo di mosche.
Mai avuto un postazione più ributtante, benché, orcatroia, il panorama fosse bellissimo. Oh, perché i bei panorami li so apprezzare, nonostante tutto!

È suonato l’avviso dopo tre ore tre. È in arrivo il carico entro mezz’ora…
Mi sono sistemato nel miglior modo possibile per reggere il terribile rinculo del Boys ch’è un efficace ma bastardo fucilone. Ho visto tra le palpebre semichiuse infestate dalle zampe delle mosche un polverone sul fondo della strada che costeggiava gli stagni.
Ci son voluti circa trenta secondi, ed allora è comparsa netta nel mirino la sagoma del jeeppone bianco, una specie di Land Rover a passo lungo, blindata.
Per fortuna mia non filava forte.
Ho sparato due colpi, il baraccone s’è impennato. Poi gli altri tre. Il Boys fa un casino dell’altro mondo. Il mezzo s’è imbarcato sul fianco destro, poi rovesciato. Ha preso fuoco.
Io praticamente sono rimasto sordo perché avevo dimenticato la cuffia sull’elicottero.
Dopo tre minuti ho lasciato la postazione e sono sceso con il mio M-16 per vedere se il lavoro era finito bene.
Sì: tutti fusi, un gran bel fuoco.
Malgrado quelle porche di mosche l’affare è andato di dovere.

Sono tornato rapido alla postazione per dare un ok al walkie talkie.
Ed ho aspettato, piuttosto disperato. Ho pensato pure che il Bell non sarebbe ritornato, ma a Castorp non conveniva lasciarmi lì solo a spifferare roba compromettente alla polizia tagica che sarebbe arrivata entro poche ore. Il Bell invece sarebbe ricomparso e magari il cino avrebbe aperto il portello e poi scaricato addosso a me il caricatore della sua Glock. Per quello mi sono piazzato bene col M-16 ben impugnato. Ho tirato due o tre bestemmie interiori, poi ho pensato al mio Ganesh e l’ho pregato di tenermi lontani almeno, ancora per un po’ quei maledetti esseri importuni, quei maledetti sporchi, mosconi, tafani, vesponi!


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