Testo: Stefano Felici
Copertina: Youtuber – Julio Armenante
Sono poco credibile come youtuber, ho quarant’anni e non mi vengono mai in mente quelle cose che fanno ridere i ragazzini, per esempio le battute sulle fiche larghe, il cazzo preso in culo, essere froci, e sui soldi, o essere poveri e voler essere ricchi, gli urletti, le mosse stilizzate e scoordinate, l’entusiasmo sempre a duemila, non è roba mia, anche da ragazzino i ragazzini non li capivo, sono mezzo depresso, io prendo il pregabalin la mattina.
Il canale youtube però me lo sono aperto uguale, chiamatemiismaele, perché mi piaceva così, proprio punto e basta, nemmanco mai letto moby dick, che non è un vanto ma è così, paga sempre essere sinceri, chiamatemi Ismaele, roba di bibbia, potente, per staccarmi pure dai nomignoli del cazzo dei bambini e passare per un canale un po’ più maturo e dargli un aspetto come si deve, essere credibile anche dai quarantenni tipo me che ce ne sono tanti su youtube.
Voglio fare i gameplay e parlarci sopra, però fare riflessioni e dire le cose del gioco, discussioni non serie ma con un filo logico, almeno. Ovviamente la mia voce stanca da quarantenne non la posso usare, e mi vergognerei se qualcuno mi riconoscesse. Metto un filtro, quello che rende la voce distorta e cavernosa, superbassa, che va benissimo per la maggior parte dei giochi che voglio portare sul canale, e per gli altri più colorati e allegri fa sicuramente contrasto, è fico.
La mia compagna non deve sapere nulla di questa cosa, però viviamo in una casa con due camere, registrare i gameplay mentre parlo senza che se ne accorga è impossibile.
Mi invento che ho trovato finalmente un lavoretto part-time a un call center, tipo al centro, dalle tre alle sette di sera, e invece torno a casa mia e in stanza mi metto a fare le cose. Dico a mia madre di reggermi il gioco se necessario. Le chiedo di passarmi qualche soldo in più per fare finta. Tanto, se glielo chiedo, lei lo sforzo lo fa, poi non sarà mica per sempre, massimo duecento euro, lei tanto non si compra mai un cazzo, vive di poco, è sicuro, me li dà, non ce la vedo a dirmi di no, a farmi incazzare, lo sa che che mi incazzo, me li dà di sicuro, è sicuro.
Allora io vado. F. ha abboccato, non mi ha fatto troppe domande, era contenta, tanto ora è a casa che studia, poi non è che si mette troppo a pensare a chissà quale bugia, chissà quale piano, ha ventidue anni, ancora è ingenuotta, certe cose nemmeno se le immagina da uno che sembra calmo e onesto come me. Io sulla metro già non vedo l’ora.
In cameretta, ePSXe pronto, la iso di Alundra già montata, il joypad stile PS2 bello pulito, il microfono settato…
Che bello, Alundra. Uno Zelda, praticamente. Però più dark, più stranetto. Anche più platform, si può dire. Con gli enigmi da risolvere. Poi l’atmosfera… A me questo piace, più di tutto: l’atmosfera. La cosa migliore che possa esserci in un videogioco.
Con questo vocione da orco elettronico mi metto a speculare… A speculare sul cattivo di Alundra che compare all’inizio. È Melzas. Pulsa di luce bianca e blu. È uno sprite imponente e statico. Sembra che tiene le braccia incrociate, e questo è tutto quello che riesco a capire dalla silhouette scalettata. Melzas, nella sua prima apparizione, non capisco cosa voglia e cosa cerchi di dire, è in inglese, lo capisco a grandi linee ma non nel dettaglio. A me comunque appare come un cattivo serafico, elegante, quindi straforte e saggio. È un cattivo che già mi piace, così come mi piacciono tanti cattivi. Il mio preferito è Sephiroth di Final Fantasy VII, l’emblema dei cattivi serafici, eleganti, spietati. Io la notte, prima di addormentarmi, penso sempre al videogioco che vorrei fare, ne tesso, per così dire, la trama, mi costruisco proprio i fondali, i personaggi, la storia… Il cattivo per ora non ha un nome, ma, sincero anche qui, è in pratica la persona che vorrei essere io… Alto, muscoloso ma slanciato, nel trench coat nero, i capelli lunghetti davanti gli occhi… Il portament—
Mia madre mi ha allungato trecento euro, me li nascondo e li caccio fuori tra qualche settimana davanti a F., e le dico che finalmente contribuisco anche io all’affitto. Mamma tanto a casa il da mangiare per un bel po’ ce l’ha, che comunque di casa non esce. Adesso, più che altro, mi preoccupa che in quattro ore ho combinato poco. Ho giocato, ma non ero tanto dell’umore per parlare e inventarmi discorsi. Ero un po’ con la testa altrove, ho salvato i minuti iniziali, ma poi fa cacare, devo rifarlo, devo rifarlo dal punto dove Alundra si risveglia dopo il naufragio, nemmeno dieci minuti di gameplay, senza nemmeno che c’è azione, battaglie, un cazzo… Riprendo, riprendo domani, mi piace, questa cosa mi piace, mi ha preso, devo stare tranquillo, verrà bene, è il mio pane, che cazzo c’è da farsi venire le paranoie?, praticamente la cosa che ho sempre voluto fare e adesso posso farla.
Questa cosa è folle, sono tre giorni che davanti allo schermo non riesco a dire nulla, non mi viene in mente niente, poi nemmeno al gioco riesco a andare avanti. Volevo tutto il tempo del mondo, tutto per me, giocare ai videogiochi rintanato in camera come venticinque anni fa, come quando non c’era youtube ma io ero comunque uno youtuber perché queste cose le facevo immaginandomi in diretta su una rete locale che trasmetteva le mie partite ai videogiochi, come è possibile che adesso non so che farci. Colpa mia, colpa mia, di tutto, del tempo perso e della paralisi. Mia madre mi bussa e io spalanco e le urlo addosso che se sto chiuso in camera c’è un porco dio di motivo, non torno mica per prendere la camomilla con lei quando me ne potrei stare a casa con F., o cercare lavoro, o riprendere l’università. Stare al computer per me adesso è un lavoro, glielo grido in faccia e lei si tira indietro, strizza gli occhi, che tremano, però sta zitta, e se ne torna in salotto a guardare il televisore senza strusciare i piedi che mi dà fastidio. Porco di un dio, mammina mia, ma perché mi ti fai trattare così?, è da quando ero piccolo che lo fai.
F. mi chiede come va a lavoro e siccome mi conosce come uno che il lavoro non lo sopporta le dico che va tutto male, ma non ho scelta, mi tocca andare. Lei mi si viene a sedere sulle ginocchia e mi abbraccia e mi sussurra che non dovrò stare per sempre al call center, e io le dico grazie al cazzo, mezzo sorridente, ma lei non sorride. Le si disattiva il senso dell’umorismo, certe volte che non capisce bene che stato d’animo ho.
Dopo cena mi dice che l’indomani saremmo dovuti andare a trovare sua madre, io le rispondo che purtroppo, il lavoro, e lei mi risponde che domani è domenica. Non ci avevo pensato, scordato, ma a me domani non va di andare dalla madre e sono sicuro che mi sblocco davanti a Alundra, a letto prima di dormire avevo in programma di guardare qualche walkthrough e qualche youtuber bravo per rubicchiare qualche idea. Non ci voleva questa cosa, non va bene, no, è che anche se è domenica, e cerco di inventarmi qualcosa, ma farfuglio, mi inceppo, lei non se la beve e mi chiede incazzata cosa stia cercando di inventarmi, allora cambio subito strategia e passo alla sincerità, F., non mi va, e lei urla, urla come io faccio con mia madre, mi si para davanti e dice che devo venire e basta. Io zitto, le mani davanti alla faccia, sia mai mi allunga uno schiaffo, è alta e secca ma non so come ha più forza di me, sempre stato così da tre anni che ci siamo conosciuti. Poi torna seduta e si mette a ripetere filosofia, Aristotele o quel cazzo che sa lei. Io da quel momento in poi ho paura pure a fiatare. Ogni tanto stacca gli occhi dai libri e mi tira addosso degli sguardi di male assoluto. Prende il telefono, muove i pollici tarantolata, con la vocina di cazzo mi fa sapere che ha dato conferma alla madre per do—
Vado a fare il caffè, come mi ha chiesto, faccio fatica a aprire la moka di merda senza più il manico, è una porco dio di tortura per me fare il caffè, alla fine lo metto su. Mi rimetto seduto.
Sbuffa il fumetto e gorgoglia, io mi rialzo senza dire niente, chiudo la manopola del gas, infilo il guanto imbottito, stringo la moka bollente, mi porto a spasso il fumetto, arrivo vicino a F., le faccio oh, lei non risponde e non alza gli occhi dai libri come al solito, quindi le rovescio tutto il caffè in testa e mi arrivano gli schizzi bollenti addosso ma non mi muovo, apro pure il coperchietto per farlo uscire tutto in una versata sola, veloce, lei prima di cacciare lo strillo atroce da scimmia scuoiata viva si incassa e rimane muta senza fiato per parecchio, roba di cinque secondi, quasi dieci, forse.
Uploadato alle quattro e mezzo di mattina, refresho da otto ore, sette visite un dislike. Ma dai, ma porco dio, ma come è possibile, è veloce, ho montato coi jumpcut, ho messo un paio di battute su Alundra frocio, i trenta secondi finali mi sono pure ripreso di persona con la mascherina di zorro che avevo e che mi copre gli occhi e il cappellino dei bulls anni novanta, sette visite un dislike. Non posso spammarlo sui social, come cazzo faccio, dovrei farmi al volo tre quattro account sui forum di videogiochi e linkarlo, che coglioni, ma devo farlo, sennò qua muore tutto subito, non ci credo, l’idea è fica, la devo seguire, non la posso far morire così, dai Stefano dai forza, mia madre continua a bussarmi disperata alla porta, io mi sono chiuso a chiave dentro, lei guaisce come un cane, sta pregando di aiutarla perché ci stanno F., sua madre e i carabinieri alla porta che devono entrare per forza, lei non sa che fare, io se non becco almeno i primi dieci like, un commento e cinquecento visual da qui non mi muovo, non mi muovo, non mi muovo, mettiamoci a fare questi cazzo di account per i forum, però prima devo calmarmi e rilassarmi due minuti, devo spararmi in cuffia un po’ di boati di Lustmord e fare buio in camera, devo per forza sennò non combino un cazzo, Stefano tu sei Melzas.