di Gian Marco Griffi
Copertina: Tempio – Julio Armenante
Puntata #1
Le motivazioni di un viaggio in Grecia
Gli studi indicano che la distanza tra le mie sopracciglia, in questa società, è problematica.
Il mio amico Tristòforo Figliodidio sostiene che sarebbero bastati alcuni millimetri in più e la mia vita sarebbe cambiata in maniera inesorabile e vantaggiosa. Cionondimeno, dice il mio amico Tristòforo Figliodidio, la natura percorre strade che l’intelligenza non conosce (sta sicuramente citando qualcuno, ma non so chi), e nessuno sarà mai in grado di aumentare la distanza tra le mie sopracciglia.
Buon dio, quanto è ingenuo.
Ammetto che i miei metodi di stima fisiognomica siano un tantino casalinghi, ma ricordate Lombroso ai primi tempi, quando era ancora studente all’Università di Pavia; ricordate Benedict Lust, che si servì di una semplice lente d’ingrandimento per esaminare le cellule umane.
Io mi sono servito di un righello Maped da trenta centimetri; d’accordo, non sarà il massimo dell’accuratezza, ma date un righello Maped da trenta centimetri a un uomo dotato d’ingegno e tenacia, e quell’uomo vi misurerà il mondo.
Insomma gli studi sulle mie sopracciglia hanno rivelato che soffro di una spaventosa malattia mentale: la frivolezza.
Il mio sopracciglio gibboso inoltre palesa che non sono capace di armare un qualsiasi fucile, di preoccuparmi per una crisi economica o per una violazione dei diritti umani. Se ciò non bastasse, una ptosi della palpebra inferiore mostrava fin dalla prima infanzia che non avrei mai potuto essere un poeta. Questo e un certo influsso epato-biliare che predispone all’impulsività e alla leggerezza di mente.
I poeti non mi sono mai stati simpatici. Ricordo le rare volte che li ho incrociati, sprofondati su comode sedie con le gambe accavallate, corazzati di un turbamento laconico. Quanto avrei desiderato sedermi nel dehor di un caffè per scrivere poesie, fumare, mangiarmi le unghie. Invece le unghie sono il primo posto dove la gente guarda, e non è facile essere grevi e pensierosi con le unghie curate.
Così ho deciso di riunire un gruppetto di persone – gesù, mi verrebbe da dire una vera e propria banda – la cui distanza tra le sopracciglia era ritenuta problematica. Si trattava di un bel gruppetto, anche se poi uno dei membri ha preso il cancro e un altro è finito impiccato al lampadario di casa.
Alla fine sono rimasto solo io, un’individualità malata d’inconsistenza.
Forse è per questo che una serie di combinazioni mi ha fatto incontrare te, affinché potessimo dare il nostro contributo alla conservazione della specie; imbastire una creatura, insomma, la cui distanza tra le sopracciglia fosse soltanto simile (non: identica) a quella del padre, del suo papà; in fondo pochi millimetri possono rappresentare la differenza tra un figlio iscritto ad Amnesty International e uno la cui sola passione sono due caviglie ben tornite.
Vedi queste sopracciglia? La loro distanza ha firmato la mia condanna alla riprovazione pubblica. Mi consolo ragionando sul fatto che nessuno può scegliere la propria malattia, tantomeno io; la natura sceglie, anzi, come si dice, seleziona, al posto nostro.
A me non resta che vivere in una stanza tappezzata con ritagli di giornale, cartoline, figurine, fumetti. L’albo originale numero sette di Tex (Il patto di sangue, gen. 1960, copertina di Galeppini) ha una lieve increspatura sul bordo superiore, per il resto è ben conservato, e non intendo privarmene.
D’altra parte, quando mi domandasti la ragione per cui trascorressi tanto tempo a consultare fumetti, figurine, libri di fantascienza, non avrei mai creduto fosse tua intenzione contattare uno squallido rivenditore di fumetti usati. Per mettere da parte qualche soldo, dicesti. Come se il denaro potesse surrogare una prima edizione intonsa di H. G. Wells.
Il nostro tutore coniugale ci consigliò di confermarci ogni singolo giorno la decisione di trascorrere una vita insieme, legati dal sacro vincolo del matrimonio. La volta che ti chiesi di confermarmi la tua decisione e mi rispondesti di no, non ricordo il giorno preciso (ma era certamente un giorno terribile, privo di giustezza, di quelli in cui il paesaggio si camuffa e mulinelli di insensibilità si levano al cielo come esplosi da cannoni sparaneve; la nostra ubicazione era un bar del centro storico, e tu dicesti: te la caverai), non ti nascondo che me la cavai piuttosto male; eppure avrei dovuto sospettarlo, se non altro per via della particolare conformazione del tuo naso, il tuo bel nasino piegato verso il basso nella parte inferiore, con punta ipertrofica e alette tese: sapevi che è indice di un grande potenziale emotivo, di una forte suscettibilità e di una predisposizione a compromettere rapporti umani e relazioni? Io lo sapevo, ma avrei certo preferito non assodare mai l’attendibilità dei miei studi.
Il ritaglio di giornale cui sono più affezionato è quello riguardante la morte della Principessa Grace Kelly, datato quindici settembre millenovecentottantadue. Ma c’era un tepore, quel giorno, che un uomo può ricordare solo a patto di un enorme sforzo d’immaginazione. Utilizzai quel ritaglio come ammiraglia della mia flotta di carta, e ancora oggi continuo a smussarne gli angoli affinché assuma perfettamente la foggia di una immensa portaerei. Ho altri ritagli, che utilizzo da caccia torpedinieri. I più piccoli rappresentano i soldati. La guerra di carta è comoda ed educativa, e i soldati nemici prendono fuoco che è una meraviglia.
Il tutore coniugale aveva previsto la possibilità che dopo millecentotredici giorni tu non confermassi la decisione presa in una chiesa ben illuminata, colma di persone che non m’interessavano e fiori di campo? Io indossavo un mezzo tight in tinta coi tuoi occhi e avevo le unghie curate. Tu portavi un vestito semplice, e piangesti un poco. Gli invitati non se ne accorsero ma io sì, poiché il mio posto era per così dire privilegiato; la mia posizione mi permetteva di vedere il tuo orecchio destro, il tuo bellissimo orecchio destro con le sue caratteristiche irregolarità dell’antielice, ciò che ti distingueva per tenacia, voglia di emergere, egocentrismo.
Non ricordo di preciso cosa ci condusse nello studio di un tutore coniugale, ma qualunque cosa fosse aveva certamente a che fare con l’estensione del tuo collo: indica insicurezza e desiderio di essere ascoltati da qualcuno.
Fu lui, il nostro tutore dalla cravatta gialla e dal sapore di tabacco da pipa, a farci valutare l’idea di diventare genitori. Così, all’improvviso, dopo nemmeno novecentocinquanta giorni di matrimonio.
È vero, qualche tempo dopo ti dissi che desideravo ardentemente non essere padre, ma aggiunsi anche che avrei potuto diventare uno zio fantastico, se solo me ne avessi dato il tempo. Fu lo stesso giorno in cui ti confidai che la tua lingua stretta sprigionava energia yang, mentre la mia lingua larga emanava energia yin: temo di aver confuso lato della collina.
Ma guardalo, non è meraviglioso nostro nipote? Sembra nostro, ma non è nostro. Ha il privilegio di non esserlo. Le sue grandi orecchie indicano coraggio. E sto parlando di un bambino di tre anni. Farà grandi cose, il nostro nipotino dalle grandi orecchie e dalle sopracciglia caratteristicamente distanziate. Vedi come sono diritte? Indicano forte realismo. Il mondo ha bisogno di realisti, non di scribacchini.
Il secondo ritaglio di giornale cui sono più affezionato descrive la vicenda di quattro studenti incarcerati perché sorpresi a far linguacce (vedi fotografia) alle spalle di un dittatore qualunque. La loro lingua, rossa e sana, mi è sempre sembrata la cosa più semplice e bella che il nostro mondo avesse prodotto negli ultimi mille anni.
I due maschi, leggo nell’articolo, se la videro mozzata. Occhio per occhio, lingua per lingua.
Viceversa gli aguzzini si convinsero che per i propri scopi pedagogici le lingue delle femmine sarebbero state molto più utili attaccate al loro posto, e lì le lasciarono.
Tra l’altro quel ritaglio mi fa venire in mente quando andammo al cinema (che film davano? Non ricordo) e tu vomitasti la cena in grembo a una donna incinta. Dovetti spiegarti la ragione per cui gli aguzzini preferirono non mozzare le lingue delle studentesse. Sei sempre stata così maledettamente ingenua e pura. Perlomeno fino al giorno in cui decidesti di modificare il tuo naso.
L’albo numero uno di Tex (La mano rossa, ott. 1958, copertina di Galeppini), che tu mi consigliasti di vendere per racimolare i soldi necessari all’acquisto di un completo grigio con cravatta azzurra, presenta trascurabili fioriture e un piccolo segno di tarlo limitato al margine esterno del titolo, ciononostante è prezioso quanto una guerra nel golfo, o uno tsunami nel mar del Giappone. E poi non ho mai avuto la reale necessità di un completo grigio, tantomeno se accostato con una cravatta azzurra. La mia vecchia giacca ha le toppe e mi piace moltissimo, anche se ti è sempre piaciuto trovare qualcosa per cui biasimarmi.
Ricordo quando biasimasti la scelta di iscrivermi a un Corso di Esegesi Nasale (Radice, Setto e Dorso), giacché non riuscivi a comprenderne l’utilità. Eravamo in una stanza bianca al terzo piano di una clinica di lusso pagata con soldi provenienti dal conto dei tuoi genitori, e ti lamentasti del fatto che i tuoi seni, quei seni delicati che amavo tanto, fossero sottodimensionati rispetto alle misure standard contemporanee. E quando ti domandai sorpreso se per i seni esistessero misure standard contemporanee tu ti rabbuiasti e mi cacciasti dalla stanza bianca, lasciandomi solo sui marciapiedi di una città che non conoscevo, una città distante e forestiera.
E sebbene sapessi che un mento quadrato e volitivo indica astuzia, intelligenza, aggressività, vitalità, autorità, decisione, continuai a vagare per le strade di quella città enorme, frutto del lavoro di uomini senza dubbio enormi, rimuginando sull’impossibilità di sostituire il mio mediocre mento curvo, o quantomeno sull’impossibilità economica di farlo.
Poi decisi di bere un caffè e mangiarmi le unghie, ma me ne pentii subito.
Fu quello il momento in cui ti telefonai, chiedendoti ancora conforto nella decisione di iscrivermi al Corso Nasale per scoprire i segreti reconditi del naso umano, e tu riattaccasti scocciata.
Eppure, lo sapevi che il dorso nasale è lo specchio della personalità? Esso viene così suddiviso:
terzo prossimale = conscio
terzo mediale = subconscio
terzo distale = tubo digerente, senso del piacere
alette nasali = vie respiratorie
Il tuo desiderio di migliorarti il naso è encomiabile, dissi. Ma la nuova struttura del tuo naso, il tuo nuovo setto nasale rettilineo con columella simmetrica che non riconosco più, ha sensibilmente modificato la tua personalità, disponendola all’insoddisfazione: non è mai stato da te lamentarti per la cena. E il filetto alla Strogoff mi era sembrato squisito, cotto al punto giusto. Sono certo che con il tuo vecchio naso non te ne saresti mai lamentata.
Provai a convincerti anche se ormai era tardi, e subito dopo iniziai a studiare la relazione tra naso e religione, dotandomi tra l’altro di un utilissimo rinoigrometro. Trascorsi quattro mesi in un monastero, tra persone ospitali dotate di nasi disorganici e affette da rinorrea. Ma cucinavano meravigliosamente, soprattutto selvaggina di sottobanco rimediata da cacciatori occasionali che donavano lepri e fagiani per alleggerirsi la coscienza.
Vedi il mio sopracciglio sinistro? Indica che sono un carnivoro.
Al monastero imparai tra l’altro che i rimedi omeopatici più indicati da consigliare a soggetti con naso arrossato sono: Bryonia, Carbo animalis/vegetabilis, Natrium muriaticum, Jodum, Chelidonium, Lycopodium.
Inoltre mi convinsi che non esiste una relazione certa tra naso e vocazione religiosa.
Nello studio del tutore coniugale lo ascolto mentre dice che ci farebbe bene un viaggio in Grecia.
Perché proprio in Grecia? Chiedo io.
Perché costa poco, dice lui.
Puntata #2
Prefazione – Una lettura in aeroporto prima di un viaggio in Grecia
In aeroporto, bevendo il terzo Negroni, leggo “La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia”, di Paul Faure (lo davano con qualche quotidiano), dove si apprende che Achille si lavava le ascelle (rapidissimamente) tre o quattro volte al giorno e Ulisse aveva trovato il modo di non lavare i piatti: li infilava sporchi in un grosso cubo di legno e li recuperava perfettamente puliti, per la gioia di Penelope e lo stupore di Telemaco, che lo ammirava con occhi trasognanti; all’interno del cubo si celavano dieci sudditi che strofinavano, sgrassavano e asciugavano i piatti, ma questo non lo disse mai a nessuno. Cassandra (coi greci non c’entrava niente, ma si teneva informata sulle vicende internazionali) avvertì tutti che c’era la fregatura, ma non fu creduta (sostiene Faure che Cassandra fosse la fondatrice del CICAP). Si apprende che nella quotidianità Cassandra era fatta così, non lo faceva apposta; occhio che hanno lavato i pavimenti, si scivola, ma figurati, caduto in terra con un male cane al coccige; occhio che piove, ma va che c’è il sole, acquazzone; copriti che prendi freddo, sono un uomo robusto, raffreddore terribile, eccetera. Si apprende che Menelao invita Elena a uscire portandola al mare, Elena accetta, impiega tre ore a prepararsi, Menelao è un po’ spazientito, muoviti Elena, dice, ho quasi fatto, dice lei, la giornata si guasta e Menelao è furibondo, Elena chiede scusa, Menelao accetta le scuse, anziché andare al mare fanno l’amore per terra, selvaggiamente, perché erano nel 1250 avanti cristo o giù di lì, e a quei tempi si faceva l’amore selvaggiamente, liberi da preconcetti, e se non fosse stato per il cristianesimo avremmo continuato a farlo selvaggiamente ancora oggi, per le strade, sugli autobus, sulle scrivanie, con le proprie cugine, con le proprie parenti, eccetera (intendiamoci: oggi si fa così ugualmente, cristianesimo o no, ma prima del cristianesimo non si andava all’inferno, oggi sì, e sono tutti fatti vostri). Si apprende che Patroclo componeva odi d’amore per il ‘cugino’ Achille, lui se ne fregava, Patroclo soffriva, diceva mi fai venire voglia di diventare etero, Achille diceva vieni qui, bambinone, lo baciava sulla fronte, Patroclo si scioglieva e componeva un’altra ode, Achille si indispettiva, diceva basta Patroclo, ho capito, questa cosa della poesia mi ha annoiato a morte, Patroclo metteva il broncio, sei crudele, diceva, Achille lo accarezzava, qualcuno te lo doveva pur dire prima o poi, diceva, Patroclo ci soffriva, questa cosa della pederastia pedagogica è un grandissimo imbroglio, pensava, e se ne tornava a casa deluso, scalciando le pietre, a casa componeva un’altra ode e la chiudeva nel cassetto (dice Faure che aveva i cassetti traboccanti poesie che nessuno avrebbe mai letto). Si apprende che Agamennone incontrava persone, le guardava dalla testa ai piedi, datemi tutto, diceva, quelli erano confusi, come datemi tutto, domandavano, Agamennone si spazientiva, voglio tutto ciò che avete, e faceva una guerricciola, una battagliuccia, una scaramuccia, poi ordinava ai suoi di uscire in barca, prendete le barche, diceva, e andate a pesca, gli uomini di Agamennone si mettevano in mare, trovavano un popolo un po’ depresso e via con le battagliucce e le scaramucce per raggranellare un po’ di bottino per Agamennone, che sguazzava nel suo deposito di Micenopoli come un precursore di Zio Paperone (dice Faure). Si apprende che la moglie di Aiace Telamonio era pettegola e che lo mandava a fare la spesa tutte le mattine, Aiace, diceva Tecmessa, manca il sale, manca il burro, la selvaggina, Aiace la guardava con occhi innamorati, ancora, diceva, lei diceva sì, ancora, e Aiace usciva nel mattino gelido di Salamina e tornava con sale, burro, un leone, cose così. Si apprende che Macaone era medico della mutua un po’ annoiato e stanco di prescrivere medicine inutili, celebre per aver praticato la manovra di Heimlich (che forse si dovrebbe chiamare manovra di Macaone, dice Faure) a Teti, madre di Achille, durante una piacevole serata al ristorante. Secondo il Faure le cose sono andate così: Teti inghiotte un’oliva e le va di traverso, mamma, cos’hai, domanda Achille sconvolto, ‘offo’o, dice Teti col volto cianotico, non capisco, dice Achille, ‘of’o’o, ‘risto, dice Teti portandosi disperatamente le mani alla gola, ma niente, Achille non capisce, brandisce la spada bronzea e insulta Zeus, insulta Apollo, insulta Poseidone, insulta Era, insulta Ade, insulta Ares, insulta i camerieri, mentre Teti ‘offo’a, tossisce debolmente e ha il respiro affannoso; Macaone capisce la situazione al volo e si precipita verso la donna, la afferra, Achille sta per trafiggerlo con la spada, non toccare mia madre, dice, Macaone cinge Teti con le braccia attorno ai fianchi, Achille è nervoso ma lascia fare, Macaone posiziona la mano piegata con il pugno chiuso e il pollice appiattito contro l’addome di Teti, tra lo sterno e l’ombelico, con l’altra mano si afferra il pugno e comincia a spingere, alternando colpi dorsali e compressioni sottodiaframmatiche, milleuno, Teti sta perdendo conoscenza, milledue, questa cosa del milleeccetera l’ho letta da qualche parte, mi è piaciuta, milletré, Teti sputa l’oliva e crolla a terra sfinita, tentando di pigliare l’aria muovendo la bocca come quella di un pesce spiaggiato, Macaone siede sul pavimento, Achille ripone la spada nel fodero e ringrazia Zeus, ringrazia Apollo, ringrazia Poseidone, ringrazia Era, ringrazia Ade, ringrazia Ares, ringrazia i camerieri. Si apprende che Agamennone spingeva Ifigenia sull’altalena nel giardino di casa, sei la mia figlia prediletta, ripeteva, grazie, diceva Ifigenia, mi piacerebbe possedere un cavallo, che problema c’è, diceva Agamennone, domani te ne razzio dieci, grazie, diceva Ifigenia, mi piacerebbe possedere un palazzo, che problema c’è, diceva Agamennone, dopodomani dichiaro una guerricciola, grazie, diceva Ifigenia, mi piacerebbe che il mio professore di lineare b capisse le mie problematiche adolescenziali e non mi stressasse continuamente, che problema c’è, diceva Agamennone, settimana prossima lo faccio uccidere e lo sostituisco, grazie, diceva Ifigenia, mi piacerebbe fare l’amore con Achille, che problema c’è, diceva Agamennone, domani lo chiamo e lo faccio venire, poi arrivava Clitennestra e diceva basta viziare tua figlia, e rovinava tutto. Si apprende che Briseide voleva imparare a scrivere correttamente, e che Priamo aveva imposto a Enea di insegnarle la bella scrittura. “Dà” si scrive con l’accento, diceva Enea, perché chiedeva Briseide, perché sì, diceva Enea, perché sì non è una risposta, diceva Briseide, perché è voce del verbo dare, diceva Enea, non mi pare così importante, diceva Briseide, è importante sì, diceva Enea, non mi pare, diceva Briseide, altrimenti si potrebbe confondere con il “da” preposizione, diceva Enea, e cos’è una preposizione, chiedeva Briseide, una preposizione è una preposizione semplice o una preposizione articolata, diceva Enea, grandioso, diceva Briseide, le preposizioni semplici sono: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra, diceva Enea, bellissimo, diceva Briseide, prova tu, diceva Enea, di, a, dal, col, diceva Briseide, no, fermati, non ci siamo, diceva Enea, prova ancora, concentrati: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra, magnifico, diceva Briseide, di, al, con, no, ferma, diceva Enea, non devi tirare a indovinare, stai tirando a indovinare, la grammatica va studiata, come la matematica, non è l’oracolo di Delfi, diceva Enea, e cos’è un oracolo, chiedeva Briseide, un oracolo è un oracolo, diceva Enea, “un oracolo è un oracolo” non è una risposta, diceva Briseide, Enea si schermiva, parliamo di sillabe, diceva, sillaba la parola “transustanziazione”, Briseide lo guardava storto, non l’ho mai sentita dire, diceva, cosa importa, devi sillabarla, diceva Enea, te la sei inventata, diceva Briseide, non me la sono inventata per niente, diceva Enea, questa cosa della sillabazione non serve a un tubo, diceva Briseide, e come no, diceva Enea, fammi un esempio, diceva Briseide, non vuoi scrivere poesie, diceva Enea, ma sono sperimentali, diceva Briseide, non ha importanza, diceva Enea, come si pronuncia, chiedeva Briseide, si pronuncia tran.sus.tan.t͡sjaˈt͡sjo.ne, diceva Enea, “tran-su-stan-zia-zio-ne”, diceva Briseide scocciata, bravissima, diceva Enea, meglio di così non potevi sillabarla, grazie, diceva Briseide, adesso posso scrivere, chiedeva, scrivi, diceva Enea, e Briseide scriveva.
Poi chiamano il mio volo, butto giù l’ultimo goccio di Campari e m’imbarco.
Puntata #3
Diario ellenico, una storia di viaggio greca
Prima giornata
[Πρόλογος]
E così mi sono risvegliato in Grecia, in un albergo ateniese dall’odore miceneo, con i capelli complicati dalla sbronza patita in aereo, e tutto sommato poteva andarmi peggio.
In piazza Syntagma mi attende un Comitato di Benvenuto composto da cinque sottosegretari della Repubblica Ellenica, un sosia di Anthony Quinn mascherato da Zorba, un complesso di sirtaki con venticinque ballerini disposti in cerchio e da diciotto euzoni nella loro caratteristica divisa. Osservo i preparativi dalla finestra greca del mio albergo greco. I ballerini provano il sirtaki abbracciati, il sosia di Anthony Quinn fuma nervosamente, gli euzoni trepidano come mirmidoni in attesa degli ordini di Achille, come opliti tremanti in attesa di superare il canale di Corinto il ventiquattro maggio del 432 avanti cristo, come tanti minuscoli ettori pronti al sacrificio estremo sotto le mura di Troia, o anche come prometei incatenati smaniosi di libertà. Insomma, sono pronti a esibirsi per me (e per Paola) con il loro fez rosso, con il loro gonnellino bianco con quattrocento pieghe, con la loro calzamaglia bianca e le loro giarrettiere nere, con le loro babbucce rosse a punta ricurva e pon pon nero. Le personalità invece sono in giacca e cravatta come personalità qualunque, di qualunque altro posto nel mondo. Il sosia di Anthony Quinn guarda in alto per carpire il momento in cui uscirò dalla hall dell’albergo.
Esco dal retro. Gli euzoni si rammaricheranno, ciononostante devo farlo, giacché le cerimonie mi rendono triste; sento che se mi sottoponessi a un rito iniziatico di benvenuto potrei deprimermi fino al midollo. Sento che se vedessi il sosia di Anthony Quinn ballare il sirtaki potrei voler trascorrere il resto della giornata in albergo.
Mentre io voglio uscire, camminare, scorrazzare, respirare l’aria achea e sorprendermi per le nuvole attiche: nel vicolo sul retro alzo lo sguardo, e tutto intorno a me è Grecia.
Anche se la Grecia che mi circonda non sembra precisamente la Grecia che si trova sulle carte geografiche, non sembra lo stato comprendente dieci milioni ottocentocinquantottomila e diciotto greci, membro dell’Unione Europea, costituito come repubblica e situato nell’estremo lembo della penisola balcanica.
Ciononostante eccomi qui.
[indice generale di cose greche]
Gli alberi, in Grecia, sembrano più alti che altrove. Le specie non sembrano dissimili da quelle esistenti in qualunque altro posto; tuttavia profumano in maniera differente. Prendere un caffè in Grecia non è un’operazione complicata. Ogni singolo gesto, dall’atto di ordinare a quello di mettere un cucchiaino di zucchero a quello di girare lo zucchero nella tazzina a quello di bere il caffè sono perfettamente identici in Grecia e in qualunque altro posto che io conosca.
Le pietre greche sono piuttosto anziane; il marmo pentelico al tramonto assume tonalità di rosa, mentre a mezzogiorno è color marmo pentelico semplice (senza tonalità di rosa).
I teatri, in Grecia, sono piuttosto rovinati; mancano le sedute, i gradoni sono vecchi e sporchi, le quinte bruciacchiate se non del tutto assenti, i tetti del tutto assenti; tuttavia l’acustica è perfetta.
Al teatro di Dioniso assisto a una rappresentazione privata de Le donne alle Tesmoforie di Aristofane; le donne greche, diversamente dalle donne non greche, parlano e pensano in greco. Non parlano e pensano in koinè bensì in greco moderno, tranne quando si ritrovano in una rappresentazione di Aristofane, in questo caso parlano e pensano in miceneo o in greco antico, e nessuno le capisce. Quando parlano e pensano in greco moderno, viceversa, qualcuno le capisce.
Le donne greche hanno i capelli tinti e abitano ad Atene, Delphi, Patrasso, Salonicco, ecc.; le donne ateniesi hanno un sarcasmo ateniese che le rende le seconde donne più sarcastiche del mondo dopo le donne paraguaiane, che sono notoriamente sarcasticissime, e appena davanti alle donne messicane della provincia di Oaxaca.
Gli uomini ateniesi sono seri, ombrosi, perfino mentre ballano il sirtaki, perfino mentre declamano canzoni popolari in preda a ebbrezza dionisiaca, e raramente comprendono il sarcasmo femmineo ateniese.
Tuttavia, per puro desiderio di conservazione e propagazione della specie greca, le donne ateniesi accettano di prendersi mariti greci e di accoppiarsi con uomini greci; mentre fanno l’amore sono solite ridere moltissimo. I maschi greci, non capendo il sarcasmo delle proprie donne, si adombrano. Il rapporto amoroso tra greci è tutto giocato sulla dicotomia tra il riso apollineo femminile e l’ombrosità tragica maschile; ciò che ne risulta, spesso, è un nuovo essere umano greco.
Domando a una cameriera ateniese se sente il peso di essere tra le donne più sarcastiche del mondo. Lei risponde qualcosa che non capisco e lascia uno scontrino da quindici euro.
I greci fumano come chiunque altro, ma con maggiore voluttà, come se stessero davvero godendo appieno il tabacco della propria sigaretta.
Le case greche sono costruite da uomini scelti appositamente per costruire case greche.
I templi greci sono imponenti, ubicati in ottima e panoramica posizione, per quanto scarsamente utilizzati per preghiere o riti vari. Le gru e le impalcature greche poste a ridosso dei templi hanno una funzione rituale-religiosa e una funzione per così dire pragmatica. I greci sono soliti pregare i propri dèi dall’alto delle impalcature che rivestono i templi, abbigliati come fossero operai o gruisti. Tuttavia essi non stanno lavorando, stanno pregando. È indicato chiaramente nel pannello turistico posto alla base del loro tempio più imponente, riccamente decorato da impalcature in ferro pentelico e gru in acciaio dipinto di giallo.
I semafori greci rispettano le tradizionali tonalità cromatiche in vigore in quasi ogni altra parte della terra.
Le piazze, in Grecia, sono spazi di forma quadrata, rettangolare, circolare, poligonale, che si aprono in un tessuto urbano, al termine di una strada e più spesso all’incrocio di più vie. Le piazze greche hanno nomi greci e servono a facilitare il movimento ed eventualmente la sosta dei veicoli, ma anche da luogo di ritrovo e di riunione dei cittadini.
Per le strade greche, uomini greci travestiti da vigili urbani e sistemati su piccoli podi ubicati al centro delle strade, declamano incessantemente (ventiquattro ore su ventiquattro), incuranti del traffico, canzoni, liriche, giambi, elegie, soprattutto omeriche. Utilizzano un fischietto per richiamare l’attenzione di automobilisti e pedoni e attaccano a declamare dei Lestrigoni e dei Lotofagi, delle rocce erranti e delle mandrie di Zeus, di Elena Paride e Menelao, dei Proci e di Argo, degli argonauti eccetera.
Comunque, nessuno li ascolta.
Dappertutto ci sono bar e ristoranti tipicamente greci, nei quali vengono servite torte di formaggio e carni greche.
Mangio una tyròpita di Skópelos mentre guardo tutto intorno a me altre innumerevoli cose greche che non riesco neppure a nominare.
I letti greci sono comodi. Paola dorme e spengo le luci greche della mia camera greca. Dalla finestra greca al settimo piano si vede la capitale dei greci illuminata da milioni di lampadine greche dorate e argentate e bronzee.
Guardo sotto e c’è una piazza greca brulicante di maschi greci ombrosissimi e rare femmine greche che se la ridono sotto ai baffi metaforici. Un rapsodo travestito da vigile urbano declama a squarciagola, e nessuno lo ascolta.
A mezza altezza, in lontananza, illuminata da fasci di arancioni, c’è l’acropoli di Atene, incredibilmente diversa dall’acropoli di Milano o dall’acropoli di Manchester o dall’acropoli di Düsseldorf.
Infine guardo il cielo e scorgo migliaia di stelle attiche, ateniesi, periclee, che sono bellissime come in Monferrato, ma non di più.
Puntata #4
Seconda giornata
[Dormire e risvegliarsi in Grecia]
In Grecia si dorme essenzialmente su letti dotati di materassi. Le notti greche durano approssimativamente dieci ore. Per dormire in Grecia si chiudono gli occhi e dopo qualche istante si perde coscienza di sé.
Gli incubi, in Grecia, sono diversi dagli incubi in altri luoghi, e differiscono da persona a persona. Paola (per es.) non ha avuto incubi.
Nel mio incubo greco tre mezzibusti si presentano nella mia camera d’hotel e mi sorridono, sospesi a mezz’aria.
Gli domando chi sono, loro non parlano e indicano con gli occhi (anche i mezzibusti greci sono privi di mani e braccia) la targhetta che portano al collo.
Le targhette dicono “Σοφοκλῆς”, “Πλάτων”, “Ὅμηρος”.
Non capisco niente. Li imploro di farsi riconoscere utilizzando l’alfabeto latino, ma loro continuano a non dire niente.
Un sudore greco, umido e notturno, s’impossessa di me.
A questo punto dell’incubo i mezzibusti, data la mia incapacità di riconoscerli, si dissolvono.
Al loro posto compare un tizio sconosciuto che mi dice “te lo avevo detto, di iscriverti al liceo classico. Ma tu no, sempre a far di testa tua”.
Mi agito, scalcio le coperte, grido No! Lui grida Sì! Io mi arrendo e vedo materializzarsi il mio professore di matematica che scuote il capo e dice “se almeno fossi stato attento nelle mie lezioni, avresti riconosciuto la lambda, la sigma, la phi”.
Ripete ossessivamente la frase “chi sa è libero, chi sa è libero, chi sa è libero” e ogni volta che lo ripete mi si avvicina come per investirmi.
Quando è a un millimetro da me mi sveglio, e sono di nuovo in Grecia.
Dalla finestra osservo le nuvole greche.
[Nuvole greche]
Le nuvole greche hanno forma di saette olimpiche, tridenti impugnati da dèi, fauni e ciclopi. Chiedo a Paola se anche a lei sembra che le nuvole greche abbiano la forma di saette olimpiche, tridenti impugnati da dèi, fauni e ciclopi, Paola dice di no.
Nella piazza sottostante il Comitato di Benvenuto è ancora ansioso di darmi il benvenuto. Gli euzoni si sgranchiscono le gambe. I ballerini si mordicchiano le pellicine delle unghie. Il sosia di Anthony Quinn fuma una sigaretta dietro l’altra. Guardano tutti in alto, in direzione della mia stanza, con occhi greci, tristi ma speranzosi.
Esco dal retro.
[Lunedì mattina in Grecia]
Il lunedì greco è piuttosto banale. Dai greci mi aspettavo un lunedì diverso. I rapsodi travestiti da vigili urbani sprecano tutto il loro fiato nei fischietti e nelle declamazioni epiche. Tuttavia anche di lunedì, come di domenica, nessuno li ascolta.
[Flora greca]
Tra tutti gli alberi greci, l’acanto greco (acanthus spinosus ellenicus), dalla caratteristica forma a colonna romana, è il più diffuso.
Il portamento del fusto è conico simmetrico. Il fusto è di colore grigio pentelico fumo di Santorini, e presenta otto foglie tagliate profondamente a formare la chioma.
Le foglie dell’acanto greco, anch’esse di colore grigio pentelico fumo di Santorini, sono della stessa consistenza del marmo. Sembrano scolpite.
Essendo l’albero nazionale greco, l’acanto è innaffiato da organizzatissime squadre di giardinieri, cintato e conservato gelosamente.
Non necessita potatura.
I turisti scattano numerose fotografie a una piccola foresta di acanti. Mi faccio fotografare accanto a un acanto anch’io.
[Cani randagi greci]
I cani randagi greci soffrono di obesità e si chiamano tutti, indistintamente, Argo. Stanno abitualmente coricati sui marciapiedi e accanto ai monumenti, troppo grassi per camminare, in attesa che il loro padrone torni a occuparsi di loro. In quasi tutti i casi, devono attendere tra i quindici e i vent’anni.
Tutti i cittadini greci si decurtano lo stipendio mensile dell’1,3% per garantire ai cani randagi greci un tenore di vita accettabile.
Un reparto dell’esercito greco ha il compito di nutrirli costantemente e di badare alle loro necessità.
Durante le brevi soste tra un pasto e l’altro, i cani randagi greci domandano al cane randagio più vicino se il suo padrone è tornato. Quello risponde di no, e riattaccano a mangiare.
I soldati del reparto speciale utilizzano un equipaggiamento all’avanguardia, comprensivo di apriscatole greco di ultima generazione; il loro compito è di aprire scatolette di cibo per cani, e lo assolvono con dedizione tipicamente greca.
[Manifestazioni e cortei greci]
In Grecia si manifesta moltissimo.
I manifestanti si tengono per mano in Piazza Syntagma e protestano per l’obesità dei cani randagi. Sono venticinque/trentamila. Hanno cartelli che dicono “l’obesità è una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, non un modo di dire”, altri che dicono “STOP con il cibo per cani ad alto contenuto calorico” e altri ancora che dicono “un cane randagio obeso è il primo sintomo della decadenza di una civiltà” oppure “tapis roulant per i cani randagi!”.
Il capo della manifestazione impugna saldamente nella mano destra un megafono e ripete la frase “Grecia: da culla della civiltà ai cani randagi obesi, vergogna!”.
I manifestanti compongono cori greci e li urlano di fronte al Parlamento.
Taluni compiono atti di sabotaggio sostituendo i tocchetti di pollo o i bocconcini ipercalorici con crocchette per cani adulti in sovrappeso.
I soldati del reparto speciale lasciano fare, dimostrando magnanimità e comprensione.
[Ideologie politiche greche]
Al mattino presto, dopo caffè e sigaretta, i greci decantano la bellezza della democrazia, tessendone le lodi nei voluttuosi e tipici panegirici greci.
A metà mattina credono che tutto quel che hanno declamano sia vano e volgono lo sguardo alla tecnocrazia; dopo il secondo caffè si accostano alla tirannide; a mezzogiorno tornano cautamente democratici, per scoprirsi sfrenatamente rivoluzionari durante il pranzo e oclocratici appena digerito il dessert.
Intorno alle quattro del pomeriggio solitamente rifiutano ogni ideologia politica (anarchismo), propugnano il nazionalismo sorseggiando l’aperitivo, per poi incatenarsi nelle maglie della dittatura verso l’ora di cena, e tornare infine prepotentemente democratici durante la sera.
Per tali ragioni la forma di governo greca dipende dall’orario in cui la maggior parte dei greci si reca alle urne.
La campagna elettorale greca non è basata su un programma politico, né su populismi e demagogie tipiche delle campagne elettorali in altri luoghi del mondo, ma si fonda esclusivamente sul tentativo di convincere gli elettori ad andare a votare in una determinata ora della giornata.
[Camminare e correre in Grecia]
Camminare in Grecia è faticoso come camminare in qualunque altro posto del mondo. Tuttavia i greci, mentre camminano, pensano, lavorano, immaginano, studiano, si fanno la barba, eccetera.
[Scuole greche]
Le aule greche, dalle elementari all’università, sono a forma di stadio, benché in scala, e dispongono tutte di un colonnato. Gli alunni camminano lungo il colonnato con i professori per l’intera durata delle lezioni. Nell’intervallo hanno a disposizione fisioterapisti. Ogni scuola è dotata di un fisioterapista ogni ventitré alunni.
In Grecia, in un momento prestabilito, una campanella emette un suono e gli alunni abbandonano le proprie aule. Diversamente da quanto accade nelle scuole del resto del mondo, gli alunni greci si avviano all’uscita stancamente, con passo strascicato, taluni zoppicando.
Le mamme greche caricano in auto i bambini greci che escono dalle scuole greche in maniera piuttosto disordinata.
Saluto un bambino mentre attraversa la strada e lui risponde al mio saluto agitando un goniometro greco.
[Visita ai monumenti greci]
Allo stadio Panathinaiko pago due biglietti. Il bigliettaio mi domanda la nazionalità.
Italiana, dico.
Mi ricorda la semplice regola da seguire: durante la visita allo stadio bisogna correre in ogni momento.
Due soldati vestiti da centometristi armati di moschetto verificano che la regola sia rispettata.
Entro nello stadio correndo; ad attendermi c’è una controfigura di Stefano Baldini con la medaglia d’oro di Atene 2004 al collo. Dalle scalinate, un Franco Bragagna greco, o forse il Franco Bragagna originale, oppure un Alberto Angela capitato lì per caso, mi ricorda che il termine “stadio” deriva dal greco “stadion”, ovvero un’unità di misura corrispondente a centottanta metri.
Durante la visita i soldati non mi perdono d’occhio neppure un secondo. Io e Stefano Baldini corriamo insieme lungo la pista del Panathinaiko.
Le fotografie vengono mosse, ma quando termino il giro della pista Franco Bragagna urla “Bravo, bravo, bravo!”, e mi emoziono.
[Scrivere il proprio nome in caratteri greci]
Acquistare un braccialetto con il proprio nome scritto in caratteri greci ha proprietà insospettabili. Almeno secondo il venditore di braccialetti.
Chiunque indossi il braccialetto riportante il proprio nome in caratteri greci, dice il venditore di braccialetti, diventa greco: pensa in greco, parla in greco e agisce da greco.
Chiedo al venditore di braccialetti se anziché vendermi un braccialetto può scrivere il mio nome in greco su un pezzo di carta.
Lui mi guarda e dice che con il mio nome scritto in greco su un pezzo di carta al massimo posso diventare greco, pensare in greco ecc. per un quarto d’ora.
Ciononostante, seppur con ritrosia, scrive il mio nome in greco su un pezzo di carta greco.
Siedo in un ristorante greco circondato da tavoli brulicanti di greci.
Un tipo semi ubriaco si aggira tra i tavoli chiedendo qualcosa insistentemente; quando chiede a me vorrei tanto compiacerlo, ma non capisco una parola.
Poi leggo il pezzo di carta con scritta sopra la parola “Γιαν Μαρξο” e immediatamente sento scorrere nelle mie vene sangue acheo, o forse attico, o magari cretese.
{Inizio parte tradotta dal greco}
Penso e parlo greco. Posso anche leggerlo. Capisco il significato etimologico di centinaia e centinaia di parole inutili e bellissime, quali per es. tesi, ipotesi, catarsi, eclissi, diuresi, ipofisi, necrosi, sclerosi, parentesi, prostaferesi, prostesi. Vengo a sapere che “licabetto” significa “collina dei lupi” e licantropo di conseguenza deve significare “uomo dei lupi”.
Vengo a conoscenza del fatto che “ginecologia” significa “discorso sulla donna”. Insomma, sfrutto appieno la mia padronanza della lingua greca.
Ascolto con bramosia di conoscenza, con puro amore per la sapienza, insomma con filosofia, i discorsi dei miei vicini di tavolo.
Uno si lamenta in greco di quanto faccia schifo una squadra di calcio. Un’altra sta raccontando in greco la puntata di una telenovela greca, un’altra ancora parla in un telefono greco e dice “ricordati di comperare la cartigienica”. Io capisco tutto, e ne sono entusiasta.
Il tizio mezzo ubriaco chiedeva una sigaretta. Finalmente lo comprendo e posso dargliela con entusiasmo e gioia, mentre prima gliela avrei certamente negata con stizza e maleducazione.
Cerco disperatamente qualcuno con cui valga la pena di parlare in greco. Parlo in greco con tutti. Saluto tutti.
Paola ripete una frase più volte, ma parla in italiano e non riesco a capirla, giacché per me l’italiano è il passato.
Provo a intavolare una discussione con un cameriere, con un sordomuto che vende biglietti della lotteria Ellenica, con il mezzo ubriaco.
A tutti ripeto quanto sia magnifico pensare e parlare in greco.
Coniugo il verbo “affastellare”, “δέσμη” (désmi) al presente, al futuro e in aoristo.
L’ubriacone mi manda al diavolo, e riesco a cogliere esattamente l’insulto con il quale mi apostrofa. Sono estasiato.
Poi, mentre sto chiedendo il conto col mio accento attico, l’effetto svanisce.
{Fine parte tradotta dal greco}
Paola sta ripetendo “Sei deficiente?”.
Io pago il conto.
[Ritorno in Hotel]
Il comandante degli euzoni chiede al direttore dell’hotel se i suoi uomini possono esibirsi nel loro pezzo forte, il cambio della guardia, per me.
Io acconsento, poi salgo in camera, tiro le tende e accendo la televisione.
[Tv greca]
La TV greca è parlata in tedesco. Parlano tedesco su tutti i canali greci presenti sull’apparecchio televisivo coreano della mia camera ateniese, per es. ARD, Deutsche Welle, VOX. Giro su ZDF, c’è un documentario sull’assedio di Stalingrado. Anche in Grecia, o sulla TV greca, i tedeschi non sono riusciti a conquistare la città. Una voce narrante sta dicendo “se i tedeschi avessero avuto un Odisseo, l’assedio di Stalingrado sarebbe terminato diversamente. Ma Odisseo, sebbene abbiano tentato numerose imitazioni, ce l’abbiamo avuto solo noi, e nessun altro”.
Anche la pubblicità greca è parlata in tedesco, e non serve a niente, giacché i greci non la capiscono.
Prima di dormire guardo dalla finestra gli euzoni sconsolati mentre si sgranchiscono le gambe e le stelle greche, ma il cielo è nuvolo e rosso, e di stelle non se ne vede neppure una.
Puntata #5
Terza giornata
[Anastasios e Clio Papagiannis]
Ai greci piace invitare le persone a colazione.
Io e Paola siamo invitati da Anastasios e Clio Papagiannis.
Anastasios prima della crisi era avvocato, ora è disoccupato; Clio prima della crisi era postina, ora è ancora postina.
Preparano una colazione tipica greca: caffè amaro e Marlboro rosse.
Anastasios e Clio non parlano molto, ma mi raccontano della situazione in Grecia mentre fumiamo una Marlboro ateniese DOCG.
Per esempio, dalla crisi in poi, i cittadini greci hanno le stesse impronte digitali e lo stesso DNA. Ci sono alcuni crimini, ma vengono punite persone estratte a caso, secondo un modello di giustizia copiato dal modello di giustizia paraguaiano.
Domando cosa c’entri il Paraguay con la Grecia, e loro me lo spiegano.
Ci sono notevoli affinità tra il Paraguay e la Grecia, dice Clio.
Per esempio? Domando io.
Per esempio, dice Clio, il servizio postale greco è un servizio che ha per oggetto lo smistamento, la gestione e la consegna della corrispondenza; ciò esiste nello stesso identico modo in Paraguay. I postini greci e i postini paraguaiani sono uniti da una fratellanza indissolubile.
Naturalmente ci sono anche alcune differenze, dice Anastasios.
Che altre affinità ci sono tra Paraguay e Grecia? Domando.
In questo momento non me ne viene in mente nessun’altra, dice Clio.
Forse più tardi vi verrà in mente qualche altra affinità? Domando io.
Clio mi guarda con i suoi bellissimi occhi greci.
In Grecia tutti si fidano delle persone e delle loro affermazioni, dice. Tu non ti fidi?
Decido di fidarmi, e per festeggiare la reciproca fiducia mi servono un bicchiere di ouzo. Sono le nove del mattino ma non voglio mancare di rispetto.
Bevo tutto d’un fiato.
Quindi in Grecia (e in Paraguay) chiunque, in qualunque momento, può essere incriminato per qualunque cosa? Domando a Anastasios.
La legge è uguale per tutti, risponde lui.
In Grecia, così come in Paraguay, non esistono più giudici e avvocati, ma solo bambine e bambini bendati che estraggono bussolotti di plastica gialla contenenti nomi e cognomi, ventiquattro ore al giorno, dal lunedì al sabato.
I greci attendono le estrazioni presso locali appositi, simili a bar-tabacchi, con grande trepidazione. Ogni dieci minuti vengono estratti dieci crimini e dieci persone, le quali vengono abbinate al crimine precedentemente estratto, cominciando dal taccheggio, passando dalla rapina e dal sequestro di persona fino all’omicidio. L’omicidio viene estratto una sola volta a settimana, di mercoledì, alle dieci di sera.
Di domenica, a Natale, Capodanno e a Pasqua, nessuno viene incriminato. Ciò non significa che i greci possano infrangere la legge di domenica, a Natale, Capodanno e Pasqua, mentre in Paraguay possono farlo.
In Grecia fanno continui raffronti con il Paraguay.
Il tenore di vita viene calcolato in confronto a quello del Paraguay, i risultati della squadra nazionale di calcio cono considerati accettabili in confronto ai risultati della squadra nazionale di calcio del Paraguay, l’economia è considerata in ascesa o in recessione rispetto all’economia paraguaiana, le donne sono belle o brutte rispetto a quelle paraguaiane, ecc.
Se dite a un greco “oggi è una bella giornata”, lui vi risponderà “sì, ma in Paraguay..”. Quando un greco afferma che una cosa “è molto più bella/brutta – interessante/ insignificante – insipida/gustosa – ecc.”, intende affermare che una cosa “è molto più bella/brutta – interessante/insignificante – insipida/gustosa – ecc.” che in Paraguay.
Durante i saluti, Anastasios e Clio domandano se la colazione è stata di mio gradimento; rispondo che è stata la miglior Marlboro che abbia fumato in vita mia. Prima di andarmene insistono affinché accetti un souvenir greco. Lo accetto, benché accettarlo mi procuri un lieve imbarazzo.
Mi regalano un goniometro tascabile greco e mi sorridono. Io non capisco, ma infilo il goniometro nella tasca dei pantaloni.
[Metropolitana]
Le metropolitane greche sono una pacchia; i biglietti sono a pagamento, ma non si devono utilizzare sul serio. Non rappresentano un reale titolo di viaggio quanto piuttosto un souvenir della corsa effettuata, da incorniciare e appendere in soggiorno per ricordare le fermate tra Omonia e Pireo e la conseguente esperienza. Il loro acquisto è più che altro una convenzione, o un’usanza.
[Sugli ANGOLI]
Col termine ANGOLO, in Grecia, si intende una porzione di piano delimitata da due semirette aventi origine comune. L’ampiezza di un ANGOLO greco è rappresentata dalla rotazione ORARIA di una semiretta intorno all’origine, fino al sovrapporsi all’altra semiretta.
I greci vanno pazzi per gli angoli.
Tutti i greci portano con sé un goniometro tascabile per misurare qualsiasi angolo gli capiti a tiro.
All’uscita dalla metropolitana un passante mi chiede se può misurare l’angolo formato dalle mie gambe divaricate alla massima estensione possibile ammessa dall’elasticità delle mie articolazioni; non voglio deluderlo, perciò acconsento a divaricare le gambe. Il passante estrae dalla giacca il suo goniometro tascabile e misura l’angolo così ottenuto.
Sono 73 gradi, dice.
È una cosa positiva? Domando io.
Gli angoli sono angoli, risponde lui, non esistono angoli positivi e angoli negativi.
La ringrazio, dico io
Si figuri, dice il passante.
Poi se ne va a misurare un altro angolo a caso.
Gli angoli pubblici, in Grecia, hanno un’ampiezza inferiore di circa zero virgola otto gradi, cioè sono più acuti rispetto agli stessi angoli presenti ovunque nel mondo. Tale maggiore spigolosità mi turba e suscita numerose domande a proposito del carattere e della predisposizione d’animo dei fondatori della Grecia.
Al Museo Nazionale dell’Angolo Greco (MNAG) c’è una conferenza intitolata “Sugli ANGELI”.
Si tratta di un mero errore, un banale scambio di vocale causato dalla disattenzione di uno stagista, il quale ha convocato tramite mail tutti i maggiori esperti mondiali di ANGELI, anziché convocare – come da programma – i maggiori esperti mondiali di ANGOLI.
Ne risulta che la sala conferenze del museo è pressoché deserta. Ai greci gli ANGELI non interessano. Tuttavia i pochi greci presenti sembrano sinceramente appassionati dalle tematiche sviscerate nella conferenza. Esse sono: “Esistono gli ANGELI?” “Che forma hanno?” “Hanno fattezze umane?” “Qual è il loro scopo?” “Perché dovrebbero esistere?” “Se si scoprisse che Dio non esiste, cosa farebbero gli angeli tutto il giorno?”.
Attacco bottone con un tizio.
Lei è orgoglioso di vivere in una nazione che si premura di fornire risposte circa questioni spinose quali “Esistono gli angeli?” “Che forma hanno?” “Hanno fattezze umane?” ecc.
Non saprei, dice, sono qui perché ero convinto di partecipare a una conferenza sugli ANGOLI.
Per quale ragione ai greci piacciono tanto gli angoli?
Non è evidente?
In effetti sì.
Poi mi chiede se può misurare l’angolo della mia gamba mentre sono seduto.
Lascio che lo misuri.
[Vedute di una donna che piange]
C’è una donna greca seduta su una panchina. Sta piangendo.
Le donne greche, le seconde donne più sarcastiche del mondo, di tanto in tanto piangono.
Mi avvicino per osservarla meglio: ha un libro di Yòrgos Chronàs sulle gambe.
A pochi centimetri dal suo volto posso apprezzare la differenza sostanziale tra le lacrime di una donna greca rispetto alle lacrime di una donna non greca. È una questione di compattezza e corposità. Il tragitto delle lacrime, in Grecia, è più diretto; esse scendono dagli occhi e si scaraventano al suolo direttamente, senza scivolare lungo le guance e raggiungere le pareti del naso o le labbra; sono sicuramente lacrime più pesanti, di una composizione chimica diversa rispetto alle lacrime non greche, simili forse al mercurio, ma rimbalzano al tocco col suolo, trasformandosi in minuscole biglie matte che compiono traiettorie selvagge.
Le donne greche piangono soltanto quando leggono poesie e leggono poesie soltanto allo scopo di osservare le proprie lacrime rimbalzanti dirigersi verso luoghi misteriosi; a quel punto le seguono, e si ritrovano in un mondo diverso.
I poeti greci contemporanei scrivono poesie al solo scopo di permettere alle donne greche di accedere a quel mondo diverso seguendo le lacrime prodotte dalla lettura delle poesie scritte dai poeti greci contemporanei. In questo modo, la poesia greca contemporanea ha finalmente trovato una utilità. A un certo punto, poi, i poeti greci si suicidano; solo in questo modo possono davvero definirsi poeti greci.
[Noleggiare un’automobile e guidare in Grecia]
Le automobili greche sono: Nissan Micra e Peugeot 208 Ronzinante.
Mi consegnano una Peugeot 208 Ronzinante. Di fronte a me, chilometri e chilometri di strade greche.
*
[Delfi]
Com’era prevedibile, gli abitanti di Delfi sono quel genere di persone che confida negli oroscopi. Non muovono un passo senza prima consultare almeno una cartomante, i Ching, gli Oracoli Manuali di Giulio Mozzi.
Gli scrittori di Delfi non abbozzano neppure un rigo senza aver prima consultato l’Oracolo Manuale per Scrittrici Greche e Scrittori Greci di Giulio Mozzi.
Dopo averlo consultato, le scrittrici greche e gli scrittori greci si interrogano lungamente sul senso della loro scrittura, fumano Marlboro greche, cantano canzoni di pace, fanno all’amore le une con gli altri, si dimenticano di essere scrittrici e scrittori, danzano nude e nudi lungo le vie di città greche dai nomi impronunciabili, si proclamano felici al cospetto di poliziotti greci che, ignari di tutto, tendono ad arrestarli per oltraggio al pudore, o forse perché invidiano tanta improvvida e improvvisa felicità; poi consultano l’Oracolo Manuale per Poliziotte e Poliziotti di Giulio Mozzi, e non sanno più che fare, chi arrestare. Si accendono una Marlboro e lasciano che le cose siano. Che si trascinino, semplicemente.
I negozi di Delfi non vendono beni commestibili o abbigliamento o prodotti per la casa, vendono solo risposte e differenti versioni del libro di Mozzi.
Ciononostante, gli abitanti di Delfi sono terribilmente confusi riguardo al futuro di qualunque cosa, e in ogni campo dell’esistenza tirano continuamente a indovinare.
Domando alla bigliettaia quanto costa l’ingresso al sito archeologico.
Lei si concentra e dice: “il piccolo se ne va (il trigramma della Terra è uscente), il grande viene (il trigramma del Cielo è entrante). Fausto. Riuscita”.
Sono confuso. Le porgo una banconota da 20 euro.
Lei la prende e la osserva.
Domando se crede di dovermi del resto.
Lei mi guarda, sperando di non essere notata consulta l’Oracolo Manuale per Bigliettaie e Bigliettai di Giulio Mozzi.
Forse, dice.
Come forse, dico.
Mi ripeta la domanda, dice.
Deve darmi del resto?
Riapre l’Oracolo Manuale per Bigliettaie e Bigliettai.
Nulla di troppo, dice.
Non capisco, dico.
Ottima è la misura, dice.
Mi arrendo, dico.
Conosci te stesso, dice.
Sì, ma io le ho chiesto quanto costa il biglietto, dico.
C’è il tariffario appeso, dice lei.
Mi stampa due biglietti.
Io vorrei consultare l’Oracolo Manuale per Turiste e Turisti di Mozzi, ma non ce l’ho.
Osservo un netturbino greco ramazzare la strada che conduce al sito archeologico; le sue movenze sono stranianti. A ogni ramazzata consulta l’Oracolo Manuale per Netturbine e Netturbini di Giulio Mozzi. Domanda cose del tipo “vale la pena ripulire una strada dalle foglie quando so già che tra dieci minuti ne sarà nuovamente invasa?”, oppure “che scopo ha ripulire il mondo?”. L’Oracolo per Netturbine e Netturbine non offre risposte chiare. Ciononostante le netturbine greche e i netturbini greci amano il proprio lavoro, e continuano a ramazzare.
[Un caffè greco al tempio di Atena Pronaia]
Chiunque sosti a Delfi è costretto a bere un caffè greco nel centro esatto del tempio di Atena Pronaia e a lasciare che una donna greca vestita da zingara ne legga i fondi.
I fondi del caffè greco sono sufficienti a vaticinare dodici vite umane medie, per cui le operazioni possono richiedere un tempo piuttosto lungo.
Io non ho fretta, ma non ho alcuna intenzione di conoscere il mio futuro, e tuttavia sono costretto da un paio di soldati greci a bere il caffè e ad attendere che la Pizia ne legga i fondi.
I fondi del mio caffè dicono che patirò grottescamente di un’immaginazione beffarda in un immaginario tragico.
Domando che significa.
La Pizia dice che non ne ha idea.
Consulta l’Oracolo Manuale per Pizie e Pizi, cerca una risposta che non c’è. Mi congeda così, come un punto di domanda dipinto su un cielo dipinto.
Guidando sulle strade del Parnaso costeggiate da nubi a forma di Euterpe e Thalia, di Erato e Polimnia, sento il peso schiacciante di un futuro a immaginare il grottesco e il beffardo avvolti nel tragico, e per un momento di incontrollabile trasporto apollineo, sono felice.
Cerco sul sedile posteriore l’Oracolo Manuale per Donne e Uomini felici, chiedo se forse dovrei essere un po’ meno felice.
Dice che non c’è alcun limite di tempo, di luogo, di spazio, per la felicità, e allora io me ne fotto di tutto, e resto felice.
[Autostoppisti americani perduti in aree di servizio greche]
“Hey guys, are you going in the direction of Thessaloniki?”
“Yes”.
“May I come with you?”
“No”.
“Ok”.
[Omosessuali forestieri in camere d’albergo greche]
I greci di Kalambaka, o Kalabaka, o Kalampaka, ridente località alle pendici delle celebri meteore, dimostrano una tolleranza superiore alla media accettando di vendere le camere dei propri alberghi ad anziani omosessuali forestieri.
Ciononostante, benché la mia tolleranza sia senz’altro paragonabile alla tolleranza dei greci di Kalambaka, le pareti degli alberghi greci, a Kalambaka, sono troppo, troppo sottili.
Puntata #6
Quarta giornata
[Doccia greca]
Le docce greche sono confortevoli e semplici da utilizzare; una manopola permette di regolare la temperatura dell’acqua, una leva permette di dosarne la pressione.
Fare la doccia in Grecia è un’esperienza, prima ancora che una necessità igienica.
Un cartello posto sulle piastrelle all’esterno di ogni doccia greca avverte che “Non ci si può bagnare due volte sotto l’acqua della stessa doccia”.
Me ne infischio, e mi bagno ripetutamente.
[Canti notturni di pastori erranti della Tessaglia]
Anche i pastori della Tessaglia, come i loro più celebri colleghi dell’Asia, sono soliti intonare canti notturni.
Tra i pastori erranti della Tessaglia e i pastori erranti dell’Asia si è instaurata una sorta di rivalità, o competizione, canora.
Sia i primi che i secondi sono soliti rivolgersi alla luna ed esternare un disagio esistenziale causato dalle problematiche tipiche dei pastori erranti di mezzo mondo, per es. trovare un buon posto per coricarsi o per andare al gabinetto, riuscire a lavarsi le mani prima dei pasti, ecc.
Pur tuttavia, tra pastori erranti dell’Asia e pastori erranti della Tessaglia sussistono numerose difformità.
Le principali divergenze tra i pastori erranti dell’Asia e i pastori erranti della Tessaglia sono:
i pastori erranti dell’Asia cantano in kirghiso, i pastori erranti della Tessaglia cantano in greco;
i pastori erranti dell’Asia sono schopenhaueriani, lugubri e ombrosi, votati al pessimismo cosmico, i pastori erranti della Tessaglia sono voltairiani, votati a un inguaribile ottimismo;
i pastori erranti dell’Asia pretendono che la vita sia null’altro che un viaggio affannoso verso la morte, i pastori erranti della Tessaglia sostengono che la vita è certamente un viaggio grottesco verso un paradiso di cariatidi;
i pastori erranti dell’Asia utilizzano, nei loro canti notturni, un linguaggio raffinato, settecentesco, arricchito da l’ampio ricorso a anadiplosi, epanadiplosi, chiasmi, anastrofi, metonimie, sineddochi, ecc., i pastori erranti della Tessaglia compongono i lori canti come viene viene, alla cazzo di cane, come se fossero cantori rap o hip hop;
i pastori erranti dell’Asia sono intonati e barbosissimi, i pastori erranti della Tessaglia sono stonati e talvolta molesti.
I pastori erranti dell’Asia errano moltissimo per deserti e steppe, girovagano, scorrazzano, vagabondano, i pastori erranti della Tessaglia sono dei mammoni, non si allontanano mai da casa per più di tre ore, e se proprio sono costretti a farlo, telefonano ripetutamente per sapere se tutto va bene.
Ma poiché per definizione devono errare, i pastori erranti della Tessaglia errano in tondo, per ritrovarsi sempre al punto di partenza.
[Luna piena in Tessaglia]
In Tessaglia il fenomeno noto come “plenilunio” si verifica ogni 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi (circa). I cittadini si ritrovano nei campi per udire i canti notturni dei pastori erranti e fare festa con i centauri venuti dalle montagne o con i mirmidoni venuti dalla costa.
Stasera è nuvolo, e stanno tutti a casa, compresi i pastori.
[Bevande greche]
La bevanda tradizionale greca è la Ξοξα Ξολα, caratteristicamente servita in contenitori di alluminio a tenuta ermetica non richiudibili di colore rosso. All’olfatto, la Ξοξα Ξολα greca rilascia aroma di uva passa e vaniglia. Al gusto, il sapore è di uvetta con un pizzico di vaniglia; l’aroma è morbido, si espande gradatamente e si spegne altrettanto delicatamente. Il livello di carbonatazione della Ξοξα Ξολα greca è piuttosto elevato e conduce a digestioni anche rumorose.
Un’altra bevanda caratteristica della Grecia è il Δαναξολ (Danacol), che i greci sorseggiano sovente, soprattutto in occasione dei brindisi.
In Grecia i brindisi con il Δαναξολ sono di prammatica, collettivi e individuali, accompagnati da brevi formule d’augurio.
Sono presenti anche altre bevande, per es. retsina greca, birra greca, ouzo greco, ecc. ma nessuna può dirsi davvero “tipica” come le due summenzionate.
[Formule d’augurio greche in occasione di un brindisi greco]
I greci, per costituzione fisica, hanno le arterie più strette rispetto alla media mondiale di spessore delle arterie.
Quando brindano, i greci si augurano vicendevolmente che il colesterolo LDL sia minore di 100 milligrammi per decilitro di sangue, e che il colesterolo HDL sia maggiore di 60 milligrammi per decilitro di sangue.
Il taverniere che mi ha servito la bottiglia di Δαναξολ ne versa un sorso nel bicchiere di Paola, un sorso nel mio e un sorso nel suo.
Gli spiego che mio padre ha tre by pass a causa delle arterie strette.
È probabile che le abbia strette anch’io, dico.
Lui è visibilmente emozionato ed entusiasta.
Dice che siamo fratelli di arterie; stesse arterie stessa razza, dice.
Leviamo i bicchieri al cielo e lui attacca con l’augurio: “che il vostro colesterolo LDL sia di 73 (al massimo 75) milligrammi per decilitro di sangue!”.
Sto per bere, ma mi ferma.
Aspetta, dice, senza il valore del colesterolo HDL, il colesterolo buono, il brindisi non si può fare, giacché l’augurio è incompleto. Molti credono che misurando il colesterolo LDL si abbia un quadro completo della propria situazione arteriosa. Ma sbaglia. Per avere un dato corretto occorre misurare anche il colesterolo HDL.
Sono informazioni che solo un taverniere greco può fornire, e mi ritengo un privilegiato.
Leviamo nuovamente i bicchieri di Δαναξολ al cielo.
“…e che il vostro colesterolo HDL sia di 100, ma anche di 120, milligrammi per decilitro di sangue!”.
Poi parte un sirtaki e possiamo bere il nostro Δαναξολ in allegria.
[Museo dell’Educazione al Colesterolo della Tessaglia]
Il museo più importante di Kalabaka espone libri artistici e antichi sul colesterolo, dipinti e sculture raffiguranti la molecola lipidica più celebre di tutta la Grecia.
Un’intera ala è dedicata ai sussidiari storici sul colesterolo per alunni delle elementari; come riconoscerlo, come accudirlo, come volergli bene.
In una teca è conservato il pezzo pregiato del museo, il colesterolo alto di Achille, il più famoso tra tutti gli abitanti della Tessaglia e l’eroe con il colesterolo totale più alto nella storia degli eroi di tutto il mondo, non solo greci.
[Vista sui monasteri delle Meteore]
Solo i greci ortodossi possono ammirare i monasteri posti sulle sommità delle meteore dalla strada che le sovrasta. A tutti gli altri, la nebbia densa o le nuvole basse ne impediscono la vista.
[Una panchina greca con vista panoramica greca]
Siedo su una panchina panoramica greca.
Gli occhi percepiscono soltanto un muro di nuvole basse e nebbia; ma ai greci la vista fisica non importa. Ciò che conta è acuire l’immaginazione.
Un automobilista greco scende dalla macchina, siede al mio fianco sulla panchina.
Guarda il panorama. Fuma. Ammira un panorama che soltanto lui può vedere.
Cosa vede? Gli domando.
Verdi colline d’Africa, risponde. Leoni e gazzelle e draghi e centauri e ogni cosa nominata da Adamo nel Paradiso Terrestre.
Il Paradiso Terrestre è in Africa o in Tessaglia?
Il Paradiso Terrestre è dove ti conduce l’ouzo, dice.
[Discutere di teologia con un monaco ortodosso al Moní Varlaàm]
E ditemi, per quale ragione voialtri non siete cattolici?
Perché siamo greci, dice.
Mi sembra un motivo più che ragionevole.
I greci hanno sempre la risposta pronta.
Siete proprio sicuri che lo spirito santo proceda solo dal padre e non anche dal figlio?
Lui guarda in cagnesco il novizio che gli ha appena servito il pranzo e si lamenta dei cetrioli.
Basta con questi cetrioli, dice.
Il novizio è contrito. Il monaco è furente.
Lunedì, cetrioli; martedì, cetrioli; mercoledì, cetrioli, sabato e domenica, cetrioli. Tutti i greci si abbuffano di formaggio e carni rosse e io sono costretto a mangiare cetrioli fino a farmeli uscire da ogni orifizio del corpo.
Quando si calma gli domando cosa fanno i monaci tutto il giorno.
Lui risponde che si preparano alla grande orgia. E mangiamo cetrioli, dice.
Lo lascio al suo pasto.
[Orgia greco-ortodossa]
Una pratica mistica assente nel cattolicesimo ma presente nel rito ortodosso è l’orgia carnale con intenti mistici e finalità bestiali.
Il Mönchsführer (capo dei monaci) del Moní Varlaàm mi spiega di cosa si tratta.
Il codice riportante le regole dell’orgia greco-ortodossa fu scritto dall’anacoreta Nicanor Anapavsas, il quale fondò il primo monastero delle meteore nel tredicesimo secolo.
Per essere valida e ammissibile dalla dottrina cristiana ortodossa, l’orgia greco-ortodossa prevede la presenza di un numero variabile di monaci e di un numero variabile di donne.
Per evitare disgustose cadute di stile di stampo onanistico, la presenza di almeno due partecipanti è tassativa.
Tuttavia, per distinguersi da una banale quanto lubrica copula, la presenza di almeno tre partecipanti è tassativa.
Cionondimeno, per evitare spiacevolezze pederaste, la presenza di almeno una donna tra i partecipanti è tassativa.
Durante l’orgia greco-ortodossa, la donna (che non può essere turca) deve tenere un comportamento irreprensibile; non può indossare pantaloni o bermuda, deve rimuginare continuamente sul peccato originale e non deve scendere a patti con la lussuria in alcun modo, sia esso verbale, onomatopeico o gestuale; in altri termini, non può godere.
Il monaco, durante l’orgia greco-ortodossa, può conoscere biblicamente altri monaci, purché conosca prima, durante o dopo, la donna; in altri termini, non si può fare una cosa esclusivamente da frocioni.
Le posizioni ammesse nell’orgia greco-ortodossa, descritte con minuzia di dettagli da Nicanor Anapavsas e illustrate da miniatori medievali su di un libro specifico, sono:
posizione di Andromaca;
posizione dell’unione della mucca;
posizione del missionario (per l’occasione ribattezzata “posizione del monaco”);
posizione dell’ostrica.
Ogni altra posizione non è ammessa dal rito greco-ortodosso ed è ritenuta peccato mortale.
Il Mönchsführer mi domanda se Paola vuole partecipare all’orgia greco-ortodossa; in caso di risposta affermativa, a me concederebbero l’onore di partecipare come osservatore esterno.
Per quanto lusingati rifiutiamo cordialmente.
Dal 1467 i monaci studiano diciotto ore al giorno la pratica mistica dell’orgia greco-ortodossa, tenendo la cronaca di ogni orgia svolta in cinquecentocinquanta anni.
Quante orge avete fatto in tutti questi anni? Domando.
Neppure una, dice il Mönchsführer. Ci manca il numero legale di donne. Ma continuiamo a proporla alle turiste.
È un po’ sconsolato.
Prima o poi troverete la donna giusta, dico.
Lo credi davvero?
Onestamente no.
[Cucina tradizionale greca]
Dopo quattro giorni di pranzi greci e quattro sere di cene greche, mi concedo un piatto forestiero.
La prendo con le acciughe. Non è male.
Puntata #7
Quinta giornata
[Guerra del Peloponneso]
In Peloponneso si combatte una guerra da duemilanovecentodiciotto anni, ma solo a giorni alterni.
Di martedì, di giovedì e di sabato si combatte, di lunedì, di mercoledì e di venerdì si fa finta di niente, di domenica si tira a sorte: croce si combatte, testa si fa finta di niente.
Arrivo in Peloponneso di giovedì, e la situazione è questa: a nord i nazisti hanno appena fatto saltare il ponte tra Antirrio e Rion, a ovest la Lega Delio-Attica controlla gli accessi sul canale di Corinto. A nord-est un milione di persiani, superate le Termopili, sta avanzando verso Sparta, mentre a sud la piccola ma strategica cittadina di Monemvasia da duemilaseicentoquindici anni è assediata a giorni alterni dai troiani: nel giorno d’assedio questi utilizzano le migliori tecniche moderne d’assedio, il giorno dopo, tipicamente, tutto torna alla normalità.
Nei giorni liberi i troiani provano a utilizzare una particolare tecnica: una trentina di loro si nasconde all’interno di un enorme cavallo di legno, il quale poi viene abbandonato nei pressi della città.
I greci non ci cascano, e i troiani non si capacitano della cosa.
Si combatte in ogni angolo del Peloponneso, ma nessuno sa perché. Anche i nemici variano di giorno in giorno, e talvolta dalla mattina al pomeriggio.
In uno scenario siffatto, trovo rifugio a Olimpia.
[Ingresso a Olimpia]
All’ingresso della cittadina ci si ferma a un posto di blocco. Due guardie giurate travestite da lanciatori del peso vigilano mentre ogni viandante recita il proprio giuramento.
Mi forniscono un foglio scritto in italiano, e io declamo il giuramento:
“A nome di tutti i cittadini del mondo, prometto che soggiornerò a Olimpia rispettando e osservando le regole che la governano, impegnandomi a non lordare le pubbliche vie con mozziconi, scaracchi e/o orinate, per la gloria della Grecia”.
Poi prendo una camera da Panagiotis e Nymphodora.
[Regole sessuali]
In Grecia, come del resto in Paraguay, e in Peloponneso in particolare, il sesso è piuttosto libero.
Ci sono alcune regole, ma sono come le regole degli scacchi, tese a complicare ed arricchire il gioco.
Osservare la propria partner mentre fa l’amore con un altro uomo, in Grecia, è una prassi consolidata.
Un amico di Panagiotis fa l’amore con Nymphodora mentre io e Panagiotis li osserviamo seduti in un angolo della stanza.
È una cosa tipica greca.
I greci si mettono seduti, e osservano. Di tanto in tanto prendono appunti; lì per lì sembrano compiaciuti, giacché sanno che stanno contribuendo alla perpetrazione di un’usanza millenaria. Sembra che gli piaccia davvero.
Ma alla fine fanno gli offesi.
Ne consegue che ai mariti greci non piace tanto osservare le proprie mogli mentre fanno l’amore con altri uomini, quanto fare gli offesi.
Si eccitano nell’offendersi.
Sono maestri nell’arte dell’offendersi.
Poi, raggiunto un grado d’offesa intollerabile, scrivono poesie.
[Poesia amatoriale greca]
In Grecia sono attivi numerosi trovatori-rapsodi greco-provenzali.
Dopo la crisi, la poesia rapsodica-trobadorica è l’unico genere poetico greco di una certa rilevanza sociale, e solo gli uomini coniugati possono praticarla.
I celibi possono scrivere canzoni rap o hip-hop, ma nessuno le ascolta.
I trovatori greco-provenzali tipicamente sfogano la propria rabbia contro le mogli che li hanno offesi scrivendo versi taglienti come schegge di vetro.
Dopo averli scritti li appendono alla porta della propria abitazione in modo che tutti li possano leggere.
Leggo quello scritto da Panagiotis.
[Esempio di poesia amatoriale greca post-crisi]
Una canzone farò di puro nulla:
non si stupisca nessuno di me
se in questo gioco del tutto uterino
ho conquistato solo l’affanno
con il tribolare, se balbetto e
m’agito e fremo per amor di lei che
si mostra senza onore
e puttana provata
dentro il paltò di un altro uomo.
La sentivo così snella e liscia e piena
sotto la mia camicia sdrucita
che me la sogno nuda anche in bagno
o quando incontra le sue amiche:
mi sembrano ranocchie latrando
nel riunirsi a mo’ di cani idrofobi.
Colpevole davanti al mondo
mi riconosco del troppo parlare,
ma io vedo e credo e son certo ch’è vero
che amore ingrassa, sicché mi piace
più che non essere re di tutti greci.
Io posso andare senza abbigliamento,
nudo nella camicia, come Tristano
morire d’amore e di freddo.
Consigliatemi dunque, amici,
essendo io avvolto da follia,
meglio l’amore che rende cornuti
o l’addio che prolunga il dolore?
Enquer me lais Dieus viure tan
affinché abbia il tempo di maledirla:
vengano compìti giullaretti
per augurarle chascus en lor lati
iatture e tormenti anche peggiori.
[Cazzi olimpici]
Il ξαζζο olimpico è l’oggetto più venerato degli abitanti di Olimpia, e i negozi di souvenir ne fanno gran sfoggio.
Il ξαζζο olimpico originale, ritrovato nello scavo archeologico del 1776, misura 14,7 centimetri ed è l’unità di misura più utilizzata dai greci, che la utilizzavano già nelle Olimpiadi Antiche per le misurazioni del lancio del disco. Nel primo elenco di vincitori della storia, conservato al Museo Archeologico di Olimpia, compare un tal Mirone, vincitore nel lancio del disco con un lancio di 307 ξαζζι olimpici.
L’altitudine, in Grecia, è misurata in ξαζζι olimpici (es.: l’aereo viaggia a 63.000 ξαζζι olimpici), come anche la velocità del vento (es: il vento spirava a 600 ξαζζι olimpici) e la temperatura (es: che caldo fa oggi, ci saranno 91 ξαζζι olimpici). La forma e la struttura del ξαζζο olimpico sono in tutto e per tutto simili a un pene tradizionale, non olimpico. Tuttavia il ξαζζο olimpico ha proprietà che vanno ben oltre le proprietà di un pene tradizionale.
La vecchia del negozio chiede se voglio comperare un ξαζζο olimpico.
Rispondo che ne ho già uno.
Mi ride in faccia.
Mi offendo.
Scrivo una poesia, che non farò leggere a nessuno.
Puntata #8
Sesta giornata
[Morfologia generale greca]
La Grecia è uno stato montuoso senza sbocchi sul mare, al pari di (per es.), Andorra, Austria, Tagikistan, Malawi e Città del Vaticano.
I greci non sanno nuotare, né navigare; confondono un remo con una pala e utilizzano il salvagente in ogni circostanza, ovvero nelle rare occasioni in cui si avvicinano a una pozza d’acqua.
Nell’enorme piscina comunale di Monemvasía si svolgono ogni anno i mondiali di nuoto con salvagente.
Monemvasía ha la piscina più grande del mondo, che la circonda su tre lati e mezzo (non è errato sostenere che la città sia stata costruita all’interno di una piscina).
In Grecia non esiste un vocabolo per identificare il mare; negli ultimi anni, turisti greci di ritorno da centri talassoterapici sulla riviera ligure hanno preso a chiamare il mare “thálassa”, termine che deriva appunto dai centri di talassoterapia liguri.
Ciononostante, non avendone uno a portata di mano, più sovente i greci non chiamano il mare in alcun modo, o utilizzano perifrasi.
Le perifrasi più utilizzate per definire il mare in Grecia sono: “La parte della superficie terrestre coperta d’acqua”, “il complesso delle acque salate che circondano i continenti e le isole”.
Es.: Infin che ’l complesso delle acque salate che circondano i continenti e le isole fu sovra noi richiuso (Dante); noi siamo come la parte della superficie terrestre coperta d’acqua, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi (Manzoni); promettere complessi di acque salate e monti (locuzione); un lupo della parte di superficie terrestre coperta d’acqua (locuzione figurata); eccetera.
In epoca micenea, i greci meno abbienti erano soliti inviare i propri figli poveri alle colonie estive.
Le principali colonie estive greche erano: Syrakousai, Croton, Mylae, Akragas e Leontinoi.
D’inverno, tali colonie estive venivano completamente smontate, come da testimonianze di Tucidide (in “Le colonie estive della Magna Grecia”, appendice terza de “La guerra del Peloponneso”) e di Pausania (in “Periegesi della Grecia”).
Oggi i greci hanno a disposizione cinema 4D istituiti dal governo affinché tutti i cittadini possano sperimentare un’esperienza marittima, ma pochi li frequentano, preferendo di gran lunga i kolossal hollywoodiani. L’unico greco capace di nuotare è morto da diciassette anni; incontro suo nipote, il quale mi racconta la sua storia.
[Idrografia greca]
I fiumi greci presentano corsi brevi, bacini poveri e sono ostacolati da numerose problematiche abbondantemente sviscerate in opere quali la Tebaide, la Commedia, l’Eneide, l’Odissea, le Metamorfosi, ecc. I fiumi più importanti della Grecia sono: il Cogito (297 km, il più lungo), l’Acheronte, lo Stige e il Piriflegetonte; la maggior parte si trova nelle regioni della Grecia Oltretombea. Il Lete, lo scordano sempre tutti, e lo stavo scordando anch’io.
[Fauna greca]
In Grecia sono presenti moltissime galline, alcuni galli (uno ogni trentatré galline), numerose pecore e un numero mai censito di cani (di cui abbiamo già detto), gatti, conigli, tacchini e faraone.
[Sfatare luoghi comuni greci]
A Sparta cercano di sfatare luoghi comuni dalla mattina alla sera. Non fanno altro.
Gli hotel di Sparta sono dotati di ogni comfort. Dai fattorini alla vasca idromassaggio, dai letti king size alla TV satellitare. Le panchine pubbliche sono foderate con morbidi cuscini, il manto delle strade è rivestito in polietilene per parchi giochi infantili, i taxi sono gratuiti, d’estate si aziona un motore per condizionare la valle (d’inverno la riscalda), c’è un Centro che si prende cura dei bambini leggermente alienati o anche solo di quelli affetti da acne adolescenziale, una chat line per i maltrattamenti sui minori, una chat line per le persone depresse, una chat line per le molestie e gli abusi sessuali, tre ospizi, due centri d’assistenza, un centro diurno, una clinica per tossicodipendenti, una sede della Alcolisti Anonimi, un centro per curare la calvizie, un salone di bellezza e dimagrimento, dodici chiese ortodosse, una cattolica, una mormone, una avventista del settimo giorno, una battista, una presbiteriana, una sala del regno dei testimoni di Geova, un centro massaggi cinese e uno tailandese.
Per il resto, a Sparta ci sono tantissime case greche, tantissime automobili greche e svariati greci che formicolano nelle strade della città senza uno scopo preciso, se non quello di rendere onore tre volte al giorno a un’immensa statua dell’attore americano Gerald Butler.
Insomma, gli spartani sono brava gente, e quando ad Atene piangono, gli spartani non si limitano a non ridere, ma piangono di più, giacché sono tra i cittadini più empatici del mondo.
[Bestemmiare in Grecia]
Moltissimi greci sono atei; pertanto, quando bestemmiano, mentono. E secondo la chiesa ortodossa commettono due peccati al prezzo di uno.
[Innamorarsi in Grecia]
In Grecia ci si innamora seduta stante. Non c’è spazio per preamboli o tentennamenti. Si incontra una persona e nel momento in cui si volge lo sguardo altrove si è già irrimediabilmente innamorati.
Spyridon, il giovane gestore dell’hotel Ardamis di Monemvasía, si è innamorato di Payayota, una netturbina greca che sta ramazzando le foglie nel parco.
In Grecia i parchi sono ricchi di foglie; le foglie greche hanno nervature pennate, margine ondulato e sinuoso, lamina cuoriforme e quando cadono dagli alberi generalmente rinsecchiscono.
Per questo il Governo Greco invia quotidianamente plotoni di netturbini incaricati di ramazzare foglie.
È una giornata bellissima. Il sole illumina la Grecia come se fossimo in una réclame, o in un romanzo che inizia con la frase “era una bellissima giornata d’inverno”.
E oggi è una bellissima giornata d’inverno, anche se numerosi temporali si rincorrono per tutto il pomeriggio, e Spyridon mi ha chiesto di intercedere per lui con Payayota.
C’è una bambina greca che saltella sul marciapiede e mi fa ciao con la manina.
Dico: ciao.
Stanno giocando a campana greca.
Un tre cinc set!
Incontriamo Payayota in un bar sulla città alta, con vista sull’enorme piscina che circonda Monemvasía e su un tramonto greco che pare dipinto su un vaso miceneo accanto alle figure di Apollo e Dioniso.
Ci sta aspettando coi capelli sciolti, e appena arriviamo se li lega con un elastico giallo.
Domando: perché?
Intendo: perché costringere capelli tanto lucidi e vivi a unirsi in un assetto strutturato?
Lei ribatte che tutte le cose dovrebbero gioire quando si uniscono in un assetto strutturato.
Spyridon le domanda se anche i loro corpi gioiscono se dovesse accadere di unirli in un assetto strutturato, e lei replica che anche i loro corpi gioirebbero.
Mentre sorseggiamo ouzo Spyridon dice: Payayota, mi ami?
Il silenzio che segue è una cosa molto appuntita conficcata nel cuore del povero Spyridon.
Lo posso comprendere, nonostante sia un forestiero sono un uomo romantico.
Ma Spyridon non si dà per vinto.
Dimmelo, Payayota, ti prego. Sono pronto a tutto.
Payayota sta ponderando la risposta.
Spyridon domanda: sarebbe troppo domandare una carezza?
Payayota lo guarda e dice: sarebbe troppo.
Almeno un pizzicotto, qualcosa che dimostri il tuo affetto, dice Spyridon. Sempre che affetto non sia una parola troppo desueta.
Forse l’affetto non è inesatto, precisa Payayota, ma è logoro e abusato.
Poi legge l’oroscopo, basato sulle stelle che si ammirano nel cielo di Asunciòn.
Il mio oroscopo dice che non siamo fatti l’uno per l’altra, dice Payayota a Spyridon.
Se ne va, lasciandoci soli, io e Spyridon, a parlare di cosa parliamo quando parliamo d’amore a Monemvasía. Poi arrivano un temporale e la cameriera, io me ne vado in albergo e lascio Spyridon da solo, a bagnarsi e a innamorarsi di lei.
Puntata #9
Settima giornata
[Casellanti autostradali greche]
Le casellanti autostradali greche sono irresistibili; hanno capelli lunghi, lisci, talvolta tinti di biondo o rame, seno piuttosto grande ma non sovradimensionato, classicamente bello, collo raffinato, profilo tipicamente greco, unghie laccate con un sensuale smalto rosso, sopracciglia sempre fresche d’estetista e sontuose labbra greche. Indossano una camicia azzurra della Società Autostrade con un bottone furbescamente allentato per mostrare il reggiseno e sono belle come le Erinni dipinte sui cocci di vasi ritrovati a Tirinto, come Naiadi di Piazza Repubblica a Roma o come ninfee di Monet.
Nessuno sa come siano le casellanti autostradali greche nella “parte bassa” del corpo.
Tra gli storici greci, Tucidide sosteneva che fossero dotate di un fondoschiena squadrato e flaccido; Flegonte di Tralles che avessero piedi elefantiaci e peluria incontrollata; Stesimbroto di Taso che indossassero gambaletti da vecchia zitella; Antistene di Rodi che avessero polpacci ciclistici e pelle a buccia d’arancia sulle cosce; Kavafis che indossino un tutone da casa e abbiano caviglie tozze.
Le leggende secondo cui hanno la parte inferiore del corpo dall’aspetto di uccello o di pesce sono state sfatate.
Qualunque sia la verità, agli automobilisti greci (e foresti) non interessa; ciò che possono vedere e udire è più che sufficiente.
In Grecia, solo le donne e quasi tutti i mariti delle donne gelose hanno il Telepass, tutti gli altri greci prendono l’autostrada più per piacere che per reale necessità, innumerevoli volte al giorno, allo scopo di incontrare le casellanti autostradali greche, le quali trattengono gli automobilisti con i loro occhi dolci, il loro sorriso meraviglioso e la loro voce da Hot Line Poetica.
Gli automobilisti greci, quando si fermano al casello autostradale, assetati di conoscenza (le casellanti greche invogliano a “sapere più cose, sapere più cose, sapere più cose”) ascoltano i racconti delle casellanti autostradali greche per ore, talvolta per giorni, mesi, in alcuni casi (invero non troppo rari), anni.
Dalla voce delle casellanti autostradali greche emergono mondi inverosimili e la risoluzione ai problemi dell’esistenza, ai problemi matematici, ai problemi gravitazionali e a quelli celesti.
Sto per arrivare al casello. Sono in coda ormai da tre ore; Paola mi ha implorato di prendere la strada provinciale, ma dopo sei giorni durante i quali ho evitato le autostrade non ho resistito, tanto più che il benzinaio di una stazione di servizio di Nauplia, in Argolide, tornato a casa da un pedaggio autostradale dopo undici anni, mi ha spiegato che le casellanti hanno il dono della glossolalia.
Nessun uomo, giovane o adulto, vecchio o bambino, resiste al fascino e alla voglia di raccontare cose delle casellanti autostradali greche.
I cartelli verdi su qualsiasi strada greca suggeriscono ai forestieri di applicare tappi per le orecchie durante le operazioni di pagamento del pedaggio, obbligatori per guidatori di ambulanze, pattuglie della stradale e camionisti con beni deperibili a bordo.
Applico a entrambe le orecchie tappi Calmor, che mi consentono di udire la voce della mia casellante autostradale greca senza restare completamente ammaliato.
E lei è bellissima: pronuncia la parola “kaliméra” e io, nonostante i tappi per le orecchie Calmor, ne sono già stregato; si chiama Aglaopheme ed è bella come Maria Callas se Maria Callas fosse stata bella.
Kaliméra in greco significa “preparati a perderti nel mio mondo”; e io mi perdo nel mondo di una casellante autostradale greca che mi parla di telenovele turche, della civiltà azteca e di vombati sull’autostrada E65/A7 Kalamata-Corinto, nei pressi di Lyrkeia.
La telenovela turca: la bellissima Pelin aspetta Tolga all’altare e sta per sposare l’uomo dei suoi sogni. Ma lo sposo ci ripensa e non si presenta. Pelin disperata incontra una sensitiva e capisce che lo sfortunato evento è legato a una macchia nel suo passato. Durante il liceo Pelin aveva spezzato il cuore di Tankut Sinan, che dalla vergogna era fuggito da Instanbul per iniziare una nuova vita all’estero. L’unica soluzione per sciogliere la maledizione è ritrovare Sinan per chiedergli scusa.
Ma Sinan è tornato in Turchia ed è diventato un cuoco di successo, affascinante ed affermato.
Tuttavia, nella versione greca della telenovela, alla fine muoiono tutti, euripedescamente, e il nazionalismo greco è salvo.
Gli antichi aztechi: Ogni cinquantadue anni gli Aztechi si aspettavano la fine del mondo e distruggevano i loro beni terreni. L’intera vita della comunità roteava intorno alla successione di giorni fasti, nefasti o indifferenti. Quando scoprivano, al termine del cinquantaduesimo anno, che il mondo non era finito, si stupivano moltissimo, e facevano finta di niente.
I vombati: i vombati sono quadrupedi muscolosi dalle zampe corte, lunghi circa metro e muniti di una coda molto corta. Abitano nelle foreste, sulle montagne e nelle lande dell’Australia sud-orientale e della Tasmania. Sembrano felici giacché hanno un’espressione che ricorda una risata, ma in realtà non hanno alcuna concezione della felicità o della felicità.
Poi Paola paga il pedaggio, la sbarra si alza e ce ne andiamo.
[Pioggia greca]
Il canale televisivo greco più seguito è il Cassandra Meteo Channel: provocanti donne turche annunciano la pioggia per il giorno successivo. I greci non ci credono, e si bagnano tutti. I viaggiatori ci credono, e visitano Micene con l’ombrello.
[Interviste ai corinzi]
Capito a Corinto a intervistare i Corinzi.
Cammino per le strade, guardo le persone, chiedo cose banali sulla purezza dei costumi, su matrimonio e verginità, sulla celebrazione dell’eucaristia, sull’uso dei carismi, sul paganesimo, sulle carni offerte agli idoli; cose così.
I Corinzi rispondono con gentilezza.
Per es:
D: che ne pensa dei carismi?
R1: mai sentiti in vita mia.
R2: che me ne frego, dei carismi, qualsiasi cosa siano.
R3: cosa sei tu, un drogato?
R4: penso che il dono di una vita spesa al servizio del prossimo sia quanto di meglio si possa sperare di ottenere in vita.
D: ritiene di professare un culto pagano?
R1: no, sono ateo.
R2: fottiti.
D: Che ne pensa di matrimonio e verginità?
R1: sei per caso un omosessuale?
R2: che devi farti gli affari tuoi, ecco che ne penso.
I Corinzi sono così, di facili costumi e difficili da domare. Tuttavia non mi do per vinto.
Nella piazza principale di Corinto (Piazza Epistato, inventore dello sgambetto, da non confondersi con Piazza Epistrato, inventore dello spintone) domando la faccenda delle lettere a un netturbino di nome Amphilochios.
Quali lettere? Chiede lui.
Come quali lettere, dico io.
Ah, dice lui. Quelle lettere.
Le avete lette? Domando io.
Mica tutte tutte, risponde lui.
Erano solo due, dico io.
Ai Corinzi non piace leggere, dice Amphilochios, se fosse venuto di persona forse sarebbe stato meglio. Da Tarso a Corinto non è questo gran viaggio.
Al porto mi avvicino a un corinzio con folta barba e una camicia a quadri. I tizi con barba e camicia a quadri hanno un volto molto cordiale, in Grecia.
Sa che lei ha un volto molto cordiale? Domando.
Sì, lo so, risponde.
Ha voglia di parlarmi un po’ di queste lettere che Paolo vi ha scritto? Chiedo. Volentieri, dice lui.
Ordiniamo qualcosa da bere mentre organizza le idee.
Nessuno dei Corinzi ha mai letto le lettere, dice lui.
Nessuno?
Neppure uno, neppure per sbaglio.
Questa non me l’aspettavo, dico io.
Vuole invece che le parli un po’ degli angeli?
Una conversazione sugli angeli mi entusiasma sempre.
Gli angeli sono come gli uomini, in un certo senso, dico.
È tutta una questione di purezza e contaminazione, dice lui.
Purezza e contaminazione sono elementi comuni della vita umana, dico io.
Ma nella vita umana c’è un grado di purezza inferiore alla contaminazione, mentre nella vita angelica c’è un grado di purezza superiore alla contaminazione, dice lui.
Purezza e contaminazione sono quantificabili? Domando io.
Credo di sì, risponde il corinzio con barba e camicia a quadri ordinando un’altra birra.
Ecco un sintomo di civiltà: un uomo greco con barba e camicia a quadri che sostiene una conversazione sugli angeli.
E quindi esiste un’unità di misura della purezza e un’analoga unità di misura della contaminazione? Domando ancora.
Sì, risponde lui.
Contaminazione è contrario di purezza?
Contaminazione è la vita umana, purezza è la vita angelica.
Non crede che la purezza allo stato puro sia consonante con la follia?
Non esiste una purezza che non sia allo stato puro.
Pertanto crede che la purezza equivalga alla follia?
Adesso credo che vorrei bere la mia birra in santa pace, dice il corinzio con barba e camicia a quadri.
Non gli do torto.
Posso offrirle la birra? Chiedo.
Preferirei di no, risponde lui.
Lascio Corinto con un po’ di amaro in bocca.
[Tragedia greca]
Al sito di Epidauro il tradizionale libro nel quale i turisti scrivono le proprie impressioni ha la seguente dicitura: “scrivete ciò che volete, purché finisca male”.
Chi mi ha preceduto ha scritto: “è tutto magnifico, ma sono abbastanza triste lo stesso”.
Quello prima di lui ha scritto: “il teatro è meraviglioso, comunque ho mal di schiena”.
Io come al solito non so cosa scrivere, e non scrivo niente.
Poi me ne vado a Nauplia, e mangio, come un greco qualunque.
Puntata #10
Ottava giornata, νόστος
[Mattine greche]
Le mattine greche che seguono una notte di pioggia sono come un cielo messicano dipinto da Michelangelo se Michelangelo avesse dipinto cieli messicani, come un deserto di confine raccontato da un vecchio americano, come occhi che ridono quando gli occhi ridono, oppure come certi paesi del Monferrato perduti nella campagna selvaggia.
Chiedo a un cittadino di Nauplia se le metafore che mi hanno suscitato le mattine della sua patria possono andare.
Lui risponde che possono andare, ma che preferirebbe dormire.
Le domeniche mattine greche che seguono una notte di tempesta invece sono belle come l’invenzione della poesia e silenziose come un ricordo felice, ma i greci non possono saperlo, perché dormono.
[Greci perduti in Grecia – Senso dell’orientamento greco]
Il popolo greco è del tutto privo di senso dell’orientamento.
In particolar modo i greci sono piuttosto portati per le andate, ma del tutto negati per i ritorni.
Sulla strada che percorre l’Arcadia, i villaggi di Kardaras, Mantinea, Silimna, Thanas, sono disseminati di manifesti fotografici riportanti la dicitura bilingue “αγνοουμένου – missing person”.
I greci sono così, partono un mercoledì mattina da Manteika per battere le olive a Dorizas (13 chilometri), e tornano dopo vent’anni, se tornano, raccontando storie assurde su rapimenti alieni, maghe e giganti da un solo occhio.
Le mogli, che si erano rifatte una vita, prima li assecondano, poi li internano in centri di recupero per persone tornate a casa dopo molto tempo, come naufraghi su isole deserte, soldati imprigionati, Prosperi vendicativi creatori di tempeste.
La mattina partecipo alle ricerche infruttuose di un postino di Mantinea uscito a consegnare una raccomandata da sei mesi e mai più tornato, benché la raccomandata sia stata recapitata (andata=ok / ritorno=disastro, come volevasi dimostrare).
Nel pomeriggio invece la comunità di Orcomeno, ventiquattro chilometri a nord di Tripoli, è in festa, giacché due pastori hanno ritrovato Demetrios Grammozis, meccanico trentanovenne, dopo due anni e quattro mesi di ricerche, mentre esplorava una grotta a sei chilometri in linea d’aria dalla sua officina.
Interrogato, il meccanico dichiara di essersi nutrito di bucce di mandarino e di noccioli di oliva. Si festeggia con souvlaki e retsína. Ma prima di festeggiare, quando un greco scomparso viene ritrovato si procede alla prova del riconoscimento. Nel caso di Demetrios Grammozis la prova consiste nel riparare il carburatore di una Alfa Arna dell’85; dopo mezz’ora di lavoro la Arna si mette in moto, e la comunità di Orcomeno può festeggiare degnamente il ritorno a casa di un suo figlio.
[Cavallo di Troia]
Il cavallo di Troia originale si trova nel parcheggio di un rivenditore di auto usate a Anifi, sulla strada tra Micene e Nauplia, tra Maggiolini Volkswagen e Peugeot 208.
Mi fermo per fotografarlo.
Il venditore greco di auto usate mi si avvicina.
È originale? Domando io.
Come no, dice lui.
È un reperto storico-letterario dal valore inestimabile, dico al venditore greco di auto usate.
Dice davvero? Mi domanda lui.
Senza il cavallo di Troia, senza Troia e senza Ulisse, la letteratura occidentale non sarebbe esistita, o sarebbe esistita in modo completamente diverso, dico io.
Non ci avevo mai pensato, dice lui ammirando il cavallo di Troia.
Lo ammiro anch’io. Pensavo fosse più grande.
[Bungee jumping al canale di Corinto]
È tradizione greca del quattordici gennaio praticare il bungee Jumping sul canale di Corinto.
Un greco prova a convincermi, non mi lascio convincere.
[Nόστος]
[Il momento greco indimenticabile]
Ogni viaggiatore che lasci la Grecia per via aerea dall’aeroporto Eleutherios Venizelos di Atene deve recarsi al banco check-in 77 e scrivere il proprio momento greco più bello sul Libro dei Momenti Greci Indimenticabili. È la legge, e non ci si può tirare indietro.
Faccio mente locale.
In otto giorni di Grecia ho visto Helios e Poseidone combattere per un pezzo di cielo sopra un’area di servizio tra Argo e Tebe, ho odorato autostrade deserte profumate di mandarino e percorso valichi di montagna popolati da minotauri sciatori e titani nani, fumato Marlboro greche per colazione e partecipato alle ricerche di postini arcadici perduti in Arcadia, ho visto arcobaleni greci alla cui base stanno vasi micenei e i cui colori sono i colori del ditirambo, che sono i colori della nascita e della morte, ho udito pastori della Tessaglia cantare alla luna e ho rischiato di lanciarmi nel canale di Corinto legato a un elastico, ho preso buche greche a bordo di una Peugeot greca e sono stato adescato da monaci ortodossi inclini a riti dionisiaci a carattere tumultuoso e orgiastico, ho conosciuto la lingua greca per un quarto d’ora e ho scoperto che tutto ciò che avrei voluto leggere in lingua greca in realtà non era lingua greca, o era lingua greca ma una lingua greca diversa e incomprensibile, ho scritto una poesia in lineare B sul biglietto d’ingresso al teatro di Epidauro e l’ho buttata via, corso allo stadio Panathinaiko e praticato il getto del pompelmo allo stadio di Olympia.
Eppure non mi viene in mente niente, e come al solito non so cosa scrivere.
Scrivo: “il mio momento greco più bello sono stati tre. Uno, fumare nei bar e nei ristoranti seduto al tavolo; due, le fotografie della mia gatta inviate via whatsapp da mia zia; tre, Paola e io sulle strade greche, sotto il sole greco o sotto il cielo grigio greco o sotto la pioggia greca”.
Mi consegnano il foglio di uscita.
[Comitato d’Addio]
Sulla pista, accanto al volo AZ725, riecco gli Euzoni: si stanno sgranchendo le gambe accanto al sosia di Anthony Quinn e tutto il corpo di ballo della Sirtaki Greek Company.
I coreuti, accanto a immensi carrelli ricolmi di valigie, camminano o danzano all’unisono, commentando con canti armoniosi le fasi della preparazione al volo, del carico bagagli, ecc.
Il corifeo, direttamente sul velivolo, si prodiga in dettagliate istruzioni per i suoi satiri, abbigliati con il tipico costume catarifrangente da scena e le caratteristiche cuffie acustiche isolanti otoprotettrici antirumore greche.
Mettono in scena un dramma satiresco aeroportuale breve, giacché l’aereo non può subire ritardi, ma piuttosto coinvolgente e tipicamente ellenico.
[Parentesi sul dramma satiresco aeroportuale greco]
Nato in un periodo immediatamente successivo al ditirambo semplice, alla tragedia, alla commedia e al dramma satiresco semplice, il dramma satiresco aeroportuale greco ha un’ambientazione aeroportuale greca.
Tra i più famosi drammi satireschi aeroportuali pervenutici, i greci amano in particolare il “Dedalo” di Pratina di Fliunte, “Le Arpie” di Eschilo e il “Volo di Giasone” di Aristarco, tutte rappresentate per la prima volta al teatro di Dioniso ad Atene.
Viene messo in scena tradizionalmente in ogni aeroporto greco, alle partenze o agli arrivi (tipicamente agli arrivi, ma al mio arrivo ero stordito dall’alcool, e per me fanno un’eccezione).
Trama del dramma satiresco aeroportuale di oggi: un forestiero molto superstizioso deve imbarcarsi su un aereo di linea diretto in qualche posto non greco; al check-in gli viene assegnata la fila 19, ma quando sale si rende conto che la fila 13 e la fila 17 (proprio a causa della dilagante superstizione greca) sono assenti; pertanto la sua fila, nonostante i patetici tentativi dissimulatori della compagnia aerea, da qualunque parte la si consideri, è la diciassettesima fila del velivolo, tanto più che il velivolo ha trentatré file di sedili, il che rendono la fila diciassette la fila diciassette da ogni punto di vista.
Il forestiero protesta con il corifeo (abilmente travestito da steward), il quale sostiene il coro dei satiri travestiti da operatori aeroportuali che sta cantando: “ti arrangi/il volo è pieno/ti arrangi/il volo è pieno”.
Il forestiero canta “mai siederò in una diciassettesima fila in vita mia/fosse d’aeroplano, cine, nave o ferrovia”.
Per farla breve, il forestiero viene ubriacato e stordito e fatto sedere alla fila diciannove, che in realtà sarebbe la diciassette.
Alla fine l’aereo precipita, e mentre precipita il forestiero maledice tutti, e pur se visibilmente stordito e ubriaco ripete che la colpa è della fila in cui è seduto, la quale non è la diciannovesima bensì la diciassettesima, eccetera. Ma ecco il colpo di scena: l’aereo non sta davvero precipitando, è solo uno scherzo, e in realtà si è ancora sulla terra ferma.
Tutti ridono, il foresto ha un infarto, lo curano, sta bene, ottiene il cambio di fila, l’aereo decolla e atterra.
Ogni dramma satiresco aeroportuale finisce bene, ma soltanto dopo un disastro aereo sfiorato, il che ha issato il dramma satiresco aeroportuale greco al primo posto tra le “cose che portano rogna davvero” in un sondaggio mondiale del New York Times.
[Saluti]
Il volo AZ725 sta rullando il motore.
Il corifeo scende dall’aereo, gli euzoni partono con la loro cerimonia d’addio greca, la Sirtaki Greek Company attacca il sirtaki con il sosia di Anthony Quinn in centro; guardandolo bene penso che non gli somigli molto.
Tre aerei militari compongono con arditi volteggi la scritta “Ariveddércj Paula και Giuan Markou – αντίο! αντίο! αντίο!”.
Paola saluta dal finestrino, io faccio l’indifferente.
Tutto sommato un commiato accettabile; niente di che (ho ricevuto addii migliori e più scenografici in altri Paesi), ma emblematico della voglia di fare e di salutare greca.
Cionondimeno, non posso esimermi dal dover annotare l’ennesimo episodio di sciatteria nel tentativo di scrivere parole italiane.
[Invocazione]
O mio lessico italiano, mio volgare toscano letterario senza gorgia riveduto e corretto da un milanese, amatissima lingua del sì scarnificata in patria e sottostimata in terra straniera, chi ti riscatterà?
Non io di certo, ma qualcuno giungerà, prima o poi, su questa terra, da questa parte dell’universo conosciuto o dall’altra, e ti renderà giustizia eterna.
[Nόστος aereo]
Il volo AZ725 fa un primo scalo a Hissarlik (TR), un secondo a Varna (BG), un terzo a Djerba (TN), un quarto a Catania (I), un quinto a Stromboli (I), un sesto alle bocche di Bonifacio (F), un settimo al Circeo (I), un ottavo a Gibilterra (GBZ), un nono a Salerno (I), un decimo a Messina (I), un undicesimo a Palermo (I), un dodicesimo a La Valletta (M), un tredicesimo a Corfù (GR), poi atterra a Milano dopo vent’anni, ma in anticipo di venti minuti. È la prassi greca per i ritorni a casa.
In fin dei conti un volo tranquillo, senza turbolenze. A Linate non mi aspetta nessuno.
Niente comitato di bentornato, neppure un paio di corazzieri, un manipolo di granatieri di Sardegna, una brigata bersagliera, una scuola di mazurca o un Toto Cutugno qualunque con la chitarra in mano.
Recupero l’automobile dal parcheggio, prendo la strada di casa, Paola è con me, e tutto intorno è l’Italia.
[Eπίλογος]
Al bar “Un posto pulito illuminato bene” di Montemagno giocano a carte, io ritrovo la mia gatta.
Un bambino che avrà due anni mi si avvicina festante.
Mi chiama papà.
Chiedo chi è, ma lui dice solo papà papà papà.
Alza le braccia verso il mio naso. Io lo osservo come se guardassi da vicino un oggetto appuntito e peloso di cui non conosco il significato.
Dice papà papà papà e tempo dieci secondi lo tengo in braccio.
Si chiama Dante, come mio nonno.
Sono tuo padre? Gli chiedo.
Lui dice sì, papà.
Misuro approssimativamente la distanza tra le sue sopracciglia, con gioia e orrore appuro che indica la stessa malattia di cui è affetto suo padre, il suo papà.
La frivolezza salverà il mondo, gli sussurro mentre ride.
Lo metto giù.
La camminata non è ancora sicura, ma si vede benissimo che andrà lontano.
Lo prendo per mano, e ci allontaniamo in una strada screpolata del Monferrato che conduce in un luogo che non saprei dire, mentre col pollice, leggero come una formica, lo gratto tra i due nervi che ha dietro il collo, come in quel racconto di Fenoglio.