di Alessio Barettini
Copertina di buccia
Dovendo fare i lavori in casa, discutevamo, io e Valentina, di cosa modificare in termini di mobilia. Lei sosteneva che ci servisse un’altra libreria, dato che molti dei libri che avevamo erano accatastati male in camera, come parcheggiati in doppia fila, mentre altri erano rimasti da tempo in garage, negli scatoloni o su vecchi scaffali insieme a tanta polvere e ad altri oggetti inutilizzati. Ok, pensavo, bene l’idea, ma non era l’unica cosa su cui focalizzarci, quindi io avrei aspettato e valutato altri sviluppi. Insomma tira e molla, molla e tira decidiamo di andare a sentire le proposte da un mobilificio in città. Non si capisce perché, ma scegliamo quello che sta dall’altra parte di dove siamo noi. Perché non uno più vicino? Così, ci fidiamo delle permute che offre, pensiamo di toglierci qualche pezzo che pur funzionerebbe ancora. Così, pensiamo, magari usciremo da lì senza quello che ci ingombra e con una libreria nuova e magari con un paio di scrivanie per farci uno studio, il tutto restando dentro cifre decenti. Bene, andiamo a vedere.
Parcheggio l’auto a due passi dal negozio proprio quando incomincia un bel temporale di fine estate. Il che va bene, mi dico, l’inizio della pioggia mi è sempre piaciuto, tanto più se ci si mette in salvo dal fradiciume giusto in tempo. Entriamo e dopo circa un minuto arriva la persona con cui avevamo preso accordi. Si chiama Gabriele ed è completamente diverso da quello che avevo immaginato al telefono. Dai messaggi mi era sembrato, chissà perché, un tipo magrolino, magari con un filo di muscoli, di mezza età o anche qualcosa di meno, bruno, capello corto e senza barba. Invece questo coincide solo per l’età alla figura che avevo immaginato. Si manifesta un uomo mediamente basso, se si vuole dire così di un’altezza inferiore di poco al metro e settanta. Poi Gabriele è grassoccio, decisamente sovrappeso. Ha la barbetta tenuta frizzante, di pochi giorni, cosa che un po’ stona e un po’ stempera il viso tondo, da maialino da latte. Pochi capelli, una polo arancione e un sorriso che assomiglia a un ghigno. Dopo pochi convenevoli in cui rispieghiamo quello che stiamo cercando, anche se lui lo sapeva già, Gabriele inizia a sfoggiare il suo campionario di comportamenti da venditore che concorre al premio di “impiegato dell’anno” e ci dice che ci sono librerie di tutti i tipi, anche da 10.000 euro.
Ecco, siamo entrati nel mobilificio da pochi istanti. Siamo solo io, lui, Valentina e un’altra donna, una signora che sta facendo avanti e indietro dalla sua scrivania a chissà dove. Il luogo è come tanti altri. Noi anche.
«Signora, sto scherzando, non vi faccio spendere 10000 euro», dice Gabriele con una risata che sa di origini umili e patti mai confessati. «Però venite, per capirci voglio lo stesso farvi vedere di cosa sto parlando».
Adesso stiamo scendendo al piano di sotto, abbiamo attraversato una porta piccola, bassa, le scale strette e chiuse, uno di quei passaggi che nei film americani introducono nelle cantine e che quindi mi fa subito pensare a un cadavere nel sotterraneo.
«La signora si è spaventata», dice girandosi mentre stiamo scendendo, e non si capisce se lo dica per quello o per la cifra sparata. Io sono dell’idea che stiamo scendendo senza altro motivo che quello di farci vedere che nel suo negozio esiste un altro piano, un segno inequivocabile di prestigio e di serietà professionale, a quanto pare. Inoltre deve fare decisamente del moto, Gabriele. Vediamo ‘sti scaffali da 10000 euro e risaliamo. Lui è senza fiatone, cosa che deve sembrargli un risultato significativo, perché sorride, e continua a parlare come a voler dimostrare che ce la sta facendo, a non invecchiare.
Adesso siamo di nuovo su, ci stiamo per sedere alla sua scrivania, dove entreremo nel dettaglio di quel che vogliamo.
«Vede…» dice indicando il mobiile vicino alla scrivania un attimo prima di accomodarci «… quella che vedete qui è quella che vi propongo. È molto meno cara dell’altra, ma guardate com’è solida, la usiamo anche noi!» dice, mentre io mi siedo pensando perché mai un mobilificio non dovrebbe usare i mobili che vende se gli servono, ma passo oltre e ci sediamo. Gabriele adesso è davanti a noi, alla stessa altezza. Mi conferma le impressioni che ho avuto all’ingresso. Mi metto a sfogliare un catalogo che si trova sulla sua scrivania mentre Valentina gli invia le foto dei mobili di cui dovremmo liberarci.
«Quindi state chiedendo 600 euro per questo», dice riferendosi ai quei pezzi.
«Sì, ma vorremmo una valutazione – faccio io – se valesse di più non vorremmo disfarcene perdendoci. Per correttezza».
«Lo sa che certi mi chiedono 2000 euro per delle ciofeche?» dice girando la testa altrove come per chiudere il discorso. Questo pezzo di essere umano mancato, penso, che mi dice che altre persone ci provano a tirare su il prezzo, non ha capito che io non sono altre persone, quindi invece di farmi una cazzo di valutazione come si deve cambia discorso e tira dritto. Iniziamo male.
«Sì, appunto, io no, quindi considerando che questa è pure tenuta bene veda un attimo, o ci toglie qualcosa di là». Non mollo.
Mi risponde insistendo nello stesso modo. Quindi si mette a trafficare col pc. Ha un software con cui compone immediatamente la fisionomia finale del dopo-acquisto impostando le misure della stanza e le forme dei mobili che l’acquirente vuole. Molto accattivante. In sostanza si appoggia all’immaginazione del cliente, ne ruba i desideri e glieli rivende. Ineccepibile.
Valentina parla con lui mentre io resto a guardare. Stanno parlando di quanti vani mettere in quella libreria, il numero degli scomparti, se aggiungere un paio di stipi chiusi. Guardiamo il colore e concordiamo di volere un laminato, meno caro, e chiaro, perché la stanza ha poche fonti di luce. Bene. Adesso la matrice virtuale è quasi pronta. Nella stanza disegnata adesso ci sono una libreria lunga un paio di metri, alta fino al soffitto, e due scrivanie.
Vedendo la composizione arrivare a formarsi sto notando che Gabriele è sempre più infervorato. Ha già detto frasi come “Questi sono mobili di qualità” “Io le faccio un gran favore” o “Non rimarrete delusi” più volte, in vari modi. Li sta ripetendo sempre più spesso e velocemente. Sta cambiando colore alle superfici, figo quel software, ma continua a esprimersi nello stesso modo, anzi adesso mescola le parole delle frasi, come se si stesse confondendo mentre recita la sua parte. Così ora è: “Le faccio delusioni di qualità” o “Vi favorisco nella rimanenza dei mobili”.
Io e Valentina ci guardiamo esterrefatti, ma lui sembra non essersi accorto di nulla.
Adesso Gabriele si è fermato e ci guarda. Ha uno strano sguardo famelico.
«Quanto, tutto?» gli chiedo come se si mettesse una monetina in un juke-box che ha appena smesso di suonare.
«Quello che possiamo, ma vedrà, non molto», risponde meccanicamente.
«Lo spero, io non ho molti soldi da spendere».
Poi fa una battuta insieme a una risata dai suoni poco incoraggianti che gli deforma il volto di lato. La battuta è “Siete seduti?”.
Allora, no, non fa ridere, caro Gabriele, prima di tutto perché siamo seduti da mezzora a sentirti sproloquiare, secondo perché se vuoi far ridere devi aggiornare il repertorio, quella battuta sa di vecchio a dir poco. Inoltre, se proprio vuoi sentirlo, il cliente lo devi pure un po’ coccolare, magari offrici un caffé, prima, non trattarlo come il risultato degli esperimenti tuoi e dei tuoi fornitori di mobili d’oro. Infatti il panda (a voler essere teneri puoi sembrare un panda, caro Gabriele), si risponde da solo, “sì, siete seduti” e fa partire il calcolo al pc.
In questi attimi, però, Gabriele, già deformato in volto, ha iniziato a pulsare. Il viso, prima di tutto, e certe vene del collo. Pulsa come se dovesse esplodere e in effetti un pezzo di pelle si è già staccato. Il suo riso è dominante, non c’è dubbio, e a ben guardare la sua metamorfosi va oltre, si sta ingrandendo Gabriele, poco all’inizio, eppure è visibile, è già più alto, ora.
Intanto il pc ha dato il responso. Stiamo parlando di 4.800 euro, a cui però togliendo le 600 di sopra, finiamo, secondo lui, per lasciargli 4.200 euro per una libreria e due tavoli. Follia. Ikea aspettami, penso.
«È tanto», Dico io.
«Ma vi portate via una libreria grande e due scrivanie».
«È tanto».
«Ma lo sa che con la crisi tutto è aumentato enormemente».
«Tutto, sì, ma non è che posso pagargliela io, la crisi».
«Se togliessimo una fila alla libreria?» fa Valentina, più diplomatica.
«Pure due», faccio io.
Nessun problema, risponde Gabriele che ormai è già un cinque centimetri più alto e largo, tre pezzi di carne si sono staccati quasi del tutto, due dal collo e uno è sul volto che penzola, e poi il viso, che è diventato più acceso, non un laminato, senza dubbio. Ci fa vedere l’immagine di una libreria altissima e strettissima. Sempre tanto resta, ovvio, parliamo di circa 3.000 euro per una libreria monca e due tavoli.
«È sempre tanto, dico, pensiamoci su poi ci facciamo risentire.»
«Nooohoho, è un’occasione d’oro, stupenda, delusi, mobili, attacchi, buchi, forinutreehhhheheheh…..» vomita lui.
Ormai Gabriele è ancora più grande e mentre ci alziamo e lo salutiamo quello fa per seguirci, ma ormai sbatte nella sedia e negli spigoli del tavolo, sta esplodendo nei suoi vestiti, non può raggiungerci.
Adesso siamo in macchina, nello specchietto retrovisore intravediamo le mani e i polsi di Gabriele che hanno già spaccato le pareti del mobilificio e fuoriescono come Alice dopo che ha bevuto la pozione.
Io stancamente guido in silenzio, rassegnato e deluso. Dopo un po’ Valentina dice: «Forse possiamo usare quei vecchi scaffali che abbiamo in garage».
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Un episodio di vita quotidiana narrato da un acuto osservatore con dovizia di particolari e mantenendo alto il ritmo della narrazione stessa. Da un lato lo sbigottimento dei probabili acquirenti, dall’altro la descrizione di un venditore che risulta poco professionale e a tratti addirittura patetico. La realtà è fonte d’ispirazione inesauribile per chi sappia coglierne non solo l’evidenza ma anche le sfumature.
Non conosco personalmente l’autore, ma mi sembra un testo di indiscutibile qualità letteraria. Attento ai particolari, alle caratteristiche dei personaggi e dei luoghi, l’autore descrive la commedia umana che si svolge in un mobilificio tra offerte, finti sconti e venditori cialtroni. Alla fine, la solitudine e il silenzio di questa coppia che ritorna a casa senza libreria. Un’eloquente immagine dei nostri tempi.