Testo: Beatrice Galluzzi
Copertina: Julio Armenante
Camminava lungo il ponte dismesso tenendo un braccio teso verso la ringhiera. Sotto i polpastrelli scorrevano squame di vernice, piccole crepe e grumi di ruggine. A quellʼora, il viadotto era immerso nella fetta dʼombra che si allungava dal monte Sirino e i contorni verdi della valle si scioglievano in un candore molesto, che pareva riflettere una luce innaturale. Arrivata al punto in cui il passamano si troncava, Elisa si fermò e percepì l’umidità salire dal letto del fiume, portandosi dietro il sentore di ciclamini, di terra e di foglie marcite. Lo strapiombo si allungava verso il bosco in una discesa fonda e assoluta, eppure il fluire dellʼacqua le pareva prossima alla punta delle scarpe.
– Cʼè qualcuno? – gridò, aspettando che lʼeco le rimandasse indietro la domanda. Ma le parole persero solo di potenza, per poi scemare del tutto.
Elisa poggiò il fianco alla ringhiera vacillante e il vuoto sul quale si teneva in equilibrio dʼimprovviso le si condensò intorno. Allora chiuse gli occhi, e quando un istante dopo li riaprì, quello che vide non fu più la vallata, né il bordo delle montagne aguzze; non vide il fiume, né gli alberi fitti, e non fece caso al falco, immobile, mentre puntava qualcosa più in basso. Davanti a lei cʼera lʼinterno del suo salotto, con gli scacchi sparsi sul tappeto cremisi, le tende agitate dal vento e le ombre in movimento sul divano di velluto. – E ora rimetti tutto a posto, – le disse la voce, – ogni cosa come lʼhai trovata.
I mesi di quella primavera si erano susseguiti in una blanda inconsistenza. Le giornate, ormai lunghe, sfoggiavano le loro ore più belle, prolungando il giorno fino allʼora di cena, e impedendo a Elisa di uscire da casa. Come una pioggia di aghi, i raggi di luce le attraversano gli occhi, per poi raggrupparsi allʼinterno del cranio, dando forma a emicrania e confusione. La figlia più piccola la osservava rimanendo in disparte, facendo finta di vestire bambolotti, ma in realtà contando le sue mosse. Elisa se lo sentiva addosso, quello sguardo, fatto di ansia e rancore, sfociati nella frenesia di controllarla ad ogni passo. Persino quando andava al bagno, dal vetro zigrinato della porta, scorgeva la sagoma ricciuta della bimba, come una figura incorporea che la braccava senza mai riuscire a raggiungerla davvero. Il figlio grande, invece, era andato dal padre, perché il patto tacito, venuto naturale dopo anni di temperamenti altalenanti, era che nei momenti di crisi si sarebbe dovuto mettere al riparo. E fu proprio lui a rientrare a casa senza avvertirla, poco dopo che Elisa aveva avuto uno dei suoi attacchi. In terra cʼerano cocci di piatti, bottiglie vuote e vestiti; libri aperti sottosopra, libri chiusi impilati, libri senza copertina, libri macchiati di cibo; frammenti di quotidiani minuziosamente ritagliati, le cui figure in bianco e nero formavano una mappa scomposta tra la mescolanza. Elisa sentì la chiave girare nella porta, i vetri scricchiolare sotto la suola delle scarpe, lʼalternanza dei passi lenti ad altri incerti, e poi lunghi intervalli colmi di assenza di suoni. – Cʼè qualcuno? – Rimase sdraiata sul tappeto del salotto, coperta fino al collo da un lenzuolo. Un mucchietto di scacchi, riversi poco lontano dalla massa di capelli sciolti, sembravano farle da corona.
– E ora rimetti tutto a posto, – le disse il figlio, – ogni cosa come lʼhai trovata.
Vedendo comparire suo figlio sulla soglia, Elisa sorrise, sentendosi slargare la bocca in una smorfia fuori luogo. Si mise a sedere, lasciando cadere il lenzuolo sulle cosce, e scoprendo la pelle esangue e i seni ancora pieni nonostante la magrezza. – Amore, non ci devi fare caso. – Provò di nuovo a sorridere, stavolta in un modo composto. – Dammi giusto due minuti, poi mi alzo.
– Che cosʼè questa puzza? Dovʼè Enrica? – Il ragazzo si girava su sé stesso in allarme, guardandosi intorno come se avesse sentito arrivare il terremoto.
– Se lʼè venuta a prendere la nonna. Questi giorni non ce la facevo a starle dietro, con i compiti e tutte quelle cose…
– Quelle cose sono la sua vita! Certo che non ce la facevi, riesci a stare dietro solo a te… Tutto il mondo si ferma. Anzi, tutto il mondo si deve fermare, giusto?
Lʼodio manifesto nello sguardo di suo figlio, gli occhi appuntiti dal diniego, la bocca strinta, per Elisa furono solo un fotogramma, che non lasciò residuo alcuno nello spazio vuoto dove tempo prima le emozioni le facevano da risonanza. Fu proprio lʼassenza di stupore a farla affliggere da una placida arrendevolezza.
– Da domani le ricomincio, le pasticche. Te lo giuro.
– Non giurare, sai! Guarda in che condizioni stai vivendo… – Il ragazzo spalancò le braccia, poi le lasciò cadere come se su di loro gravasse lʼintero peso di quel caos. – Fai schifo, la vita ti scivola addosso. Ma possibile che tu non abbia uno stimolo, un desiderio?
A Elisa parve il bagliore di una lacrima quello che illuminò il bordo degli occhi di suo figlio. Avrebbe voluto dirgli che un desiderio lei ce lʼaveva, che la voglia di morire per lei era come quella di vivere per gli altri: lʼimpulso di una spinta, ma nella direzione opposta.
Invece rimase in silenzio, aspettò che lui uscisse dalla stanza, e si alzò, lasciando cadere il telo bianco che la riparava. Abbandonò dietro di sé gli scacchi sparsi sul tappeto cremisi, le tende agitate dal vento e le ombre in movimento sul divano di velluto.
Quando il rumore dei passi di suo figlio si affievolì nellʼandrone, attraversò il corridoio calpestando a piedi nudi le pagine del Cyrano; gli appunti sparsi in taccuini smembrati; bucce di cocomero, il cui succo si era solidificato; la copertina del libro con la fotografia di un faro; le schegge taglienti del servizio di piatti di sua madre, quello per il brodo; un ritaglio di giornale che definiva i contorni di un soldato e una ragazza su una moto, che sorridevano guardando avanti; un altro frammento di quotidiano, che ricordava un dinosauro senza testa; un asciugamano lercio, con i lembi zuppi; il tappo di una bottiglia di Merlot; una penna stilografica nera, con un getto di inchiostro schizzato intorno; i resti di un biscotto integrale; una scatola di gomme vuota; la mezza sagoma di una conchiglia. Elisa entrò in bagno rimanendo a testa bassa e, priva della volontà di vedersi riflessa nello specchio, una volta davanti al lavandino decise di chiudere gli occhi. Ascoltò lo scroscio fluire dal rubinetto, ma il rumore le arrivava già ovattato, il riverbero dellʼacqua passava dalle palpebre socchiuse, il profumo del bosco si stava dissolvendo. Poggiò le mani nel getto di acqua e sentì i piedi sfiorare le pietre lisce.
Tutto intorno arrivò il conforto, e la placida accoglienza del fiume.