Cacao Meravigliao – Maleuforia

di Nicole Trevisan
Copertina di Giulio Perrone Editore

C’è un corpo al centro di questa storia, un corpo morto tratteggiato dalla veglia e dalle preghiere quasi all’incipit: privo di genere, si mostra attraverso lo sguardo di chi l’accompagna tra i rituali dell’addio. “Maleuforia”, uscito poche settimane fa per Giulio Perrone Editore, è il romanzo di formazione di un corpo e di un’identità che si evolve nella scoperta di sé attraverso vanità, sesso, devozione e tristezza. È questa la maleuforia, da cui prende il titolo il romanzo, sentimento ibrido tra l’impeto entusiastico e il nido che la malinconia è pronta ad allargarsi dentro ciascuno di noi.

La storia si svolge a Napoli, nel pieno degli anni ‘80. Raffaele vive con la sorellina, Imma, a casa di nonna Porzia, ferocissima e cattolicissima vedova decisa a reprimere la personalità del nipote per ricondurlo sulla retta via. Raffaele, infatti, scopre che il suo corpo non corrisponde alla sua identità e con stratagemmi più o meno goffi comincia a indagarla. L’incontro con Maria, una prostituta che lavora nei pressi di Porta Capuana, è l’occasione per Raffaele di sfuggire alle ingerenze della nonna: col suo aiuto abbandonerà casa sua e Imma e verrà adottato da Donna Sofia, tenutaria di una casa di tolleranza. Nell’atmosfera dolciastra e umorale del bordello, Raffaele scopre il suo veronome, e diventa Lémon, prostituta a sua volta, innamorata e amante, protagonista di un romanzo corale che percorre le vie della città, i palazzi di Posillipo e si perde tra gli altarini disseminati lungo le strade.

Ti saluto madonnadelcarmine, vergine protettrice delle anime del purgatorio, lascia spazio al veronome della santa, all’eletta custode delle puttane.

La scelta del veronome è un rituale di passaggio, una sorta di menarca che segna la fine di un tempo in cui erano altri a scegliere e il primo atto di determinazione di sé. Alla nascita ciascuno riceve un nome e un genere sessuale, ma per esistere bisogna scegliere: mantenere, smentire, cambiare queste definizioni è parte del processo di formazione dell’identità. Donna Sofia, una delle voci narranti del romanzo, insisterà più volte con la protagonista perché “si sbrighi” a trovare sé stessa e si liberi. Il potere di una parola innesca il mutamento della percezione del corpo, dell’intorno, condiziona gli altri. Tutto inizia da un nome, da un secondo battesimo per mano di un prete spretato.
In un contesto storico e sociale come quello in cui si svolge la storia, la religiosità è dominante e il culto trova modo di esistere anche nei luoghi di più esplicita bassezza morale. Sentito come necessario, viene reinterpretato, personalizzato, perché ciascuna anima, anche se dannata, desidera protezione. Lémon è accompagnata dagli sguardi opachi dell’onnipresente San Gennaro, da pletore di Madonnine, ma soprattutto da Santa Teresa d’Avila, eletta a protettrice delle puttane dalle ragazze del bordello di Donna Sofia. Vittime di estasi e solitudine al pari delle mistiche, la caduta dalla beatitudine alla dannazione è da imputare al corpo, sporcato dalla gioia di godere. È il male della bellezza – ancora, il sesso è maleuforia. Scintille, paillettes, parrucche, e il disordine di stanze inquiete.

Se fossero nate dalla parte giusta dell’universo non avrebbero avuto bisogno di fare quello che facevano, perché sarebbero state loro stesse fin dal grembomaterno.

Lo stile di d’Addetta si ispira alla letteratura sudamericana (un riferimento riconoscibilissimo è “Ho paura torero” di Pedro Lemebel, marcos y marcos). Possiede una morbidezza sensoriale che restituisce impressioni tattili e olfattive, oltre che visive. Accumuli aggettivali e costruzioni mutuate dalla poesia, rade e ben distribuite nel testo contribuiscono a impreziosire la prosa senza appesantire la lettura. La scelta di accostare nome e aggettivo, che l’autrice riprende dall’autore Peppe Lanzetta, restituisce per iscritto la velocità del dialetto napoletano, creando una mimesi tra voce narrante e la voce autentica del personaggio. Che, proprio perché tentenna, si incanta, s’impensierisce, non termina le frasi.

Immediatamente i miei ricordi mi portarono alla mia stanza, alle gambe larghe di Maria, alle sue mutandine di burro, al suo piede che.

È una particolarità di Lèmon, interrompere l’andamento dei propri pensieri appena prima di arrivare a dire qualcosa che può trovare dimensione solo nel ricordo o in stadi di immaginazione non verbalizzabili. Lèmon pensa col proprio corpo e in determinati momenti la sua voce tace e il discorso prosegue altrove.
Non è la sola che troviamo in questo romanzo: Cleo, Linda, Donna Sofia, Maria e Cavaliere restituiscono una porzione della propria vita in questo frammento di storia. Ognuno è maleuforico a modo proprio. Ed è qui che risiede la meraviglia del testo, aggraziato e concreto: pur raccontando una storia che probabilmente avrà pochi tratti in comune con il vissuto di chi legge, trasmette la purezza di un sentimento familiare a cui non si aveva ancora trovato un veronome.
Poscritto: mentre leggevo “Maleuforia”, salutando al telefono mia madre, che deve ancora riprendersi dalla cosa, le ho detto “ci sentiamo domani, c’agg a ffa”. Se questo è accaduto, merito del romanzo di coinvolgere nella storia come nel linguaggio. La lingua dei personaggi diventa quella del lettore, qualunque sia. Persino se era il veneto.


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