di Beatrice Fiorenza
Copertina di Battaglia edizioni
Vera Čáslavská è stata una ginnasta cecoslovacca, vincitrice di sette ori olimpici e quattro argenti, ai Giochi olimpici di Tokyo del 1964 e Città del Messico nel 1968. Durante la gara a corpo libero di questi ultimi, i sovietici fecero pressioni sui giudici affinché cambiassero il punteggio di qualificazione della loro atleta e avversaria di Čáslavská Larisa Petrik che risultò così vincitrice ex aequo. Čáslavská, che aveva già supportato la Primavera di Praga a sue spese – aveva dovuto lasciare la città e si era allenata lontano dalla sua squadra e con mezzi di fortuna – manifestò il dissenso per l’ulteriore ingiustizia subita distogliendo lo sguardo dalla bandiera sovietica e fu per questo ostracizzata, negli anni a venire. Armando Fico ne ha tracciato la biografia nel libro Vera Cavlaska. Campionessa dissidente, uscito quest’anno per Battaglia Edizioni e ha gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda in merito.
Come ti sei avvicinato alla storia di Vera Čáslavská? E cosa ti ha spinto ad approfondire?
L’incontro con Vera è frutto di un’intuizione dell’editore, Lorenzo Battaglia, che ha individuato la sua storia – tra le tante altre al vaglio – come quella con più potenziale narrativo. L’idea era quella di raccontare una vicenda che non fosse solo sportiva, ma che fosse capace di andare oltre e abbracciare più ambiti e più temi, come politica, società, Storia… Tutto poi è venuto da sé molto naturalmente.
Quanto pensi che abbia influito la politica sul ritiro di Vera Čáslavská?
Paradossalmente, sul suo ritiro la politica ha influito meno di quanto si possa pensare. Vera aveva infatti promesso a sé stessa che avrebbe smesso e si sarebbe sposata se fosse riuscita a vincere le Olimpiadi di Città del Messico, nel 1968. Cosa che in effetti accade, e lei dà seguito a questa promessa senza esitare.
La politica ha invece determinato la sua vita dopo il ritiro, rendendole di fatto impossibile qualsiasi cosa e obbligandola per un decennio abbondante a scelte dolorosissime.
Nel tuo libro, la vediamo, da giovane, ad aumentare la difficoltà tecnica degli esercizi e dopo la fine della carriera agonistica a bollare le routine di Nadia Comaneci come qualcosa di diverso dal suo sport. Come pensi che avrebbe giudicato la ginnastica di oggi, ancora più muscolare?
Vera è stata un profilo di difficile collocazione nella società e nella ginnastica del suo tempo, figuriamoci nella società e nella ginnastica contemporanee. È una domanda cui è difficile dare una risposta, ma penso che sarebbe rimasta sostanzialmente della sua posizione… Una cosa però le avrebbe fatto piacere, e cioè vedere come alcune ginnaste portino la loro personalità dentro e fuori la pedana. Penso a Simone Biles o Katelyn Ohashi, ad esempio, atlete straordinarie in grado di offrire agli spettatori molto altro che un esercizio ben eseguito: la loro personalità ed il loro carisma.
Il fatto che i messicani abbiano sentito un trasporto nei suoi confronti, in quanto anche lei oppressa politicamente, depone a favore della possibilità di organizzare eventi sportivi come le Olimpiadi anche in situazioni depresse, perché diventano campo anche per rivendicazioni politiche della popolazione, oppure prevale sempre e comunque l’aspetto propagandistico?
La linea di confine tra “utilità progressista” e propaganda politica dei Giochi Olimpici (ma anche di qualsiasi altra manifestazione sportiva in generale) è così sottile da risultare spesso e volentieri invisibile. L’unica verità è che ogni cosa, ogni gesto, ogni sfumatura, anche e soprattutto nello sport, è politica. Questo vale per gli atleti, ma anche per tutto ciò che sta dietro le quinte (qualcuno lo definisce “il palazzo”). Va accettato e se ne deve prendere atto. Con annessi giochi di potere che la politica dello sport porta con sé.
Quanto influiva sull’uso strumentale e propagandistico della ginnastica il fatto che ci fossero molte atlete donne famose, la cui età media tese ad abbassarsi vertiginosamente dopo il ritiro di Čáslavská, come per esempio successe con Nadia Comaneci? Erano sfruttati nella stessa misura degli atleti meno marginalizzati come i maschi adulti?
Qui occorre fare un distinguo: la ginnastica – soprattutto femminile – è stata protagonista (suo malgrado) di propaganda soprattutto nei Paesi del blocco comunista sovietico. Il motivo è semplice: la tradizione del balletto e le origini marziali della ginnastica ponevano quegli atleti a un livello inarrivabile per tutto il resto del mondo.
Non che sia una novità, sia chiaro: succede la stessa cosa anche negli USA, ma con l’atletica, ad esempio.
Ora immaginate cosa vuol dire per Mosca e la sua propaganda ritrovarsi come regina della ginnastica sovietica e mondiale non solo una cecoslovacca, ma persino una dissidente… Vera, una bomba esplosa tra le mani di Breznev e del Partito Comunista Central, ha sconquassato il regime sovietico nelle sue fondamenta.
Rispetto alla contestazione delle Pantere Nere, quella di Vera Čáslavská ha avuto più o meno risonanza nell’opinione pubblica generale e in particolare in Messico?
Sono due situazioni molto diverse tra loro, anche se in fin dei conti guardavano a un obiettivo quasi comune. La protesta di Vera ebbe una risonanza inferiore solo perché era da sola, mentre gli atleti afroamericani avevano alle spalle delle associazioni strutturate e soprattutto la rabbia pronta ad esplodere della popolazione di colore USA. E poi non dimentichiamo che l’eco della protesta di Vera fu progressivamente soffocato scientificamente dal Partito Comunista… era una lotta impari, in cui però è riuscita incredibilmente a spuntarla.
Ci sono stati altri episodi di contestazione nei confronti dell’Unione Sovietica nella storia sportiva?
Così aperti e plateali come quello di Vera, no. Ci sono atti di dissenso, questo sì, o di ribellione puramente personali, ma che non possono essere accostati a Vera.
Un esempio è Emil Zatopek, la locomotiva umana, cecoslovacco come Vera ed anche lui firmatario del manifesto delle duemila parole. Gli fu riservata la condanna ai lavori forzati nelle miniere di uranio e finì per ritrattare tutto pur di tornare alla sua vita. Anche il marito di Vera, l’atleta pluridecorato Josef Odlozil, tentò una cosa simile alla moglie rifiutando di ricevere la medaglia da un generale russo durante un torneo minore. Gli andò molto male: allontanato dall’esercito e ridotto a fare l’insegnante con uno stipendio da fame.
La sua adesione al manifesto delle duemila parole ha influito sulla decisione dei russi di interferire con il risultato olimpico? Era un segnale per tutti gli stati satelliti oppure avrebbero fatto lo stesso anche con un’atleta non schierata?
L’adesione al manifesto non ha determinato “la vendetta sportiva” bensì “la vendetta personale” nei confronti di Vera. L’ingerenza nel risultato sportivo è dovuta piuttosto al fatto che la Federazione Sovietica fino a quel momento aveva raccolto a Città del Messico solo due medaglie d’oro su quaranta finali disputate (comprese quelle di ginnastica). Certo, poi non avrebbero potuto permettere a una dissidente di un Paese in rivolta contro Mosca di dominare nella loro disciplina di punta, ma se non ci fosse stato quel presupposto soprattutto sportivo, forse oggi staremmo parlando di un’altra storia. Forse.
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