di Caterina Iofrida
Copertina di Sante Cutecchia
Gabriele ordinò il suo solito caffè macchiato del dopo pranzo, poi tornò subito col pensiero a dov’era un attimo prima. Pane, latte, parmigiano, caffè. Alla Coop a quell’ora non era probabile ci fossero troppe persone. Gli piaceva proprio fare una spesina veloce così, nel supermercato mezzo vuoto. Ci avrebbe impiegato un attimo. Nel portare alle labbra la tazzina, sentì, sul dorso della mano, il profumo del bagnoschiuma. Sapeva di cocco. Cocco? Eppure il suo bagnoschiuma era alla mela… Bevve lentamente un piccolo sorso di caffè; ancora caldo, troppo caldo. Ci soffiò sopra leggermente. Non si doveva assolutamente dimenticare del caffè, alla Coop: a casa lo aveva completamente finito. Mica poteva prenderlo sempre al bar! Già lo stava facendo da una settimana intera, pure a colazione, se lo era dimenticato tre volte di fila, con questo fatto che, lui, la lista della spesa non la faceva mai. Chi sa quante gliene avrebbe dette Marisa! Questo fatto di non fare le liste, lei, non lo concepiva. Peccato che, adesso, non fossero più fatti suoi! Un momento: il bagnoschiuma alla mela, lui, lo teneva accanto alla vasca. Si bloccò, la mano che reggeva la tazzina a mezz’aria. Lo aveva visto anche quella mattina, quando aveva aperto i rubinetti per riempirla. Dio, era proprio stanco… Un altro piccolo sorso. Ora il caffè aveva una temperatura accettabile. Bevve di nuovo, a sorsi più abbondanti. Ma no! Aveva fatto la doccia quella mattina, certo! Ecco spiegato il cocco. Sorrise tra sé. Poi tornò serio. Eppure, appena sveglio, aveva aperto i rubinetti della vasca. Ma se poi si era fatto la doccia…
All’ora del pranzo – quella di Liliana, intorno alle due – il parco era quasi deserto. Non c’era che qualche sparuto gruppetto di anziani, uno di giovani, pure; ma le panchine libere erano molte. Lei si piazzò nel bel mezzo di una, all’ombra di un tiglio; si accomodò contro lo schienale, ci appoggiò la nuca, chiuse gli occhi. Fu solo dopo una decina di minuti che aprì, con un fare calmo, quasi pigro, la borsa e ne estrasse un involucro in alluminio il cui contenuto si rivelò un attimo dopo essere una mezza baguette, farcita con salame e formaggio. Indugiò per un secondo, con compiacimento, su di un ipotetico dialogo con sua madre riguardo il corretto apporto calorico per un pranzo. Poi attaccò un morso piuttosto selvaggio al panino. Certo che era difficile fare un ragionamento masticando, a fatica riusciva a sentirsi pensare. Ma a che cosa avrebbe dovuto pensare, poi? In quella giornata non aveva proprio nulla da fare, non c’era lavoro o altro da sbrigare. Di incombenze non ne aveva. Eppure. Dio, chi stava diventando? Era là, su di una panchina, a primavera – con un panino, con il salame – a chiedersi se ci fosse altro di più importante. Probabilmente stava solo invecchiando. Era bella questa età in cui, vivaddio, davvero nessuno aveva voce in capitolo sulla vita che conduceva; tuttavia cominciava a insidiarla il dubbio che quella stagione della vita portasse con sé nuovi concetti odiosi. Ma forse no, non era questo a disturbarla. Forse c’era, in effetti, qualcosa d’altro. I peperoni. Le melanzane. Le zucchine. Non era stato solo poco prima? Il vapore denso, quel sobbollire sommesso ma crescente, l’avvolgevano mentre lei, con dolcezza, lavorava di mestolo e sorvegliava la cottura. Un momento. Quando era successo, però? Era mattina, e mentre mescolava pigramente le era venuto a mente di condirci il cous cous. Sì, si era congratulata con sé stessa per l’idea, un ottimo cous cous di verdure per il pranzo… ma per il pranzo di quale giorno? Guardò il panino che aveva appena attaccato a mangiare, si sentì rassicurata. Era quello il suo pranzo, per oggi. Certo che era proprio bello, quel tiglio. Lo osservò, il naso all’insù, la testa di nuovo rovesciata all’indietro. Com’è che non ci aveva mai pensato, prima, a venire a mangiare là sotto? Quel parco non era distante da casa sua. Le zucchine, però, non le aveva avute che la sera prima da sua madre. Ora stava pranzando con il panino. E poi, quel cous cous, mica lo aveva tirato fuori dalla dispensa. Non ne aveva alcuna immagine in mente. Eppure, le verdure che sobbollivano… lei col mestolo in mano…
Francesco non aveva mai guidato molto; ultimamente, poi, non lo faceva quasi più. Quel giorno, però, non c’era stata scelta e, contro ogni sua previsione, si stava addirittura godendo il viaggio. Dal finestrino aperto entravano il vento e il sole, dritti sulla sua faccia, senza delicatezza, quasi a schiaffeggiarlo. Nessuna automobile gli era passata accanto da almeno un quarto d’ora; era solo, sulla strada, e se ne andava indisturbato alla sua andatura lenta. Chi sa se a Marco sarebbero piaciute le salsicce della sua gastronomia preferita, si chiese. Ne aveva prese parecchie, un barbecue in giardino impone l’abbondanza; nello stesso spirito si era munito di ben tre bottiglie di Morellino. Già, le bottiglie. Non si sentiva il minimo suono di vetro che sbatte. Ma dov’era che aveva messo le buste? Gettò uno sguardo fugace al sedile del passeggero, per quanto con la coda dell’occhio non le avesse intraviste; e difatti là non c’erano. Si guardò allora alle spalle, neanche sul sedile posteriore. Certo che, a volte, faceva delle cose… avrebbe giurato di non aver aperto il bagagliaio, non se ne ricordava. E invece forse lo aveva fatto. Molti tra quelli che stava per incontrare alla grigliata lo avrebbero definito “distratto”, o peggio “sulle nuvole”. Intanto, però, ci avrebbe scommesso che nessuno di loro, al barbecue, avrebbe dato l’apporto concreto di due chili di salsicce e tre bottiglie di vino. Ridacchiò. Li conosceva fin troppo bene, questi paladini della concretezza! Intanto, per pranzo si sarebbero sbafati le sue meravigliose salsicce. Le visualizzò col pensiero, concentrandosi per captarne il profumo; poteva quasi sentirlo. Già, quasi. Perché intanto, di quel profumo, in macchina… non ce n’era traccia. Com’era possibile? Aveva preso le buste dal tavolo della cucina, di questo era certo. Per le scale, stava per urtare la vicina con una delle bottiglie, che sporgeva. Quella aveva fatto una faccia… Del resto, faceva tragedie su tutto. Ultimamente, poi, era pure peggiorata. Forse aveva litigato con quella sua amica tremenda dalla voce squillante, quella che parcheggiava sempre nel suo posto, nella corte; e così a lui toccava farlo lungo la strada. Dove l’aveva parcheggiata l’ultima volta, il marciapiede era pure sconnesso; tant’è vero che, mentre si frugava le tasche in cerca della chiave, aveva rischiato di finire in una buca. Alla fine aveva dovuto appoggiare le buste sul tettuccio dell’auto, per cercare con calma e non innervosirsi. Certo che quella tizia – quella che usava fregargli il parcheggio – aveva una voce davvero sgradevole. E non era il suo unico difetto! Era persino più cafona della sua vicina. Chi sa che razza di rapporto c’era, tra quelle due. Non sessuale, no; era qualcosa di molto più morboso, di questo si sentiva sicuro, ma non era in grado di formulare un’ipotesi più precisa. Un attimo. Aveva trovato le chiavi e poi era entrato subito in macchina. Se ne ricordava bene…
Davanti al condominio di via Venezia si era radunata una piccola folla. Il fumo aveva cominciato a uscire da una finestra del secondo piano – era una cucina – e subito la signora Bianca, che abitava al piano terra, aveva chiamato i pompieri e bussato alle porte di tutti i suoi vicini. Ora il furgone dei pompieri era arrivato ma non sembrava essercene più bisogno. – È proprio sicura che ci fosse del fumo, signora? – aveva chiesto un giovane pompiere, gli occhi puntati in basso sulla minuscola figura di Bianca, – Sicura? Sicurissima! – aveva replicato lei con decisione, e in effetti un certo odore di bruciato si sentiva. Ma di sicuro non c’era un incendio. C’era, invece, una strana chiazza sul muro, al terzo piano, come di umido. Certo che era proprio una giornata splendida, pensò il giovane pompiere, il cielo era sereno, c’era il sole e un piacevole venticello a rinfrescare. L’aria era tersa. Poco più in là, seduto sul gradino di un’aiuola, un ragazzino stava mangiando quella che pareva una salsiccia cruda a morsi, spalmandosela su mezza faccia. Sembrava felice.
Racconto fantastico!
Fantastico!!!
Il tempo attaccato alle cose e noi lontani dal tempo. Estranei a noi stessi. Bello.