di Carlo Martello
Copertina di Zona 42
Non saprei nemmeno più dire da quanto tempo ho letto Dono, appassionandomi senza riuscire a capire perché. Il romanzo di Baoli – un nome de plume che viene da Stefano Benni, l’autore italiano più postmoderno e più cazzaro, ingenuo, politicamente impegnato che questi ultimi anni ricordano – è un libro che dentro la struttura e la narrazione post-apocalittica ormai conosciuta anche dalle lettrici e dai lettori meno avvezzi alla fantascienza nasconde, in verità, un altro romanzo, complementare e difficilissimo da scoprire, quantomeno per me. Faticoso da scoprire, eppure semplice da leggere, qualcosa c’è, ti spinge, ti trascina, ma non si rivela.
Letto il romanzo, mi sono impegnato, prima con Zona42 e poi con la redazione, a scrivere una recensione. I mesi passavano e il libro continuava a scapparmi dalle dita. Mi chiedevo: quali sono i punti fondamentali? Ho intuito come la cornice post-apocalittica fosse solo un’impalcatura, utile, in certi punti della narrazione perfino necessaria, ma che il cuore del romanzo di Baoli si trovasse altrove. Mi è stata subito chiara l’intenzione dell’autore di utilizzare i personaggi in chiave simbolica, ma oltre i simboli visibili c’era un quadro più ampio. È come se questo quadro continuassi a osservarlo da troppo vicino: netta ogni singola pennellata, evidenti i colori rossi, ocra, neri, invisibili i rapporti tra loro.
Purtroppo non so fare le cose che non capisco. La recensione è rimasta nel campo incolto delle promesse non mantenute.
Vado al Pride tutti gli anni da tantissimo tempo (e per la verità, non si contano i cortei e le manifestazioni a cui partecipo, specie da quando è nato mio figlio, che ama i cortei più di me, che invece tra la folla non sono mai del tutto a mio agio), sia a Genova che altrove e insomma, quello di questo 2023 non era granché diverso dai precedenti, detto con il massimo amore. Eppure quest’anno ecco l’illuminazione – alle cose che devo fare e non faccio penso continuamente, in ogni occasione possibile: Dono è il romanzo post-apocalittico delle battaglie civili! Ecco il quadro da lontano, ecco la Storia dentro la storia, ecco cosa mancava. Tutto ha avuto senso.
Dono: un piccolo gruppo, ma bisognerebbe dire una comunità, sopravvive in un ambiente particolarmente ostile. Sono pochә, male in arnese, intorno a loro si muovono una quantità di creature, sostanzialmente scimmioni particolarmente evoluti, subdoli e soprattutto numerosi, sfuggiti a un esperimento di ingegneria genetica; un misterioso manovratore che fa capitare dolorosissimi casini, un manipolo di astronauti maschi alpha davvero goffi (pazzesco, vero?).
La vita è pressoché impossibile, la fine è più che vicina, si impongono delle scelte: barricarsi, tentare di dar retta a un sogno, cercare gli astronauti (lo Spazio, l’idea che si possa ricreare altrove la stessa Storia), cercare il Tempio (un Eden altrettanto improbabile), insomma, per farla breve, la disperazione è assoluta e le alternative tutte infinitamente più deboli.
In questo scenario atroce, in cui un angolo d’ombra è allo stesso tempo salvezza e bersaglio per essere ammazzatә, si consuma il vero cuore del romanzo, che sono le relazioni umane. Dono è soprattutto la storia delle relazioni tra i personaggi, delle relazioni della comunità queer cui fanno parte, dei rapporti di potere che la animano nonostante tutto intorno stia semplicemente finendo.
Detta, sinteticamente, in altri termini, Dono è la fantascienza queer shakespeariana: i personaggi tramano, mentono, si alleano, soffrono e si battono incessantemente per poco più di nulla.
È dunque la sconfitta, sembrerebbe inesorabile, della comunità queer, della quale la voce narrante è il più perfetto esempio narrativo di schiavo che abbia mai trovato in narrativa? Sarà che mi piace essere ottimista, ma ho l’impressione che sia piuttosto la fotografia deformata della comunità stessa alle prese con il potere. Solo la rinuncia al potere porterà a un nuovo mondo, altrimenti ci toccherà rinunciare al vecchio senza avere in cambio che dolore. Questo mi sembra dire il Dono personaggio e il Dono romanzo.
Questa idea, qui riassunta in modo brutale ma resa da Baoli in maniera molto più profonda. Il rapporto tra Dono e il suo Padrone, per esempio, è la rappresentazione narrativa del rapporto di appartenenza che viene descritto con difficoltà in moltissimi saggi sulla cessione del potere nel BDSM, e ancora, il personaggio del santone è perfetto nella sua doppiezza, quello della predona trans altrettanto esatto nella ricerca incessante, tristemente comico quello dell’astronauta.
Un contributo decisivo alla riuscita dell’operazione lo dà lo stile usato da Baoli, che costruisce una lunga, complicata e lenta lirica triste. Non c’è compiacimento nello stile, ci sono piuttosto la volontà di evitare scorciatoie che possano emozionare il lettore e la lettrice e quella di trovare un ritmo delle frasi che mostri la fatica della ricerca e della lotta.
Dono è un romanzo che spinge a cercare alternative, alla fantascienza distopica già usurata e alla lotta per il potere che vede cambiare protagonistә, ma restare sempre uguale a sé stessa.
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