di Daniele Israelachvili
Copertina: Cataloghi, nomi, scatole – Julio Armenante
Tutto è bene quel che finisce bene. Quante volte si è ripetuto questa frase nelle ultime settimane, come un mantra, riuscendo solo a trasformarla in una domanda senza risposta. A nulla è servito il pensiero che sua figlia sia troppo piccola per poterselo ricordare, e che nessun altro sia al corrente di quanto accaduto, perché purtroppo è nessun altro a parte lui.
È una bella giornata di luglio quando, rientrando a casa dopo il lavoro, è costretto ad accostare. Gli manca il respiro. Mentre tiene la testa appoggiata al volante, con gli occhi chiusi, sente le forze abbandonarlo. Ogni notte è sempre peggio. Non riesce ad addormentarsi, ma deve rimanere comunque immobile nel letto perché sua moglie ha il sonno leggero ed è terrorizzato che possa svegliarsi e domandargli “Cos’hai?”. Anche se ciò che lo angoscia veramente è la certezza che non riuscirebbe a trattenersi dal dirglielo.
Solleva la testa, ma il respiro continua a mancargli. Allunga una mano verso lo specchietto retrovisore e comincia a ruotarlo lentamente, fino a quando compare il seggiolino di Marta. Alla vista dello spazio vuoto scavalca il porta oggetti per sedersi nel posto accanto. I minuti passano, e mentre la maglietta comincia ad appiccicarsi e le prime gocce di sudore gli scivolano sulla fronte, riesce finalmente a piangere.
Poco distante, nel giardino di una villetta, un Golden retriever si tira su, anche se non è ancora arrivato il momento della passeggiata quotidiana. Il suo padrone è dentro casa, in mutande davanti allo specchio, mentre fissa la pancia stretta tra le mani, scuotendo la testa sconsolato.
Il viso dell’uomo è ormai una maschera di lacrime e sudore. Ogni volta che sta per cedere alla tentazione di tornare davanti e aprire la portiera, ripensa a sua figlia, a tutto il tempo che ha trascorso chiusa in macchina, dimenticata, e subito ritrova la forza per resistere. Così fa scorrere la cintura di sicurezza, che aderisce al suo corpo come un cilicio, e volge lo sguardo al cielo, dove una nuvola bianca avanza lentamente.
Il cane esce dalla cuccia e resta immobile, con le orecchie dritte e tese in avanti. Nel frattempo il suo padrone si sta allacciando le scarpe da ginnastica e, mentre ripensa alla discussione che ha avuto in ufficio quella mattina, si domanda perché le risposte migliori vengono sempre in mente quando ormai non servono più.
Il caldo dentro la macchina è diventato insopportabile. L’uomo abbandona la nuvola al suo lento incedere e volge lo sguardo all’interno, finché qualcosa cattura la sua attenzione. Prende la penna dal portabottiglie e, dopo aver tolto il tappo, comincia a premere la punta contro il palmo della mano. Prima piano, poi sempre più forte. “Chiodo scaccia chiodo”, un trucco imparato da ragazzo. Quando finalmente la punta buca la pelle, appoggia la fronte sudata al finestrino e chiude gli occhi. I minuti passano e ha di nuovo cinque anni. È estate e sta trascorrendo il suo pomeriggio a schiacciare le formiche. Ogni volta che ne trova un gruppetto, rimane lì a fissarle per un po’, prima di abbassare il piede di colpo. Quando lo rialza, alcune scappano in ogni direzione, altre invece avanzano a scatti, passando accanto a quelle che sono rimaste immobili a terra. Dopo l’ennesima strage, una formica torna indietro e comincia a trascinarne un’altra, apparentemente senza vita. Si siede a terra per guardarle meglio e poi, come se la distanza fosse ancora troppa, si sdraia a pancia in giù e, senza smettere di guardarle, comincia a piangere.
Il cane intanto ha ripreso a muoversi, andando avanti e indietro lungo il muretto della villa, prima lentamente e poi a passo sempre più sostenuto, fino a quando un rumore familiare lo fa scattare verso la porta di casa.
L’uomo dentro la macchina riapre gli occhi, ma non è in grado di capire quanto tempo sia passato. Se qualcuno glielo chiedesse, giurerebbe di essere lì da sempre. Quando abbassa lo sguardo verso le mani ha come l’impressione che una delle due, quella che sanguina, sia più piccola, come quella di un bambino. Smette allora di fare pressione e lascia cadere la biro. Poi con uno scatto si raddrizza, spalancando la bocca per cercare di prendere aria, ma l’unica cosa che ottiene è di sbattere la testa. Il corpo ormai non risponde più e, mentre le gambe e le braccia si muovono in ogni direzione, un grido soffocato gli scivola in gola.
L’auto smette di sobbalzare un attimo prima che la porta della villetta si apra. Il padrone di casa, abituato a trovarsi il cane scodinzolante tra le gambe, è sorpreso nel vederlo abbaiare furiosamente, con le zampe anteriori sollevate e il muso premuto tra le sbarre del cancello. Rimane a osservarlo per un po’, cercando di capire il motivo di tanta foga. Poi tira indietro il piede sinistro, e dopo averlo preso in mano, alza lo sguardo verso un luminoso cielo azzurro.