di Vargas
Copertina di repertorio
Ho visto a un bar un liberale e un fascio, ma non eran due.
Gulag II, P38
Ieri è entrato in atto il decreto simpaticamente battezzato “anti-rave”, che per dover di cronaca contiene anche integrazioni riguardanti l’ergastolo ostativo, una roba che, anche non inasprita, definirla incostituzionale e disumana sarebbe un garbato eufemismo.
Ve lo potete spulciare in Gazzetta Ufficiale, anche se grazie al consueto gioco di rimandi l’operazione riuscirà molto più agevole a chi ha dimestichezza coi libri game.
Il sunto della questione è che il reato di occupazione di suolo privato, che già esisteva e la cui ratio è sostanzialmente “il pallone è mio e decido io”, guadagna una variante di natura associativa con pene inasprite.
La norma trae le proprie origini concettuali da quel cibo per tarli del decreto sicurezza Salvini, che a sua volta fa lo stesso col TULPS, una legge fascista (letteralmente) che nonostante la manifesta incostituzionalità ancora non abbiamo abrogato, perché per i parlamentari lavorare è cacament’ ‘e cazz’ e sia mai ci volessimo privare di scuse comode per far manganellare due poveri cristi quando non c’è niente di carino in TV.
Il senso di tutte queste leggi è più o meno che su suolo privato, pubblico, semiprivato e piano astrale non sta bene rompere le palle. Ci sono modi più efficaci di protestare. Tipo non farlo.
Quanto al decreto in questione, chi organizza o promuove occupazioni di suolo privato giudicate pericolose per salute e sicurezza pubblica o per il decoro cittadino rischia multe abbastanza consistenti, nonché il gabbio fino a sei anni. Se gli assembramenti contano almeno 50 persone (calcolabili tramite i comodi carnet di biglietti staccati a ogni rispettabile raduno illegale), le guardie possono procedere senza che ci sia denuncia. La partecipazione è comunque punita, benché con pene minori.
Minori come? Ah, va a sapé.
Unicamente per la sorpresa di Pikachu, i free party (o rave, che dir si voglia) non sono menzionati da nessuna parte nel decreto. Chi cerca di regolarli, del resto, non ha la più pallida idea di cosa siano e che interesse avrebbe di informarsi?
Il punto non sono mai stati i free party, che per la cronaca esistono da sempre nelle zone grigie di ogni ordinamento. Non è nemmeno il rispetto della legge, perché a voler essere puntigliosi, con questo decreto non vale la pena nemmeno incartare il pesce: manca il principio d’emergenza per l’emanazione (i Rave esistono da decenni e hanno sempre fatto molti meno danni di un comizio alla Sapienza); l’ergastolo ostativo va contro il principio di riabilitazione carcerario; i provvedimenti anti-rave violano il diritto di riunione della popolazione, non sono formulati con abbastanza precisione e soprattutto vanno a sbattere contro il principio di tassatività delle norme penali.
Quest’ultimo è abbastanza un problema. La nostra Costituzione, in soldoni, ci tiene a specificare che mandare la gente al gabbio alla cazzo di cane non sta bene e quindi le norme che comminano la reclusione devono essere estremamente precise: allo stato corrente della formulazione una gita scolastica particolarmente facinorosa potrebbe essere processata d’ufficio senza battere ciglio.
E hai voglia il Viminale che ci assicura che davvero, non verrà penalizzato il diritto di manifestare.
“Acquarò, l’acqua è fresca?” verrebbe da rispondere a questi amabili cialtroni.
La lunga storia di condanne farsa per il movimento NO-TAV le sorveglianze speciali comminate sulla base di una quarta di copertina, denotano un curriculum impeccabile a riguardo e se pure fosse vero, a che servirebbe mandare tutta questa gente al gabbio quando la si può far comodamente zampognare dai celerini?
La parte più divertente dell’intera operazione, è la millantata intenzione di scongiurare il rischio di contagi COVID da parte dello stesso esecutivo che sta estirpando tutte le norme precauzionali a riguardo con un olio di gomito che ha quasi del commovente.
A questo punto il primo che addita le “colpe della sinistra” si acchiappa le pernacchie: ad avercela avuta di recente una sinistra al governo in Italia.
Questo argomento è come un micelio. Può andare avanti all’infinito e in infinite direzioni perché si aggancia a una questione sistemica che è sempre più difficile ignorare, ma uno dei gangli del micelio risulta particolarmente importante.
Questo non è un provvedimento fascista.
È securitario, bigotto, controproducente, ma non è fascista. O meglio, il fascismo è il dito e il problema è la Luna.
Perché checché se ne dica, le file dei simp del dVcie operavano quantomeno su un principio sovversivo (che poi lo stesso fascismo non ha rispettato per ovvie ragioni di inconsistenza e pusillanimità).
L’attuale presidente he/him invece, di sovversivo ha solo una mano di vernice stesa male. Il fascismo del nuovo governo è una pallina di feci secche ben infilzato su un rametto e il rametto sta in mano alle “brave persone”: quelle che il rumore da fastidio; che tutto si deve fare con educazione perché il tone policing è deresponsabilizzante per chi a conti fatti non combina nulla di utile; che chiudiamo tutti i bar ai giovani perché i ricchi fanno festa meglio e se gli lasciamo campo libero magari ci prendono tra i loro; che i drogati sono cattivi a prescindere, perché non sappiamo chi sono, altrimenti sai che matte sorprese signora mia.
Gente, in sostanza, che vuole stare tranquilla, perché sente che il problema non è il suo.
Purtroppo, come si è elaborato sopra, leggi come questa operano su un principio di diversivo. Vengono emanate facendo leva su temi di facile indignazione (figlia di una completa ignoranza sull’argomento) per poi essere applicate in maniera strumentale, come per la recente condanna a Marta Collot di Potere al Popolo, proprio per fattispecie contenute nel decreto Salvini e, guarda caso, sempre per una manifestazione. E i problemi non si fermano qui.
La salvaguardia del presidente della repubblica ce la siamo già giocata, quindi rimangono due possibilità: la mancata conversione del decreto da parte delle camere (entro 60 giorni) o la dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale (con tempi non conciliabili con la vita umana). In entrambi i casi le norme contenute nel decreto smetterebbero di aver effetto a partire dal primo giorno d’attuazione, con relativi risarcimenti a tutti gli eventuali condannati, che non verranno certamente elargiti dalle securitarie tasche di Piantedosi.
Che questo decreto rimanga o sparisca, insomma, a vincere è solo il crimine e a pagare sempre le vittime.
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