di Elena Cirioni
Copertina di Susan Orlok x Midjourney
In guerra un soldato può non lavarsi per giorni, mesi e portare gli stessi vestiti anche per un anno. Può avere i pidocchi, le piattole, le croste sotto le ascelle o tra le gambe, ma i piedi di un soldato in guerra devono essere sempre puliti. Tutto inizia da lì. Sono i piedi che ti porteranno dall’altra parte della collina, sono loro che ti sosteranno durante una corsa e che ti faranno stare in piedi dopo un salto. Anja lo sa. È stato suo fratello Adria a spiegarle come lavarsi i piedi, asciugarli bene e fasciarli.
Anja esce fuori dal rifugio, il cielo è grigio, l’aria sa di polvere e pioggia. Il giorno prima ha piovuto, prende il catino con l’acqua e rientra. Guarda, la branda, la coperta, l’elmetto e la tracolla.
In guerra un soldato deve avere cura delle sue cose.
Anja si siede sulla brandina, slaccia gli scarponi e si toglie le calze, rivede la pelle bianca sul pavimento grezzo e gelato. Immerge i piedi nel catino, l’acqua è fredda, poco pulita.
Ripensa a quando faceva il bagnetto a Kosta, il fratello più piccolo. Piangeva sempre perché l’acqua era troppo fredda o troppo calda o perché il sapone gli andava negli occhi. Anja gli cantava una canzone, gli dava un pupazzo, quello a forma di coniglio, il suo preferito, così stava fermo e poteva insaponargli i capelli ricci e biondi. Kosta aveva tanti capelli e già a sei mesi si vedeva che era un bambino robusto, con i piedi lunghi e forti.
Anja di colpo, si rende conto di come sono fragili i suoi piedi. Li vede piccoli e bianchi, la caviglia sottile, le dita minuscole; la faranno cadere, inciampare e allora non avrà scampo. Con una spugna scura e un pezzo di sapone li strofina forte, passa più volte in mezzo alle dita, dietro la caviglia.
Insapona per bene come faceva con Kosta. Si divertiva a fargli in testa una cresta con la schiuma, Kosta continuava a giocare con il suo pupazzo, ignaro, sembrava un gallo. Anja rideva, la mamma la sgridava, ma Konsta faceva talmente ridere che anche lei non poteva restare seria.
Ora Anja, non può pensare a questo. Deve concentrarsi. C’è un passaggio fondamentale: asciugare bene i piedi. In guerra un soldato deve avere sempre i piedi asciutti.
La piccola ferita sull’alluce destro è quasi guarita, il pus è sparito e non sente dolore. Strofina a lungo tutte le dita con uno straccio scuro, poi si rinfila le calze. Prende uno scarpone e sente se la carta sulla punta si è consumata, per farseli andare bene deve riempirli con cartone e fogli di giornale. Allenta i lacci e se li infila, vanno bene. Lentamente stringe le stringhe, questa è la parte più importante, da fare con molta cura, perché se un laccio salta durante una corsa o una marcia, è la fine. I piedi, gli scarponi ben allacciati sono l’unico sostegno che un soldato ha in guerra. Adria lo diceva sempre.
Da giorni gli altri compagni evitano di guardarsi, parlano piano con gli occhi bassi, non cantano più la sera attorno al fuoco come facevano prima con Adria. Anche se era pericoloso accedevano il fuoco con quello che c’era e giù a cantare. Un soldato deve sapere tutte le canzoni di guerra. Anja accucciata accanto al fratello le cantava nella sua testa, solo una volta lo aveva fatto veramente, quando Luka le aveva passato la bottiglia di grappa, prima aveva guardato Adria che detto:
«Certo, anche lei adesso è un soldato.»
Anja aveva fatto finta di bere perché solo l’odore di quella grappa le dava la nausea, ma ora che era un soldato non poteva dire di no. In guerra un soldato deve bere.
Quando andava a scuola e la maestra domandava alla classe, cosa volete fare da grandi, tutti i maschi rispondevano: il soldato. Le femmine: l’infermiera, l’insegnante, la ballerina. Lei non lo sapeva, ma per comodità rispondeva una di queste cose. Ora Anja non è grande, ma è un soldato. Lo pensa specchiandosi nel vetro rotto della finestra; il corpo mingherlino è coperto dai pantaloni militari scuri e dalla maglia nera di Adria. Guarda a terra, verso i piedi, con gli scarponi ora sono al sicuro, più forti. La maglia di Adria ha un buco sempre più grande, ora non ha tempo, ma deve ricucirlo al più presto. In guerra un soldato non ha mai abbastanza tempo. Prende la tracolla, l’elmetto e con passi grandi e lenti si avvia verso l’uscita. Si passa una mano sul collo per toccare una collana fatta di spago.
È il suo amuleto. In guerra un soldato deve avere un portafortuna sempre con sé.
Sull’uscio del rifugio Anja incontra Luka che le da’ un buffetto sulla testa e ride, fuori c’è Goran, lo raggiunge.
«Vedi laggiù»
Le passa un binocolo, ma Anja è troppo bassa e non riesce a vedere niente, allora la prende in braccio, se la metta a cavalcioni sulle spalle, come faceva Adria quando giocavano d’estate al lago. Anja avvicina il binocolo agli occhi.
«Li vedi?»
Annuisce.
Sull’orizzonte dopo il muro, c’è la carcassa ancora fumante di una jeep. Stanotte è saltata su una mina.
«Quanti ne vedi?»
Anja mette a fuoco, centra il binocolo sulla gip, vede un corpo accanto alla macchina e un altro dentro.
«Due»
Risponde.
«Te la senti?»
Annuisce, mentre guarda la testa di Goran, sulla fronte ha la cicatrice che gli ha fatto Adria, qualche giorno prima.
Una notte che era di guardia e l’aveva lasciata a dormire sulla branda, Goran era entrato nella stanza, le si era sdraiato vicino, puzzava forte di alcol e canticchiava una canzone. S’era slacciato i pantaloni le aveva preso una mano e le aveva detto.
«Prendilo».
Anja aveva ubbidito senza dire niente.
«Muovilo su e giù».
Sentiva che quella cosa molle diventava più dura e grande. Poi era arrivato Adria, aveva preso Goran per un braccio e l’aveva buttato per terra.
«Che cazzo fai è mia sorella, ha undici anni!»
«Meglio io che uno di quei porci».
Adria gli aveva dato un cazzotto sulla testa e Goran era caduto a terra come se un cecchino gli avesse sparato. Poi c’erano stati degli spari, qualcuno aveva gridato e fino all’alba erano rimasti tutti e due di guardia.
La mattina dopo Adria le aveva parlato, serio con lo stesso tono di quando le aveva detto che i genitori erano morti e che la loro casa non esisteva più.
«Goran era ubriaco ieri sera, non voleva farti niente».
Anja annuiva senza guardarlo.
«Ma tu non ti devi far toccare più. Hai capito?»
Adria stava davanti a lei.
«Non ti devi fare toccare da nessuno».
Ripeteva. Poi l’aveva abbracciata e si era messo a piangere. Anja non aveva mai visto il fratello piangere nemmeno davanti ai corpi dei genitori, nemmeno quando avevano seppellito Konsta nel giardino, insieme al suo pupazzo a forma di coniglio. Gli altri li avevano lasciati dove stavano, non c’era tempo per seppellirli. Ci avrebbe pensato qualcun altro.
Anja, scende dalle spalle di Goran, sa di sudore e cipolla. Non sopporta il suo odore, la pelle unta, le mani grandi e gli occhi neri.
«Luka è ubriaco».
Dice mettendosi l’elmetto senza guardarlo, Goran si gira verso il rifugio, dove Luka sta di guardia.
«Adesso vado là io».
La fissa con l’elmetto, imbacuccata nei vestiti da uomo, molto più grandi di lei, sembra uno spaventa passeri.
«Occhio là fuori».
Anja annuisce, si volta e inizia a camminare verso il muro.
Tocca di nuovo il suo amuleto. Quello di Adria era la foto di una donna nuda. Ride. In guerra un soldato deve ridere.
La terra si fa sempre più molle e umida, camminare è faticoso. Il fango si attacca sotto gli scarponi e li rende sempre più pesanti, ogni tanto deve fermarsi, pulirli e ripartire. Vicino al muro, quando sarà sotto il tiro dei cecchini non potrà più farlo. Tocca per l’ultima volta il suo amuleto. Sulla corda di spago della collana ha attaccato un ricciolo dei capelli di Kosta. È riuscita a strapparlo prima di seppellirlo. L’hanno riconosciuto solo per i capelli biondi, il resto del corpo era tutto nero, rigido sembrava una bambola bruciata. La buca l’aveva scavata Adria.
Anja striscia per terra come fanno i gatti, così riesce a non farsi vedere dai cecchini.
Adria le ha insegnato anche questo.
Prima della guerra quando vivevano a casa con i genitori, non la prendeva mai in considerazione, la picchiava e basta o le faceva scherzi terribili, come quella volta che le mise una lucertola morta dentro il letto e la mamma lo riconcorse con la scopa.
Mentre a carponi s’avvicina al muro, Anja ride ripensando a quella scena. Ma adesso deve restare seria, da lontano si vedono brillare le canne dei fucili dei cecchini. Una volta raggiunto il muro, punta gli scarponi sui mattoni e sale. Adria faceva a gara per scavalcare il muro del giardino con gli amici, era sempre il più bravo riusciva a farlo quasi con un salto. Ci aveva provato a insegnarle a farlo, ma non c’era stato niente da fare, era ancora troppo bassa.
«Quando sarai grande, ce la farai».
Aveva detto.
Una cosa simile le aveva detto Goran, la notte prima quando s’era infilato di nuovo nella sua branda con i pantaloni abbassati e le aveva messo una mano in mezzo alle cosce.
«Quando sarai grande ti piacerà».
Non deve pensare a questo. Arriva in cima al muro, scavalca veloce dall’altra parte, punta i piedi e si lascia cadere. Meglio non restare troppo tempo su, meglio lasciarsi andare nel fango. Cade male stavolta, sulla spalla sinistra, per un attimo teme d’esserla rotta, poi il dolore passa, non è niente. Ma la maglia di Adria si è rotta. Guarda la manica sdrucita, i fili di lana tranciati in due, forse riuscirà a risistemarla.
Adria è morto due settimane prima, durante una ricognizione più a sud. Goran ha preso i suoi scarponi, Luka la borraccia, a lei è rimasta la maglia e la tracolla. L’amuleto della donna nuda non è servito a proteggerlo.
L’hanno sepolto in una buca, di notte. I morti in guerra si devono seppellire al buio, perché è più sicuro. Goran le ha dato una cartina dove ha disegnato un cerchio, lì sta Adria. Così una volta finita la guerra potrà tornare a trovarlo. Avevano finito i sacchi neri per mettere i corpi, l’hanno seppellito dentro una coperta di lana marrone. Non l’hanno fatto vedere ad Anja, anche se lei è abituata a vedere i morti, ha visto solo i piedi di Adria sbucare dalla coperta, erano grigi. Dalla parte della testa c’era una macchia di sangue nero, Goran dice che è stata una granata, e che secondo lui non ha sofferto. Anja, continua a chiedersi, come farà adesso Adria senza scarponi.
La notte dopo la sepoltura, nessuno aveva voglia di parlare, Luka aveva insistito per fare un brindisi ad Adria, hanno bevuto tutti passandosi la bottiglia di grappa. Quella volta Anja mandò giù un’intera sorsata, non si ricordava di aver pianto.
«È bello morire da soldato in guerra».
Le disse Goran.
«Adria è morto da valoroso».
Anja, restò rannicchiata nella branda con il sapore cattivo nella grappa in bocca.
Ora sente bombe lontane, rumori abituali, familiari come il battito del suo cuore, si rialza dal fango e si guarda intorno.
Striscia sulla terra e si augura che Adria sia morto senza soffrire e che ora sia con la madre, il padre e Kosta. Anche lei vorrebbe essere con loro, d’un tratto le viene voglia di alzarsi e farsi sparare dai cecchini. Un colpo secco in testa e sarebbero di nuovo tutti insieme, per sempre lontana, da quel posto, dalla guerra, dalle mine, dai cecchini, dalle mani di Goran.
Anja, s’aggrappa alla terra per non alzarsi, continua a strisciare, arriva fino alla gip. L’aria è ferma, esce un po’ di fumo dalla carcassa della macchina. Il primo corpo lo trova subito, quello disteso per terra. È intatto, gli da’ un calcio, un altro ancora. Non si muove.
Il primo cadavere l’aveva visto all’inizio della guerra. Tornava a casa con suo padre, avevano svoltato l’angolo e si erano trovati davanti il corpo d’uomo con un cappotto nero e una busta di plastica ancora stretta in mano. Anja prima aveva sentito tremare le gambe, dopo, come una stretta forte allo stomaco. Aveva vomitato, poi con il padre erano corsi verso casa. Ora i morti non le mettono più paura, i vivi la terrorizzano.
Deve fare in fretta, mette le mani nelle tasche della giacca del morto, fruga e trova un portafoglio scuro con la medaglietta di un Santo e una fotografia di una donna, dietro una scritta in una lingua sconosciuta. Era il suo amuleto, anche questo come quello di Adria non è servito. Il morto è di spalle, sforzandosi lo gira e lo guarda in faccia.
Ha i capelli neri, gli occhi all’indietro e la bocca aperta, assomiglia un po’ a Luka se non fosse per la divisa più chiara sarebbe proprio uguale a uno di loro. S’accorge che ha i pantaloni strappati, per un attimo si ritrae, poi guarda in silenzio. È la prima volta che Anja vede un uomo nudo. Il pene è simile a un verme grosso sotto un mucchio di peli neri, deve essere così anche quello di Goran, pensa.
Uno sparo fende l’aria. Non ha più tempo, deve andare. Sfila un binocolo dal collo del morto, mette nella casacca tutte le altre cose e inizia a strisciare verso il muro. Un altro colpo, un altro ancora, questa volta vicino a lei. L’hanno scoperta, deve andare più veloce. Uno sparo viene dal rifugio, sono i suoi, Goran o Luke. È quasi arrivata al muro, sente le grida di Goran, il fucile di Luke che s’inceppa, una bestemmia. Ora deve salire veloce, come faceva Adria, punta i piedi sul muro, sale, è in cima, una grossa onda calda la raggiunge, la spinge nell’aria come una palla. Cade per terra e rimane ferma nel buio.
«Anja, svelta corri!»
Per un attimo vede Adria sopra di lei e crede di essere morta, poi riconosce Goran, la prende per un braccio e iniziano a correre verso il rifugio.
Le fa un po’ male la spalla, un ginocchio, ma è viva, anche Goran sta bene. Luka invece è morto, la granata non gli ha dato scampo. Non hanno tempo per seppellirlo come hanno fatto con Adria, lo lasciano lì, sotto ai mattoni del muro, quella è la sua tomba.
Nel rifugio sono arrivate altre persone, tutti uomini. Caricano armi e altri sacchi su un camion.
Anja si chiede che farà adesso. Seguirà Goran. Dicono che bisogna lasciare il paese, andare via. Tutto è perduto.
In guerra un soldato quando tutto è perduto deve lasciare ogni cosa.
I suoi, Adria, Kosta, Luka, il morto che aveva visto quel giorno con suo padre, tutti i corpi che aveva toccato e spogliato compreso l’ultimo, nudo. Tutti morti per niente.
Goran la prende in braccio e la mette su un camion. Anja non sa dove andrà, si guarda i piedi infangati la spalla le fa male.
L’uomo che guida il camion ha due baffi scuri.
«Quando sarai grande racconterai tutto ai tuoi figli».
Ride e ha i denti neri, le mette una mano su una coscia.
Anja resta in silenzio, guarda la strada dritta davanti a sé, tocca la collana di spago, sfiora con le dita il ricciolo di capelli di Kosta, pensa che in guerra i soldati non diventano mai grandi.
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