di Vargas
Copertina di Moscabianca Edizioni
Ho un amico che ogni tanto si inceppa e ripete esasperato che il media è il messaggio e a forza di percorrere in lungo e in largo lo stesso media, cercando di adattarlo a una miriade i messaggi, mi dimentico che a suo modo è vero, a suo modo no, il grosso delle volte iniziamo ad utilizzare qualcosa che si presterebbe meglio ad altro, che col nostro coltello da burro possiamo trafiggere un occhio a qualcuno e che l’efficacia è una questione di contingenza.
Niente di umano (di qui NdU) è un racconto di Beatrice La Tella, illustrato da Brigitta Bonaldo e pubblicato da Moscabianca. Questo, invece, è un pezzo che è iniziato come una recensione e a metà mi sono accorto sarebbe stato più utile a continuare un discorso.
NdU è un racconto sul lutto e sulla fede come meccanismo metabolico per il reale. Avrebbe potuto essere altro, invece sceglie la cifra del fantastico con le sue chimere misteriose e indifferenti ad osservare un’umanità colpita dall’evidenza di una crisi esistenziale.
Rimuovere gli elementi irreali dalla narrazione di La Tella secondo un principio di economia ci lascerebbe con una storia pressoché invariata. Un uomo muore, qualcuno ne piange la scomparsa e non la accetta, aggrappandosi a qualcosa di oltre: la narrativa base di una vicenda di conversione.
Avremmo avuto anche un racconto abbastanza noioso, già sentito o vissuto: qualcuno muore, qualcuno piange, il cosmo continua a farsi i cazzi suoi. Anche appoggiandosi al melodramma di una tragedia privata non potremmo ignorare gli spazi angusti e la breve eco di una vicenda del genere.
Ma il media è il messaggio, il media è il fantastico che concede al lutto la grazia pietosa di avere l’importanza che riveste nelle nostre teste. Ci trasla a distanza rispetto al consenso del reale, che è la stessa cosa che fanno gli eventi traumatici o trasformativi. Il lutto ci accompagna in un’uncanny valley dove la nostra più alta priorità va a divergere con violenza da quella altrui. Mentre noi riempiamo il vuoto di una coscienza che è venuta a mancare, il resto dell’universo si aspetta che andiamo a fare la spesa, che togliamo il fatberg di vestiti sporchi dalla sedia accanto al letto. Che viviamo la guarigione nello spazio che ci è concesso e non in quello che ci si è aperto sotto i piedi.
Il fantastico nelle narrazioni, invece, è un ottimo strumento per restituire alle storie la dimensione che effettivamente esperiamo, prima che venga razionalizzata per ragioni di sopravvivenza, ancora più in un periodo storico come questo, diviso tra il solipsismo e la necessità di mediare più punti di vista possibile per raggiungere il minimo sembiante di una conclusione utile.
NdU racconta di Nina, a cui muore per complicazioni legate al fumo uno zio a cui è molto legata. Il lutto coincide con una singolarità sovrannaturale (lo Squarcio), a seguito della quale il mondo viene popolato da una pletora di chimere, la cui unica occupazione sembra essere ciondolare intorno a luoghi di significanza spirituale. Non ci sono reali conseguenze per l’umanità, se non il consueto carnet di reazioni di quando spunta fuori qualcosa che non riusciamo a capire: l’esercito cerca di catturare le chimere per studiarle, ottenendo il risultato che normalmente ci si aspetta dai soldati: fallimento e inadeguatezza; intorno alle chimere nascono culti e sette: chi vuole essere salvato, chi utilizzarle come chiave di lettura, chi come risorsa di retro-engineering per ascendere. Agli estremi di questo spettro stanno Nina, che vuole usare le chimere per avere un ultimo contatto con suo zio e Levi, che affetto da cecità precoce in tenera età, viene curato al momento dello Squarcio. L’apparizione delle chimere rappresenta per Nina una speranza, mentre Levi ha già ricevuto dall’apparato misterico la propria concessione. In questo schema, Levi è l’unico a non avere fede: sa e basta. La sua funzione nella vicenda è quella di chi è sazio e dona per gratitudine la propria arte a chi lo ha salvato, ritraendo febbrile ogni chimera che incrocia il suo passaggio.
Il media torna a essere il messaggio nel formato in cui NdU è stato dato alle stampe, aumentandone l’efficacia. Il testo vero e proprio è inframezzato da una serie di riproduzioni anastatiche di documenti raccolti da Nina nella propria ricerca. Preghiere alle chimere, volantini di incontri, stralci annotati di enciclopedie, riferimenti bibliografici e scarabocchi a cui si contrappongono le illustrazioni di Bonaldo che voglio presumere riprendano i disegni di Levi (illustrazioni che infatti perdono in efficacia quando si distaccano dalle architetture desolate da pittura metafisica, ingombrate dai corpi impossibili delle creature). Il racconto avrebbe funzionato lo stesso senza di loro o comunicato le stesse informazioni integrando i documenti nel testo, ma la materialità dei documenti, la componente di immaginazione delle aggiunte, ci immerge ulteriormente nella ricerca ossessiva di Nina e nella sazietà di Levi.
NdU, in sostanza, non si limita a vendere un racconto illustrato. Il testo da solo sarebbe stato una buona novella, scritta con consapevolezza, forse con qualche piccola caduta di ritmo dove indulge troppo su alcuni periodi ed enumerazioni. Invece così, nella ricchezza visiva dei documenti, degli appunti in rosso sugli stralci enciclopedici, nelle illustrazioni (quelle a pagina singola, perché le tavole doppie hanno tutte il focus al centro e aprire abbastanza da gustarle come si deve significa squarciare il dorso di copertina), l’effetto aumenta esponenzialmente. Non è nulla di nuovo, sia chiaro. La Nave di Teseo l’hanno fatta uscire nel 2014 e frugando un poco sono sicuro troveremmo caterve di esempi in cui un testo viene integrato con efficacia, invece di appiccicarci un paio di tavole qua e là.
L’utilità e l’interesse in un’operazione del genere, oltre al leggersi un bel librino, è altresì di rammentarci l’inestimabile ricchezza del dispensabile aggiunto per sottolineare l’impatto di narrative che altrimenti sbiadirebbero nel logorio dell’abitudine e ci regalano un mondo dove un uomo muore, qualcuno lo piange e nel suo modo incomprensibile, il mondo lo piange con noi.
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