Testo: Valeria Micale
Copertina: Chiara Casetta
Non è vero che la spatola si deve comprare nei mesi senza erre, i vermi si trovano tutto l’anno, pensa Marisella mentre incide con la punta del coltello la carne soda e traslucida del pesce, ritagliandone minuscoli quadrangoli che mette in disparte su un piatto. In ognuno di essi si intravede un piccolo filamento roseo raggomitolato. Il pesce sciabola, come si sa, al pari dello sgombro e del merluzzo, è parassitato da vermi del genere Anisakis che, se non uccisi con la cottura o con il freddo, provocano gravi danni all’organismo di chi li ingerisce. Il nome spatola, che si usa dalle nostre parti, non rende la bellezza del corpo lungo e argenteo di questo pesce, piatto e slanciato come una lama. Ha carni fini e delicate, che si prestano ad essere cucinate nei modi più svariati: fritte a cotolette, al forno, arrostite in spiedini a tocchetti oppure ad involtini, ripieni di mollica condita con capperi, aglio e prezzemolo.
Marisella la cucinerà a involtini, da servire alla famiglia per il pranzo della domenica. Affaccendata davanti al tagliere, si sente felice nella sua nuova cucina colorata e luminosa come quelle che si vedono nei film, con un enorme frigorifero rosso che produce ghiaccio tritato e a cubetti, un cooking chef gourmet con planetaria e una centrifuga ultimo modello per preparare succhi di frutta e verdure. L’alimentazione è importante e lei è orgogliosa di come nutre i suoi figli, facendoli crescere sani e forti: niente merendine confezionate e bibite gassate, solo torte fatte in casa e centrifugati. I bambini invidiano i compagni che possono bere coca cola e cenare al McDonald’s. Loro in un McDonald’s non ci sono mai entrati, gli hamburger li fa Marisella col tritato di prima scelta che il macellaio prepara davanti ai suoi occhi. Ci va di mattina presto, quando la macchina tritacarne non è stata ancora usata per nessun altro cliente. Ha molta pazienza in cucina, Marisella, non le pesa sbucciare, lavare, affettare, triturare; esegue scrupolosamente le ricette e mette sempre molta cura nella presentazione dei piatti. Se si vuole che le cose riescano bene non si deve avere fretta e non si può improvvisare.
Ora ha finito di eliminare i parassiti e prende dal frigo la Tupperware in cui ha conservato la mollica condita, la assaggia e ci aggiunge un altro po’ d’olio. In quel momento suonano alla porta e lei finisce di asciugarsi le mani sul grembiule mentre raggiunge l’ingresso. Non aspetta nessuno e non ha idea di chi possa essere a quest’ora. Gli imprevisti la innervosiscono, perché la mettono in agitazione e quando perde la calma non si piace, ma è solo la vicina di casa che le consegna un pacco, scusi l’orario ma ho visto ancora acceso – si giustifica – l’ha lasciato il corriere stamattina. S’immagini, anzi la ringrazio, sono stata fuori tutto il giorno. Sono i libri che aveva ordinato. Ultimamente si è appassionata alla lettura, suo marito non lo sa, crede che il suo unico passatempo sia guardare fiction in tv, ma non importa. Si è fatta una cultura sulla vita delle piante, la medicina omeopatica e l’alimentazione naturale. Erbe, minerali, resine, la natura è portentosa, ha sempre una soluzione.
Si lava le mani e dispone i filetti di pesce sul piano in acciaio. È concentrata come un chirurgo in sala operatoria, non commetterà errori, un cucchiaino di ripieno su ogni fettina, avvolge i filetti argentei con un movimento veloce delle dita, la vita degli altri è nelle sue mani, quando si sveglieranno la ringrazieranno, non vi farò male, io sono la vostra salvezza.
Da quando si sono trasferiti fuori città ha preso l’abitudine di ordinare su Amazon perché guidare le pesa. La casa, in compenso, è come l’ha sempre sognata. Grandi vetrate, un giardino con cespugli di lavanda e piante di girasole, un capanno per gli attrezzi, un bel ripostiglio spazioso, il vialetto d’ingresso di ciottoli bianchi e accanto alla porta un campanello in ferro battuto a forma di galletto con la scritta Welcome. L’interno è stato completamente ristrutturato, le camere da letto al piano superiore hanno finestre incorniciate da tendine che ha ricamato con le sue mani, al piano di sotto un comodo soggiorno col camino e la cucina modernissima di cui va così orgogliosa, con un’enorme dispensa in cui ripone con ordine meticoloso vasetti di conserve e marmellate.
Marisella non dorme mai, anzi dorme pochissimo. Per prendere sonno ha bisogno delle gocce, perché appena appoggia la testa sul cuscino i pensieri sciamano come vespe scacciate dal nido: cose da fare, da comprare, da ricordare, per questo tiene accanto al letto un block notes e una matita, per fissare sulla carta le vespe volanti. La sua mente si accende a intermittenza come il sensore dell’impianto antifurto che lampeggia sulla porta della camera da letto, fino a quando un numero sufficiente di molecole di benzodiazepina va a incastrarsi nei recettori delle sinapsi nervose e lei può crollare stremata in un breve sonno chimico.
Ma l’Anisakis, dicevamo. Una volta ingerito, si annida come una serpe velenosa nelle pareti dello stomaco e le perfora, causando dolori addominali, nausea, vomito e febbre. Cuoci bene il pesce, le dice suo marito, mi raccomando. Lui che non si preoccupa nemmeno di sapere quali porcherie infilano nelle salsicce che compra al supermercato per il barbecue con gli amici. Lei ha smesso di mangiare carne già da qualche anno, ma ai bambini la dà, perché devono crescere. Ha cercato su internet anisakis e ha letto che i vermi si riproducono dentro il tubo digerente dei delfini. Le uova vengono espulse con le feci, i pesci le mangiano e le larve gli si schiudono dentro, bucano lo stomaco ed entrano nel muscolo, cioè nella carne del pesce, che poi è quella che mangiamo. Trova stupefacente che degli esseri viventi possano penetrare dentro il nostro corpo, viaggiare tra i nostri organi e distruggere le nostre viscere senza che noi ce ne accorgiamo, ma non confida questi pensieri a nessuno, si sente già abbastanza imbarazzata dalle occhiate che le lanciano quando fa le sue ordinazioni dal salumiere o dal macellaio e dai mormorii che sente non appena gira le spalle col pacchetto in mano.
Dispone gli involtini argentei nella pirofila – i più grossi al centro, i più piccoli ai lati – e inserisce con delicatezza tra l’uno e l’altro foglie di alloro fresco; nota una lieve dissimmetria nella disposizione delle foglie e la corregge, inclinando leggermente la testa per vedere l’effetto finale della sua opera. L’alloro forma un ricamo verde sul biancore del pesce. È soddisfatta, tutto andrà bene. Tutto deve andar bene. Sempre. Stende un velo di pellicola sulla pirofila per sigillarla e la infila in frigo. È quasi mezzanotte e dormono tutti, al piano di sopra. Prende il flaconcino delle gocce, ne lascia cadere dieci nel bicchiere, spegne le luci e si avvia per la scala. Tutto andrà bene.
Si sveglia al primo chiarore dell’alba, è domenica, suo marito dormirà più a lungo e i bambini li sveglierà lei, dopo aver sbrigato le faccende. Riprende contatto con le sue membra, articola le dita dei piedi, ruota la cervicale. Suo marito russa lievemente. Non fanno l’amore da alcuni mesi e lei è quasi certa che lui abbia un’altra, ma in fondo non gliene importa, si sente libera così, il sesso non le interessa più. Raggiunge il piano di sotto guidata dal ronzio del frigo, la camicia da notte ondeggia ai suoi passi: è stata una ballerina e ne conserva l’incedere aggraziato, a piedi leggermente divaricati. Come ogni mattina, sorseggerà il primo caffè appoggiata al bancone della cucina, scrutando il cielo dietro la collina per indovinare che tempo farà.
Una luce livida la sorprende non appena apre le persiane, rivelandole uno spettacolo che la raggela: una coltre di fumo denso e lattiginoso come azoto liquido si srotola come un manto lungo il dorso della collina e ricopre la vegetazione che incontra, facendola scomparire alla vista. I primi ad essere inghiottiti sono i pini, poi tocca agli olivastri e infine alle robinie. Marisella osserva pietrificata lo spettacolo imponente e spaventoso, sente che se solo muovesse un dito il suo corpo andrebbe in frantumi, si polverizzerebbe in mille cocci di vetro che ferirebbero a sangue i piedi dei suoi figli. Il manto fumoso avanza in un silenzio rarefatto. Eccolo raggiungere il giardino, inghiottire il capanno degli attrezzi, avvicinarsi alla casa. Dovrebbe urlare, svegliare suo marito, fare qualcosa, ma una forza misteriosa la trattiene dal farlo e rimane inerte, mentre il fumo bianco si infiltra attraverso la finestra e invade la cucina, facendo scomparire ogni cosa alla vista e avviluppando, infine, anche lei nelle sue spire.
Quando si risveglia, il sole alto colpisce la siepe di ligustro facendone risplendere le foglie d’un bagliore rossastro. Dev’essere mattina inoltrata, ma tutti dormono ancora. Prepara la tavola della colazione e corre a svegliare i bambini socchiudendo le imposte e azionando il carillon; suo marito dorme a braccia aperte come un crocifisso ubriaco, ne percorre con lo sguardo le rotondità del corpo e prova un impeto di tenerezza e di disgusto. È un brav’uomo, un gran lavoratore, un buon padre, in fondo. È stato per il bene della famiglia che ha preteso che smettesse di danzare, i loro figli sarebbero cresciuti accuditi da una mamma sempre presente e così è stato, così sarà. Tutto deve andar bene. Sempre. Tutto andrà bene.
«Franci, Gustavo, sveglia! oggi papà vi porta al Baby Park, ve lo siete
scordati? su, su!».
Sono le dieci passate, ma almeno un giro sulle giostre glielo farà fare e forse ci sarà pure il tempo di sparare al bersaglio e vincere un pesciolino rosso che libereranno nella vasca del giardino. I bambini sbadigliano e si girano dall’altro lato.
«Franci! Gustavino!», gli schiocca un bacio sulle testine. «Amori, svegliatevi!». Sente i passi di suo marito e lo scroscio della doccia, torna giù in cucina e aziona la centrifuga e il tostapane.
Quando scendono, gli occhi ancora impiastricciati dal sonno, il succo d’arancia è sulla tavola e i toast dorati al punto giusto sono pronti per essere spalmati con la confettura di ciliegie. Solo allora inserisce le capsule nella macchinetta, in tempo perfetto per servire una tazza di caffè fumante al marito che si accomoda a tavola. È un brav’uomo.
La giornata trascorre serena. I bambini hanno mangiato di gusto e ora giocano nella loro stanza. Marisella è intenta a rammendare le calze in soggiorno, con le orecchie alla tv che trasmette la sua fiction preferita, quando Gustavo incomincia a lamentarsi per il mal di pancia e la chiama. Accorre nella cameretta e gli massaggia il pancino, vedrai che ora passa tutto, gli dice, ma il dolore non passa e lui continua a piangere e a contorcersi e poco dopo ha il primo attacco di vomito. Fa appena in tempo a mettergli una bacinella davanti per non sporcare il letto, ha la fronte calda e sudata, le manine gelate. Francesca è pallidissima, sembra la morticina di cera dei Cappuccini, mamma, non mi sento bene, e lei accorre col termometro che aveva già preparato sul comodino, non è nulla, vedrai, sono sicura che vi siete stancati troppo alle giostre. Trentotto e nove. La stanza si satura di odore acido, Gustavo continua a vomitare, quando svuota la bacinella nel water le pare di vedere dei filamenti rosati che rimangono a galla contorcendosi. Suo marito non è ancora comparso, nonostante i lamenti e il trambusto, ma è meglio così, Marisella sa esattamente come prendersi cura dei suoi piccoli, non ha bisogno dell’aiuto di nessuno. Prepara un infuso di alloro per Francesca e le mette delle pezze imbevute di alcool sulla fronte e i polsi per far scendere la febbre, infila un pigiamino pulito al piccolo Gustavo e cambia le lenzuola macchiate con quelle fresche di bucato. Starà al suo capezzale tutta la notte, se occorre, bagnandogli le labbra con un fazzoletto umido per dargli sollievo, gli racconterà ancora una volta la storia di Odile e Odette e gli canterà una ninna nanna per farlo addormentare.
Franci scappa in bagno, sente i suoi mugolii di dolore e poi il rumore dello sciacquone. Aiuto, mamma, invoca disperata, e lei corre, stai tranquilla tesoro, ti sentirai meglio, dopo. Incrocia i suoi occhi fiduciosi e spaventati, le appare così indifesa, la sua piccola donna, lei non dovrà rinunciare a nessuno dei suoi sogni, mai. Prende dall’armadietto delle medicine le siringhe e la tachipirina, la vita degli altri è nelle sue mani, quando si sveglieranno la ringrazieranno, non vi farò male, io sono la vostra salvezza.
Un horror, ma con misura e grazia. Efficacissimo.