di Domenico Caringella
Copertina di repertorio
Quaggiù il secondo martedì di ogni mese è il giorno degli ossimori, così i semafori proiettano luci di tre diverse tonalità d’azzurro, mia madre è felice come una ragazzina, le puttane sulla 7° si scelgono i clienti e dopo un pompino coi fiocchi gli lasciano dieci dollari sul cruscotto, le mattine di sole sono deserte e grigie solitudini, la polizia si arrende, sempre, e non spara, mai, i ladri restituiscono la refurtiva, ma a persone a cui non è stato rubato niente, si cede alla notte già bendati, i bambini sotto la luna sciamano per il cimitero in lungo e in largo, rincorrendosi tra le tombe, lo sceriffo lascia aperte le celle e i reclusi sgattaiolano fuori e prima di sera se ne tornano da soli in galera perché la libertà è l’ultima cosa che desiderano in quel momento e la prima che su cui verseranno un miliardo di lacrime il giorno dopo, e io e te non ci neghiamo niente, sono quei maledetti martedì che ci fanno restare insieme…
Tuesday Mood
«Mi chiamo Francesc d’Asís Xavier Cugat Mingall de Bru i Deulofeu…» .
Al Mingall ero già sulla via del sonno e dell’amaca sospesa in giardino. Eravamo solo alle presentazioni e già ero annoiato da quei baffetti con dietro quel tizio in tuxedo bianco appena alle otto di martedì mattina. Partivamo male, molto male.
Dopo lo strano e inatteso suicidio di Osorio – il nano baritonale che prima di attaccare a cantare una miscellanea di pezzi evergreen arrangiati in chiave operistica, mi apriva la serata special del martedì con il Tuesday Mood – avevo bisogno di un nuovo personaggio, di un battitore libero, di qualcuno che risollevasse le sorti del mio conto in banca e del mio locale notturno, ‘”Los Oximorones” (Gli Ossimori), a Punta del Este.
La trovata dei contrari, infatti, aveva smesso di funzionare, anche per la finitezza dei contrari proponibili; e così i camerieri che si mischiavano ai tavoli spacciandosi per clienti, i clienti morosi costretti a servire i camerieri che fingevano di essere loro (con spupazzamento delle mogli compreso nel trattamento), le entreneuses a campione che non si facevano sfiorare nemmeno le rotule, i comici deprimenti e violenti, non ci misero molto a mostrare la corda.
Ma quando Francesc mollò un calcio all’altezza della carotide a Donovan, il mio adorato chihuahua, ebbi il colpo di genio: diedi un altro colpo al cagnetto, spedendolo dritto in piscina, e stipulai con quello strano catalano trapiantato a Cuba il patto scellerato che solo adesso, in punto di morte, a Punta del Este, vi svelerò punto per punto (lo ammetto, non voglio rinunciare neanche ora ai calembour, e se faccio in tempo nemmeno alla bourguignon che mi aspetta per cena).
«Cesc, ragazzo, dalle 8,12 di oggi in poi sarai soltanto Xavier Cugat, e tu e Donovan sarete una persona sola. Pago bene».
E Cugat, che chissà, forse per insensibilità forse per il cognome, odiava visceralmente i cani, si convinse.
Finto amore per la razza canina, Caraibi, mogli strafighe, il cinema e roba confezionata con i controcazzi come Siboney Cha Cha fecero il resto.
Ti è piaciuto questo racconto? La copertina? La redazione? Tutti e tre?
essendo che da ragazzo guardavo più la fascinosa Abbe Lane che il marito Xavier Cugat sarei portato a recare omaggi alla signora suddetta, però il racconto mi è piaciuto davvero e mi son messo a Siboneyggiare leggendo, va così…, bravo