di Benedetta Marinelli
Copertina di Andrea Campolucci
«Che ti si chiavi un fulmine!»
Nonnocarlo è incazzatissimo.
Sarà stato il decimo giorno in casa di riposo, quindi il decimo giorno sotto il rigido protocollo farmaceutico, quindi il decimo giorno in crisi d’astinenza. Nonnocarlo non pensa durerà ancora a lungo di questo passo: è palesemente una tattica di quei figli di puttana dei suoi figli per liberarsi di lui: mandarlo all’ospizio con la scusa della demenza senile e lasciarlo morire. Manco lasciasse chissà quale eredità. Nonnocarlo accompagna torvo le chiappe della OSS che, strafottenti, escono fuori dalla stanza. Indugiano sulla porta e con quel loro odioso accento extracomunitario se ne escono con
«Solo la cardio aspirina di sera, Nonnocarlo».
«Io non dormo senza Contramal».
«Non ti possiamo dare un oppioide senza dolori forti!»
«Allora un Oki, un Moment, un Brufen…»
«No!»
«Un gingerino? Per il mal di gola».
Il giorno dopo, Nonnocarlo sorseggia la sua bibita gassata nella sala comune facendo attenzione a succhiare dalla cannuccia nel modo più rumoroso possibile. Tanto figurati se Giovanni, accanto a lui, può mai lamentarsi: quello sa solo sbavare, quel vecchio di merda come tutti. Le infermiere sono indaffarate a pulire chi una cacca di qua, chi una sputazza di là, mai nessuna che gli chieda se ha bisogno di qualcosa, eh certo, lui è l’unico vecchio non di merda lì dentro, menomale se non lo fanno anche di lavorare. Finisce il suo gingerino e senza troppi scrupoli toglie dalle mani di Giovanni il succo di frutta che aveva per merenda, il quale si limita a emettere versi gutturali.
Nonnocarlo tracanna il cartoncino all’ace con gli occhi chiusi: con un po’ di sforzo immagina sia Biochetasi, oh sì, gli sembra di risentire il profumo aranciato della nuvoletta di polvere che si alza quando si apre la bustina, il rumore dei granuli che cadono nel bicchiere e infine il “frizz” effervescente al contatto con l’acqua. Sua moglie che gira il composto con il manico della forchetta, sodio e potassio citrati che scendono nelle viscere a fare spazio al dolce della domenica. Quella sì che era vita: il dottor Lenza che prescriveva senza fare storie, il governo che pagava e sua moglie che faceva fare frizz a ogni bustina che le chiedeva. Quanti brindisi che hanno fatto con l’Acetilcisteina, quante sere hanno scaldato con il Tachifludec, che benessere che dava uno Zimox prima di andare a letto.
«Nonnocarlo ci sono visite per te!»
I figli lo aspettano, molli, sul divano della struttura.
«Come stai, papà?»
«Come ‘sto cazzo!»
«Le infermiere ci hanno detto che non collabori, c’è qualche problema?»
«Lo sapete quante medicine prendevo al giorno, prima?»
I coglioni si guardano basiti.
«Sei?» Azzarda uno.
«Diciassette! Chiedetelo a vostra madre, vedrete che si ricorda pure l’ordine. Invece qua lo sapete quanti farmaci mi danno?»
Gli sguardi si abbassano, silenzio.
«Tre! Quello per il diabete, quello per la pressione e quella cacata di cardioaspirina!»
«Evidentemente non ti servivano tutti gli altri».
«Chiedetelo a vostra madre, ce li ha catalogati tutti nello sgabuzzino. A proposito, dov’è, perché non mi viene mai a trovare, ha un altro uomo?»
I due figli, improvvisamente brizzolati, lo guardano sfiatati, uno si asciuga gli occhi, l’altro, il primogenito, dice
«Papà, mamma è morta cinque anni fa, non ti ricordi?»
«Ma siete tutti pazzi? Perché non mi avete detto niente? Com’è morta, che è successo?»
Nonnocarlo urla sbattendo la sedia per terra. Due uomini dai capelli sale e pepe provano a fermarlo, saranno rumeni come le altre, pure il vestito c’hanno, che vogliono, che cazzo vogliono?
Quando riapre gli occhi, è a letto. Oh sì, pensa, questo sì che è un ansiolitico decente. Rintronato dagli effetti del Valium che le infermiere gli hanno iniettato dopo la crisi di nervi, Nonnocarlo, tenta di riprendere possesso di sé. Si guarda un po’ intorno, hanno lasciato le tende aperte: il cielo è grigino, uniforme, manca poco ai primi fiocchi di neve dell’anno. Si alza pian piano, inforca con i piedi le sue ciabatte, la vestaglia pesante e si dirige in salotto, dove lo attende il caminetto acceso. Sente scartabellare dallo sgabuzzino.
«Amoremio, che fai là dentro?»
«Non ritrovo le aspirine, aspetta, eccole qua!»
Amoremio zampetta in salotto nel tailleur rosa che aveva indossato come abito da sposa.
«Non lo facciamo un brindisino?» Gli chiede ammiccante.
Stappa la confezione di Vivin C, prende due pasticche e fa fare loro frizz nei calici di cristallo del matrimonio, poi, cerbiatta, esce sul terrazzo. Nonnocarlo la segue, con i calici in mano, felice.
«Amoremio, così prendiamo freddo».
«E che fa, siamo pieni di Tachipirine!»
Brindano, si baciano e intanto le pasticche si consumano, si baciano e intanto dal cielo comincia a nevicare Aulin. Così, imbiancata di nimesulide, Amoremio sorride e scompare in un frizz.
Ti è piaciuto questo racconto? La copertina? La redazione? Tutti e tre?
Io vivrei di “ansioten” e tachipirine e sono oss.. sempre dalla parte dei Nonnocarlo.
Bellissimo racconto: vero,crudo..e tenero 🥺❤️
Ironico e dolcemente triste . Brava … come sempre !!!
Duro e tenero…la verità nascosta degli ossimori…brava Bitta
Riesce sempre a stupirmi l’originalità dei tuoi temi e la tua capacità di costruire un racconto anche intorno ad una storia normale. E mi piace tanto la leggerezza di parole con la quale racconti sentimenti ed emozioni…..
Sei brava! ma mi sembrava averlo già detto.