Mai farsi arrestare di venerdì

Testo di Carlo Martello
Copertina di Eris Edizioni

Alla fine del febbraio del 2021, in Spagna la situazione politica è molto tesa e tra le cose che succedono c’è l’incarcerazione effettiva di Pablo Hasél, un rapper accusato sostanzialmente di fomentare il terrorismo con le sue canzoni e dei tweet (sic). Sullo sfondo, ma mica tanto, la questione dell’indipendenza da Madrid della Catalogna.

L’arresto di Hasél, che si era rifugiato in un’università, genera moltissima indignazione a tutti i livelli e le proteste non si fanno attendere; in una di queste, a Barcellona, una vettura della polizia viene incendiata, senza vittime nonostante la presenza di un agente nella vettura. Per un errore di identificazione Tzarina Caterina Casiccia, l’autrice di Mai farsi arrestare di venerdì, viene appunto condotta in carcere con l’accusa di tentato omicidio.

Da questa esperienza e dalle conoscenze e dai convincimenti precedenti nasce il libro e proprio in virtù di questa esperienza il volume si muove con sorprendente agilità e libertà tra saggio, memoir e poesia.

Facciamo un passo indietro: Tzarina Caterina Casiccia è una poeta, videomaker, attivista anarchica. Nessuna di queste attività è illegale, nessuna di queste attività piace granché alla polizia spagnola che quindi non si fa scrupolo ad arrestarla con l’accusa molto grave di tentato omicidio nonostante sia evidente lo scambio di persona. È un’anarchica, sta sempre lì a far casino, la portano dentro.

In Italia la notizia è succosa per la stampa fascista. Solo per stomaci forti, c’è un articolo uscito su Il Giornale (non lo linkiamo per banale decenza) che è una sintesi di tutta la spregiudicatezza e l’assenza di deontologia che anima alcune testate.

Può succedere a chiunque di finire in galera per errore? Sì. Può succedere a chiunque di finirci per aver commesso realmente un reato minore? Ancora più facile. 

Succede però a Tzarina Caterina Casiccia e quello che fa, oltre a subire un’esperienza di cui tutt* farebbero volentieri a meno, è testimoniare con la forza del proprio corpo e con la consapevolezza degli studi e delle esperienze di militanza precedenti.

Questa testimonianza, insieme all’apporto determinante delle poesie della stessa autrice, è diventata Mai farsi arrestare di venerdì.
Il libro è edito da Eris Edizioni, fa parte della collana BookBlock, pensata come collana di divulgazione militante e che vede all’interno del catalogo diversi volumi di grande interesse, alcuni dei quali abbiamo letto e recensito anche qui. Sono libri economici, agili ma profondi, che partono dall’esperienza concreta delle autrici e degli autori. Mai farsi arrestare di venerdì non fa eccezione e parte appunto dall’esperienza in carcere di Tzarina Caterina Casiccia.

“Non so più niente. Ho perso quasi completamente il controllo sul mio corpo e sulla mia immagine. Senza i miei vestiti, senza i miei piercing, senza tutti gli oggetti in cui esteriorizzavo la mia identità e completavo la mia antropopoiesis, sono ancora meno protetta. Per fortuna ho la penna, in lei mi specchio. Nelle parole che scrivo ritrovo me stessa. È un sollievo, ma continuo ugualmente a soffrire per l’impossibilità di identificarmi con il mio riflesso e con la mia persona fisica. Il corpo in fondo è tutto ciò che mi rimane, è soprattutto il mio corpo a essere chiuso qui dentro, e io mi sento nuda e non conforme. Non conforme rispetto agli altri corpi che sono lì, non conforme alla mia autorappresentazione di me stessa, non conforme rispetto a cosa la società considera un corpo conforme, ma anche non conforme alla sopravvivenza. Tutte noi siamo corpi in una condizione totalmente innaturale, violenta e quindi insalubre.”

Tzarina Caterina Casiccia è una persona, come chiunque di noi, quindi patisce il carcere negli stessi modi in cui lo soffrono tuttə, perché gli strumenti del potere sono gli stessi. Allo stesso tempo però è una persona estremamente creativa e fortemente strutturata politicamente; è una persona che si muove, geograficamente e culturalmente, che si muove e si è mossa politicamente per tutta la vita: per lei l’esperienza carceraria non è inedita in senso assoluto, perché la militanza l’ha portata a frequentare le galere “da fuori”, con presidi, canzoni, solidarietà espresse nei modi più attivi e creativi.

C’è un passaggio molto commovente nel testo in cui l’autrice incontra una persona che aveva già visto attraverso la finestra del carcere in un momento in cui attiviste e attivisti erano fuori a portare musica, gioia, vicinanza e solidarietà alle carcerate. 

Il senso di Mai farsi arrestare di venerdì si trova qui, nella politica e nella generosità, vale a dire, senza paura di sembrare retorico, nell’umanità. Il fatto è scientifico, acclarato: l’umanità si compie nell’altr*, nella relazione con l’altr*, nel cercare di stare bene insieme, nel convivere, nel convivere insieme. Farlo in galera è difficile, per usare un eufemismo. Qui è la storia di questo libro, qui l’esperienza, qui la poesia, soprattutto la poesia, di Tzarina Caterina Casiccia. 

Esperanza (no estamos todas, faltan las presas)
Le ragazze ballano
Nel cortile della prigione
Non lo sanno ancora che fuori
C’è la fine del mondo
Non lo possono sapere, loro
Che ogni volta che battono le mani
Vola via una città
Non lo possono sapere, loro
Che ogni volta che pestano i piedi
Sprofonda una montagna
Esperanza ride
E si mette in mezzo al cerchio
È bellissima incoronata da una treccia
Con una moneta d’oro nel centro della fronte
Grida e balla, muovendo le mani come diecimila
anni fa
Non lo sa ancora che fuori
C’è la fine del mondo
Non lo può sapere, lei
Che ogni volta che gira sui fianchi
Si rovescia un’isola nel Pacifico
Si deve fare 15 anni perché ha ammazzato
La fine del mondo è solo un’altra cosa
Che non le fa paura.

Il lavoro di Tzarina Caterina Casiccia si muove in modo esplicito su due binari, la divulgazione militante, la testimonianza, la denuncia da un lato e la poesia, l’immaginazione, l’idea che esista e sempre esisterà uno spazio umano dove creare e rinnovare relazioni umane. Trovo che questo tentativo consapevole di unire due linguaggi sia uno dei meriti più importanti di questo volume; sono linguaggi solo apparentemente lontani per “natura” e invece distanti culturalmente, perché il potere nel corso della storia, specie la più recente, ha colto con estrema lucidità che separare la narrazione dalla saggistica, la vita dall’accademia, la militanza dura dall’amore fragile è funzionale al mantenimento del controllo.
Passare attraverso la poesia rende la denuncia più forte e la poesia più vera. Non scopriamo niente di nuovo, ma forse si tratta di una maledizione questa continua dimenticanza, questo dover continuamente riscoprire convinzioni note.

“Insomma il costo pubblico per mantenere una struttura di tale portata organizzativa è talmente alto che di sicuro non ci si augura che le carceri rimangano vuote; senza contare tutti i privati che ci speculano attraverso i più diversi appalti (infrastrutture, medicine, catering, sigarette senza monopolio, prodotti venduti carissimi nell’economato). Oltretutto non va dimenticato che i penitenziari sono bacini di manodopera a bassissimo costo. Nei sotterranei di Brians c’è una vera e propria fabbrica per imballaggi con catena di montaggio, in cui le operaie lavorano a cottimo per un totale massimo di circa 1,50 euro all’ora. E per lavorare bisogna fare domanda, c’è la fila.”

Se a questa denuncia sacrosanta associamo una delle poesie presenti nel libro, la denuncia resta e arrivano anche le lacrime, oltre alla rabbia arriva l’amore.
Vale la pena provare.

Il gigante
Chissà cosa pensi tu
Quando ti parlo della fine del mondo
Pensi che sono pazza
Che ho visto gli angeli
Che ho mangiato troppi acidi
Quand’ero piccola
Ascoltavo il battere del mio cuore
E pensavo fossero i passi di un gigante
Che veniva a distruggere
Il mio cuore è un gigante
Che viene a distruggere
Smetti di pensare
Metti la mano qui
Ascolta i suoi passi.

E ancora, quando Tzarina Caterina Casiccia scrive, e non si potrebbe essere più d’accordo, queste parole:

“Se la prigione è stata una riforma moderna del sistema punitivo significa che, adesso che la modernità ce la siamo lasciata alle spalle ormai da più di due secoli, il sistema carcerario è diventato obsoleto e incompatibile con l’evoluzione sociale, è inefficace ai suoi scopi ed è un pericolo per l’integrità di molte vite umane.”

Rileggere le poesie le completa, le rende concrete, le fa abitare con noi. Si può scegliere quale poesia risuona meglio con le nostre rispettive esperienze, con i nostri vissuti. Per me, tra le poesie presenti in questo libro, quella che più mi fa pensare e sentire che le carceri vanno abolite il prima possibile è Gente di montagna

Gente di montagna
La gente di montagna infatti
Non conosce la malinconia dei lunghi tramonti
Quegli orizzonti infiniti
In cui fioriscono lentamente le nuvole infuocate
La gente di montagna però
Sa tutto della malizia
Dei crepuscoli improvvisi
Le stelle che si accendono a tradimento
Nel cielo ancora azzurro
Il sentiero inghiottito tutt’a un tratto dalla terra
Proprio sotto l’ombra dei tuoi passi
Io possiedo quel momento esatto
In cui la montagna sullo sfondo
È già diventata nera
Ma i colori delle cose vicine
Strabordano ancora di luce
È mio
Eppure non me lo posso andare a prendere
Che malattia quest’esilio
Questa sospensione indefinita
Del concetto di futuro
Questa ingratitudine per il presente
Che so già che non mi potrò mai perdonare
Il mare è qui adesso
Non immaginario, immenso
Con le sue lunghissime albe lunari
Che mostrano la strada di scaglie d’oro
Che porta sull’altra faccia del pianeta
Mi si offre con timide carezze
In punta di schiuma
Le lingue delle onde
Mi baciano le dita dei piedi
Con la gentilezza di un amante
Che non chiede spiegazioni per i tuoi silenzi
E io maledetta
Non so fare altro che voltargli le spalle
Ancora e ancora
Con un’indifferenza così crudele
Che so già che non mi potrò mai perdonare
Alla fine questo mare è dolce
Ma non lo sa
Di essere diventato il mio carceriere
In fondo questo mare è saggio
Ma non capisce
La malizia dei crepuscoli improvvisi
Conosce i lunghi tramonti
Ma nulla sa
Delle stelle che si accendono a tradimento
Nel cielo ancora azzurro.

In conclusione, Mai farsi arrestare di venerdì è quindi una testimonianza, una denuncia, un urlo d’amore, un tremore di paura, la consapevolezza della rabbia e infine un metodo, non esclusivo per fortuna e storicamente molto utilizzato, specie dai femminismi. 

Nonostante non manchi la letteratura di enorme influenza, accademica e popolare, pensata anche a partire da questo metodo, si fa ancora fatica ad accettarlo come parte integrante di un discorso culturale generale, narrativo, accademico, politico e la sensazione è che si debba ancora lavorare per non continuare ad avere l’impressione che si tratti ogni volta di una novità. 

Anche per questa ragione, mi fa piacere associare a Mai farsi arrestare di venerdì altri due testi molto importanti: La trama alternativa, di Giusi Palomba, edito da minimum fax, e Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe, di Brigitte Vassallo, edito da Tamu Edizioni

Sono tre libri molto diversi che utilizzano però gli stessi strumenti. Nei lavori di Giusi Palomba e Brigitte Vassallo non ci sono poesie perché non è il loro linguaggio, ma ci sono le esperienze, i corpi, le vite, c’è la commistione del linguaggio, c’è il tentativo di riportare alle persone ciò che è delle persone. Per chi volesse approfondire, La trama alternativa parla esplicitamente anche di abolizionismo carcerario, parla di giustizia trasformativa e di molto altro. Proprio su Malgrado le mosche, grazie alla collaborazione e alla disponibilità di Elena Garbarino, Mara Surace e della stessa Giusi Palomba, ne abbiamo discusso approfonditamente

Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe invece è un testo che si concentra soprattutto sui linguaggi e credo che possa essere molto utile letto in parallelo con i lavori di Tzarina Caterina Casiccia e di Giusi Palomba. Il senso di questi suggerimenti (potrebbero essercene e ce ne sono molti altri) è di provare a rallentare, di leggere, studiare, di non considerare ogni libro un oggetto singolo, ma un prodotto culturale che è nato in ogni caso da alcune relazioni e che sta bene se è in relazione.


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