di Vanessa Niri
Era l’antivigilia di Natale, in casa Pio. Il Padre osservava soddisfatto la montagna di regali sotto l’albero: anche quest’anno gli amici dei suoi figli sarebbero usciti soddisfatti e con la pancia piena, dopo una scorpacciata di ravioli e l’apertura dei doni, ognuno impacchettato in una carta di colore diverso.
Certo, era più facile quando la vigilia di Natale veniva festeggiata con i compagni delle elementari: bastavano due confezioni di lego, qualche bambola e una confezione di pennarelli.
Adesso era tutto più difficile.
I figli avevano ormai vent’anni e frequentavano gente strana. Quel tipo di persone a cui non sai mai cosa regala, soprattutto perché era difficile trovare un filo conduttore tra le amicizie di Roberto e Caterina. Non li accomunava la passione per i videogiochi, o per i romanzi dell’Ottocento. Non passavano serate a guardare film nouvelle vague o b movie americani. Non facevano sport insieme, non tifavano nessuna squadra. Non avevano neppure tutti la stessa età.
C’era Cupiello – un simpatico vecchietto napoletano che portava con orgoglio cappotti lisi e scarpe bucate, ma era figlio di una vecchia gloria del teatro italiano e abitava in un appartamento a Milano 2. C’era Mao, per gli amici Maotsetung – un cinese di seconda generazione che passava i week end a lavorare nel ristorante di famiglia. C’era Carmelo – istrionico, bestemmiatore, pazzo. C’era Maria, detta Madonna non tanto per la somiglianza con la cantante quanto per la sua miopia che, impedendole di mettere a fuoco ciò che la circondava, le regalava un’aria mistica e trascendente. E infine c’era lui, l’amico che nessuno vorrebbe per i propri figli: Saladino. Un uomo di mezza età che covava una rabbia repressa capace di renderlo cattivo e feroce con le persone a cui voleva bene.
Erano cinque, gli amici della compagnia di Roberto e Caterina e con loro non si sapeva mai che direzione avrebbe preso la serata.
Ma, nonostante rimpiangesse il tempo quando gli invitati si chiamavano Chantal e Federico e avevano i codini e i calzettoni con i maialini, Goffredo Pio non aveva nessuna intenzione di rinunciare al rituale della vigilia. Emise quindi un profondo sospiro ammirando l’albero di Natale illuminato, tiro giù le tapparelle, chiuse la porta con il chiavistello e andò a dormire, in attesa del giorno seguente.
La mattina dopo, Goffredo tirò a lucido la casa, andò a comprare 8 bacardi breezer, due confezioni di coca cola, una bottiglia di rum bianco, quattro etti di affettati, cinque pacchi di patatine e una confezione di cioccolatini. I ravioli e il sugo per il piatto principale erano già impilati in frigo, in attesa della cena.
La sera si avvicinava rapidamente e, giunto a casa, Goffredo iniziò a percepire il montare dell’ansia: i regali sarebbero stati all’altezza degli ospiti? Roberto e Caterina si sarebbero vergognati del padre, quando gli amici avessero scoperto cosa si nascondeva sotto le carte colorate dei pacchetti?Mancavano ancora due ore all’arrivo degli ospiti, e Goffredo pensò di aprirsi una birra. Ne scovò una nascosta tra l’insalata e il philadelphia e se la bevve seduto in poltrona, di fianco al presepe.
Quando erano le sei e mezza, Goffredo aprì un bacardi breezer al gusto lime. Poi uno al pompelmo. Poi pensò che era il momento giusto per un cuba libre. E alle otto e dieci, quando stava finendo il terzo long drink, suonarono alla porta. Quando Goffredo accolse gli ospiti, arrivati a casa direttamente da un giro veloce ma significativo di pub crawl, era così ubriaco da non accorgersi di essere, contro ogni ragionevole aspettativa, il più sobrio della compagnia. Caterina, Mao, Saladino, Cupiello, Roberto, Carmelo e Maria si rovesciarono nel salone ridendo sguaiatamente e mandando baci a Goffredo, che tentava disperatamente di stare in piedi, appeso alla porta d’ingresso.
Roberto andò in cucina e riapparve tenendo precariamente in bilico tre bottiglie di bacardi, una ceres, una bottiglia di Coca-Cola e una di rum, piena per metà. Gli amici aggrottarono la fronte, di fronte alla misera offerta alcolica, ma si riebbero immediatamente tirando fuori dagli zaini una quantità di bottiglie che avrebbe da sola potuto affossare l’era del proibizionismo americano.
Goffredo servì gli antipasti e i discorsi dei commensali gli arrivavano alle orecchie come un indistinto brusio. In uno dei picchi di lucidità poté godere dello sguardo mistico di Maria alla quale, puliti gli occhiali a fondo di bottiglia, era apparso Carmelo, particolarmente trendy nel suo maglione di lana con le renne.
I ravioli risultarono una poltiglia collosa macchiata di sugo, perché Goffredo li aveva dimenticati sul fuoco per venti minuti. Ma nessuno apparve accorgersene, tra i fumi dell’alcool.
Finita la cena, i sette trovarono posto tra il divano, le poltrone e il tappeto Ikea, e forse fu per le luci di Natale che tutti, tranne Goffredo, vennero assaliti dalla sbornia triste.
Che vita di merda – disse Maria. I turni delle feste nel magazzino di Amazon: ci sarebbe da odiare il Natale per tutta la vita.
Se vuoi, puoi provare a venire a lavorare al ristorante durante le cene aziendali all you can eat – la interruppe Mao – rimedi cinque pacche sul culo e la pulizia del vomito nei bagni.
Almeno voi avete un lavoro – intervenne Cupiello – sono al trentesimo anno di precariato teatrale. Potrei mandarli tutti affanculo e vivere di rendita, ma resto agganciato al sogno di poter far apprezzare la mia rilettura di Ibsen, e così giro l’Italia su furgoncini scassati per salire sul palco davanti a otto persone a Catanzaro.
Tutti si aspettavano un intervento di Carmelo, a quel punto, ma lui preferì stupire i presenti restando zitto e si limitò ad alzare un eloquente sopracciglio.
È perché siamo delle merde – concluse allora Saladino – anche io sono una merda. Anche Caterina e Roberto, lo sono, anche se stanno zitti perché non vogliono rovinare il Natale al paparino.
E il più merda di tutti sei tu, Pio Padre. Che hai messo al mondo due figli in questa società del cazzo, e non fai niente per migliorare la loro situazione.
Calò il silenzio, rotto soltanto dal tintinnio del ghiaccio nei bicchieri semivuoti di Cuba libre.
Goffredo allora si strofinò le mani sui pantaloni e, sfoderando il suo miglior sorriso, disse: – Mi sembra il momento perfetto per aprire i regali di quest’anno.
Roberto e Caterina guardarono gli amici, e il loro chiarissimo non verbale diceva: “Siate clementi”.
Gli ospiti allora si alzarono e presero i piccoli pacchetti con il loro nome sui bigliettini a forma di ananas.
Forza, anche voi – disse Goffredo ai figli – c’è un pacchetto per tutti.
No, Maria, aspetta.
Quest’anno dovete aprire il pacchetto tutti insieme, perché ho regalato la stessa cosa ad ognuno di voi.
È sicuramente qualcosa che non avete e non conoscete. È la mia sorpresa di Natale per migliorare le vostre vite di merda, come dice Saladino. Aprite al mio tre.
Al termine del rapido count down, quattordici mani si affrettarono, incerte, a scartare i pacchetti.
Da tutti emerse un bigliettino.
Il primo a leggerlo fu Carmelo:” Biglietto di prima classe per la Rivoluzione”.
Anche il mio dice così – confermò Saladino.
Anche il mio – dissero Mao e Cupiello.
Maria non disse niente perché aveva scordato gli occhiali da lettura, ma confermò con un cenno del capo, sperando di non sbagliarsi.
Ovviamente, anche Roberto e Caterina avevano ricevuto lo stesso biglietto.
Ma che è? – chiese Maotsetung – dove sta questa rivoluzione? Ci si va in treno? Partiamo adesso?
Si, partiamo adesso – sorrise Goffredo – Mettetevi comodi che vi spiego tutto.