di Maurizio Cianchella
Copertina: She seemed to be a good idea – Ottavia Marchiori
Il sospetto è che l’abbia fatto apposta. L’ha pure chiesto: «Ci sei?» e lui non ha risposto. Non poteva non averla sentita. Ci fosse stata la musica o l’acqua aperta, allora ok, ci può stare che uno non senta. Ma non c’era nessuna dannata musica, e se l’acqua fosse stata aperta se ne sarebbe accorta visto che la caldaia da qualche tempo fa un fracasso infernale. Alessia versa un goccio di sapone sulla spazzola e sfrega, sfrega forte, ci si accanisce come se cacciar via quella macchia dal divano fosse l’unico modo per dissipare anche la rabbia.
Quando la chiazza di caffè non aveva neppure smesso di fumare ha passato e ripassato un panno umido sul cuscino, che poi ha cosparso di borotalco. Il risultato non era stato quello desiderato, ma lei non s’era certo scoraggiata: aveva preso un prodotto specifico, uno smacchiatore di questi che hanno venti o trenta secondi di pubblicità tutti per sé in prima serata, e l’aveva prima provato su un angolino per verificare che non rovinasse il tessuto, poi applicato sul cuscino in quantità superiore alla dose consigliata. L’ombra non s’era dileguata e neanche impallidita, che sarebbe stato proprio il minimo considerando quanto costano 500 millilitri di prodotto e venti o trenta secondi di pubblicità in prima serata.
Oggi, tornando a casa dall’ufficio, ha comprato una spazzola con le setole dure come gli aculei d’un riccio e ora sta provando il rimedio della nonna a base di acqua, detersivo per piatti, vigore e tanta pazienza. Non fosse stato per quella stupida macchia avrebbe potuto spazzare per terra, che è uno schifo, oppure lavare scodelle e posate accumulate nel lavello, che non toccherebbero a lei ma chissenefrega, proprio non può vederle lì a ristagnare, a sprigionare il loro odore unto di tonno, di fretta, di pesto confezionato, di chisiaccontentagode, di amido. Sarà pure perché quelle scodellacce sudicie sono la rappresentazione plastica della condanna della sua generazione: le ricordano che a trent’anni è costretta a dividere casa con un coetaneo che avrebbe preferito rimanesse uno sconosciuto, o al massimo un conoscente, e di cui invece ora può snocciolare abitudini, gusti, fissazioni, orari, nomi dei genitori, nomi degli amici più stretti, problemi che hanno portato alla rottura con l’ex, e non gliene frega un beneamato cazzo di tutte ‘ste futilità. E poi, pensa Alessia, e mentre lo pensa sfrega più forte, l’ha fatto sicuramente apposta. Sette mesi quasi otto che vivono assieme in quell’appartamento e mai una volta che Matteo abbia fatto la doccia senza mettere una delle sue terribili playlist da fighetto a volume troppo alto, e figurati se ha mai chiuso l’acqua mentre s’insapona. Sempre ‘sto scroscio d’acqua bollente, una fontana termale, che se entri in bagno mezz’ora dopo ancora t’accoglie una nebbiolina calda che magari devi truccarti e ti tocca spannare lo specchio con la manica del maglione. L’ultima bolletta grida vendetta davanti a Dio. Poi però si rompe la serratura della porta del bagno e indovina un po’? Matteo fa la doccia in silenzio, quando s’insapona chiude l’acqua e, altro fatto curioso, non sente lei che chiede “Ci sei?” quando rientra in casa. Non sente nonostante il trilocale che condividono sia poco più grande del pollaio di sua nonna, le pareti così sottili che se vai a fumare una sigaretta nella tua stanza puoi sentire l’altro che sbuccia una cipolla in cucina, o che si taglia le unghie seduto sulla tazza del cesso.
Matteo lo sa che la prima cosa che fa Alessia quando torna è appendere cappotto e borsa in camera e filare dritta in bagno. Sapeva pure che, credendosi sola, sarebbe entrata senza bussare e se lo sarebbe trovato di fronte tutto nudo, insaponato, coi muscoli contratti quanto basta per apparire più attraente. Così ora oltre a conoscere abitudini, gusti, fissazioni, orari, nomi dei genitori, nomi degli amici più stretti, problemi che hanno portato alla rottura con l’ex, Alessia sa pure com’è fatto là sotto e la sua politica riguardo la depilazione della zona inguinale. Quel che è peggio, quando uscirà dal bagno Matteo se la caverà con la scusa della serratura rotta, dirà che proprio non l’ha sentita rientrare né chiedere “Ci sei?” E ad Alessia toccherà far finta di crederci, se no si finisce a litigare e lei invece vuole passarli in pace ‘sti ultimi mesi di convivenza prima di cambiare casa e pure città, vaffanculo. Solo un altro rospo da ingoiare, che vuoi che sia, ormai ne ha una colonia tra stomaco e intestini.
Invece, quando esce dal bagno e la trova china sul divano che friziona furiosamente il cuscino con la spazzola, Matteo le domanda solo perché sprechi tempo e pazienza per un’innocua macchia ridottasi a sfumatura, ma senza usare parole così delicate.
«Non voglio perdere la caparra», gli risponde lei senza alzare la testa.
«La caparra?» che non gliel’ha mica detto, Alessia, che ha già dato il preavviso al proprietario. Né lo fa ora. Si chiede piuttosto se una volta lontana da Roma potrà permettersi un appartamento tutto per sé, magari con la lavastoviglie e un terrazzo anche piccolo dove prendere il sole e coltivare una pianta di basilico. Di certo non coi primi stipendi, ma al termine dei sei mesi di tirocinio, se tutto fila liscio come l’olio, se le fanno il contratto, se, se, se, forse, chissà, magari, speriamo.
Matteo se ne sta ancora impalato dietro di lei. Probabile che le abbia trafitto il culo cogli occhi, che tanto si sentirà pure in credito perché Alessia l’ha visto nudo e non ha mica chiuso subito la porta, no, è rimasta lì un secondo di troppo che quasi quasi poteva invitarla a raggiungerlo o almeno a dare un’occhiata da vicino: questo starà pensando quel porco.
«Dobbiamo anche far sistemare la porta del bagno», riprende lui, e poi: «A proposito…»
«Mi dispiace», l’anticipa Alessia, sincera nel rammarico ma in qualche modo falsa: non si sente in colpa, come gli lascia credere. Si sente raggirata. Pure stavolta non lo degna d’uno sguardo. Un altro goccio di detersivo sulla spazzola, poca poca acqua sulla macchia e ricomincia a tormentare il cuscino.
«Avrei dovuto bussare.»
«Eh già», le risponde lui. «La prossima volta fai più attenzione, magari.»
Alessia si morde la lingua e aspetta che le ciabatte di spugna striscino fino in camera di Matteo, che la porta si chiuda alle sue spalle. Faccia di merda.
Dovrebbe andare in bagno ma non è più così urgente. Non la pianta di sfregare, come se un divano immacolato facesse davvero la differenza. Poi s’interrompe di colpo e drizza le orecchie: è piuttosto sicura d’aver sentito la pancia gracidare.
Mentre leggevo pensavo che l’avesse o l’avrebbe ammazzato Matteo…
Ma va bene così.