Di Silvia Penso
con Mattia Grigolo
copertina di Pidgin Edizioni
Pubblichiamo con piacere un’intervista di Silvia Penso a Mattia Grigolo, autore, amico, bell’uomo e curatore di Stormo, la nuova collana di narrativa breve di Pidgin Edizioni. Proprio in quest’ultima veste, Mattia Grigolo ci racconta come è nata Stormo, cos’è e quali direzioni intende prendere.
Silvia Penso:
Caro Mattia, finalmente ci siamo. È passato qualche mese da quando veniva annunciata la nuova collana della casa editrice Pidgin, Stormo, e a breve, dal momento in cui scrivo, uscirà il primo titolo: Bellissima di Yasmin Incretolli. Personalmente devo ringraziare te e Stefano Pirone di Pidgin perché con Stormo prende vita qualcosa che secondo me mancava nel nostro panorama editoriale e che cercavo.
Cito dal manifesto della collana: Stormo è la collana di Pidgin Edizioni dedicata alla letteratura breve underground, curata da Mattia Grigolo: storie dal carattere punk, borderline ed eccentrico. Novelle caratterizzate da una scrittura acida e tagliente e da ambientazioni urbane e suburbane.
Parole chiave: narrativa punk, urban, ipnotica, brutale, hardcore, stravagante, disagio, disfunzione, controcultura.
Raccontaci quindi tutti i retroscena, da dove viene l’idea? Come è nata la collana? Sentivate anche voi la mancanza di storie e scritture di questo tipo?

Mattia Grigolo: In realtà, grazie al lavoro di Stefano, Pidgin ha sempre cercato di portare nel panorama editoriale italiano titoli e autor* che difficilmente trovano spazio nelle nostre librerie. Ha un’idea molto precisa di ciò che vuole e, qualche volta, questa sua convinzione, l’ha anche portato ad avere difficoltà a campare nel sistema. Ha creato l’idea di un tipo di narrativa “viscerale” – come gli piace definirla – che affonda le radici in un ramo della narrativa indipendente americana, soprattutto, ma che lui ha provato a ricercare anche qui da noi, seppur con sfumature (culturali) diverse.
Quindi, Stormo è atterrato su un tappeto precedentemente steso, una base abbastanza sicura di lettori, forse di nicchia, ma affezionati.
Io collaboravo già con Pidgin, come editor. Un giorno di circa un anno fa, Stefano mi scrive dicendomi che gli è venuta un’idea. Dice: Mi piacerebbe fare una nuova collana e vorrei che fossi tu a curarla. Mi ha spiegato che, innanzitutto, voleva che fosse una collana di narrativa breve, che proponesse novelle che non superassero le 90mila battute e non fossero sotto le 70mila. Gli ho chiesto perché volesse che fossi io a dirigerla e mi ha spiegato che si adattava al mio background. La collana avrebbe dovuto basarsi su un’idea punk della scrittura. Voleva che il risultato fosse legato all’idea “viscerale” di Pidgin, ma anche a un tipo di narrativa che, in qualche modo, trova poco spazio nell’editoria italiana. Un azzardo, insomma, ma comunque lo stesso azzardo che Pidgin porta avanti ormai da anni. Mi ha convinto immediatamente, era la roba che volevo fare io, ma soprattutto era la roba che io avrei voluto vedere in Italia. Gli ho detto che avremmo dovuto trovare un buon nome che racchiudesse il pensiero dietro la collana. Dice: in realtà, qualcosa ce l’ho. Mi ricordo di averti visto un giorno con addosso una t shirt degli Storm{O}. Potremmo chiamarla Stormo, per via dell’idea di creare qualcosa che richiami un gruppo compatto, un branco, l’adunata. Anche il suono della parola è perfetto.
È nata così, Stormo.
SP: Ora che ci hai parlato della nascita, raccontaci anche la gestazione, vi arriva molto materiale? Ne discutete insieme con Stefano? Cosa deve assolutamente avere un testo per entrare a far parte di Stormo? Immagino che, inoltre, le novelle che vi arrivano debbano anche essere in linea con il manifesto della casa editrice. Raccontaci.
MG: Il primo mese è arrivata una quantità di materiale impressionante. Ci aspettavamo una buona partecipazione, ma non così alta. Molte delle opere arrivate erano completamente fuori linea, però tra quei primissimi invii c’era anche la novella che ha aperto la collana, Bellissima di Yasmin Incretolli. Molte delle novelle erano scritte bene, ma mancavano dell’idea alla base. Ci siamo accorti immediatamente di due cose: che stavamo pretendendo molto, avevamo un’idea precisa di cosa volevamo e i paletti erano tanti, seppur necessari. E poi che la nostra idea, per come l’avevamo concepita e pensata, era molto fraintendibile, non facile da trasmettere all’esterno seppur avessimo lasciato molte linee guida: le parole chiave che tu stessa hai citato, autori di riferimento, film di riferimento e anche una playlist di canzoni che fossero d’ispirazione. Ci arrivavano, ci arrivano tutt’ora, moltissime opere che raccontavano vicende legate alla cultura punk: storie di tour, concerti, band incasinate dalla droga. Va bene, voglio dire, funziona anche quello, ma non è solo quello. Quando noi raccontiamo Stormo come una collana punk, non significa legata necessariamente alla cultura punk. Significa “dall’attitudine punk”, il che è una cosa diversa. Bellissima, la novella che apre la collana, non ha assolutamente nulla di culturalmente punk (i riferimenti musicali che si trovano all’interno sono più legati al pop e alla trap music, per dire), ma Bellissima è, in verità, una novella assolutamente punk: nei tratti, nella lingua, nella concezione della narrativa, del messaggio che c’è dietro, anzi sotto. Quindi, quello è stato il primo grosso ostacolo. Va bene il punk, ma ci devono essere anche altri fattori. Per questo è difficile come collana. C’è da dire che la seconda novella Stormo, che uscirà a giugno, è ambientata durante un concerto hardcore. Quello ma non solo quello. Collana difficile. La sfida è capire quanta gente fa un certo tipo di narrativa in Italia. Secondo me, con le prime uscite, il pubblico, la gente, il panorama si farà un’idea più precisa di cosa stiamo cercando. C’è una persona che mi sta aiutando nella ricerca e nella selezione; Mattia Cecchini, un giovane autore che vive in Germania come me. Mi fido molto del suo gusto, ma soprattutto della sua capacità di analizzare un testo. Quindi quando trovo qualcosa che mi convince, lo giro anche a lui e mi dà il suo feedback.
Quindi, cosa deve avere un testo per entrare assolutamente nella collana? Due cose sono fondamentali: il lavoro sulla lingua e lo stile, la struttura. Ciò che chiediamo è, a mio parere, molto chiaro e, mi rendo conto, anche molto difficile: vogliamo una scrittura acida, che sperimenti ma con consapevolezza, non a casaccio giusto per dire: ok, faccio questa cosa pazza che impagino tutto sottosopra e allora sto sperimentando. Non funziona così. Non è che se caghi sul foglio allora hai della merda d’artista. Hai della merda sul foglio. E poi il contenuto: vogliamo storie suburbane subumane. Vogliamo che si racconti il disagio, quello personale, quello sociale, quello famigliare. Non ci interessa che Stormo sia “difficile” da leggere, da assimilare, da digerire. Non vogliamo finire sotto l’ombrellone, vogliamo passarci sopra oscurando il cielo come una nuvola nera. Ecco qua.
SP: Mi sembra che in questi tempi le pubblicazioni di narrativa, soprattutto le proposte dei grandi gruppi editoriali, siano tutte simili tra loro, parlo in particolare della voce, del ritmo, dello stile di chi scrive, ho la sensazione che il criterio reale che indirizza le scelte degli editori, e di conseguenza degli editor, sia basato su una semplice, commerciale, linea guida: piacere ai presunti più e quindi, entrando nel testo, tale logica ricade per forza di cose sulla normalizzazione dello stile, su una piattezza generale della scrittura, producendo un circolo vizioso per cui il lettore non viene mai portato ad aspirare ad altro se non a una forma senza carattere, a un modo di raccontare livellato, bandita ogni sperimentazione. Per fortuna ci sono piccole realtà che fanno tutt’altro. In questo senso, leggendo la prima novella, Bellissima, ho apprezzato non solo la storia ma il modo in cui viene raccontata, l’uso assolutamente spregiudicato della lingua, la scrittura tagliente che fa da eco alla durezza della trama. Ecco, quanto è importante per Stormo questo aspetto, è parte fondante della collana?
MG: Il tema dell’omologazione – non so se sia corretto definirlo con questa parola – è un tema difficile, entro il quale si rischia sempre di affogare o finire per generalizzare, perché porta con sé diverse considerazioni a catena, spesso difficili da afferrare completamente. Io credo che, semplificando, le case editrici si dividano tra quelle che fanno il proprio gioco e quelle che giocano a un gioco a cui non vorrebbero giocare. Poi c’è una terza fascia e ne parlo dopo.
Le prime, consapevoli di essere punto forte dell’editoria, capiscono cosa gli sta succedendo intorno (la difficoltà del vendere i libri nel nostro Paese, l’economia sbilanciata nelle percentuali di ritorno, il gusto della maggioranza del pubblico, etc…) e adattano la loro offerta: funziona questa cosa? Vai, spingi fino a quando non esauriamo il pubblico, poi troviamo qualcos’altro. È normale dai, dal punto di vista commerciale perché non dovrebbero farlo? Sono aziende, molto spesso sono grosse aziende. Il problema è che così facendo cambiano non solo il sottosuolo editoriale, quello economico, ma cambiano anche il panorama. Il pubblico, chi usufruisce e si nutre di libri, viene imboccato con lo stesso alimento per mesi, anni. Si abitua a quell’alimento e alla fine lo accetta come unico alimento possibile.
Poi ci sono quelli che invece si devono adattare, ecco un altro anello della catena: sono case editrici che non hanno il potere di cambiare un panorama e non hanno nemmeno la forza economica per adattarlo. Sono nel limbo di quelli che va bene, funziona, ma se poco poco facciamo una cosa diversa, smettiamo di funzionare. Allora si adattano loro, restano in scia e, quindi, contribuiscono al cambiamento/non cambiamento di cui sopra.
Infine, ci sono i Don Chisciotte, come Pidgin. Il sottobosco di case editrici indipendenti che, comunque, hanno la loro idea di letteratura e che, comunque, non vogliono cambiarla e che, comunque, annaspano.
Tengono duro facendo ciò per cui sono nate – l’idea di editoria che avevano iniziato ad abitare – senza uniformarsi perché così si vende un attimo di più. E annaspano, è intuibile. Se esci dal coro e provi a cantare da solo, è più difficile che qualcuno si fermi ad ascoltarti. Però si può fare, se accetti determinate cose. Realtà come Pidgin, Terrarossa, Wojtek, Zona 42, Moscabianca, le prime che mi vengono in mente, ma ce ne sono diverse altre, hanno messo scudo e tirano dritto. Loro sono le vere indipendenti d’Italia. Perché concettualmente ragionano indipendentemente dal flusso.
Queste sono le premesse dietro Stormo, ma anche dietro Ruggine, la collana principale di Pidgin. Fare scudo e tirare dritto verso il lettore ideale, non il lettore possibile o, addirittura, più lettori possibili.
SP: Immagino che nel creare Stormo tu abbia inseguito anche un tuo gusto personale, quali sono i tuoi riferimenti letterari?
MG: Stefano mi ha chiesto di curare Stormo, perché sa cosa mi piace leggere, ma non solo. Sa cosa mi piace guardare, ascoltare. Insomma, dietro l’idea Stormo, c’è una città ideale. Un certo tipo di film, di arte. Posso fare così: ti racchiudo in un film, un libro, una band e un artista ciò che secondo me, quindi a mio gusto personale, è l’essenza di Stormo. Allora: Gummo di Harmony Korine, Mira Corpora di Jeff Jackson, Fugazi, Vito Acconci.
SP: In un panorama in cui le pubblicazioni, come dicevamo, si assomigliano tutte che funzione assumono le piccole case editrici portatrici del nuovo, di ciò che manca, e che si assumono il coraggio di portare avanti un’idea di letteratura? E che funzione e importanza può quindi avere una collana come Stormo in questo panorama attuale?
MG: Si attacca a ciò che ti dicevo prima rispetto ai Don Chisciotte dell’editoria italiana: combatto i mulini a vento; quindi, sono destinate a quella cosa lì. Combattere i mulini a vento. Non sono tra quelli, non ci credo, convinto che tutti insieme si possa fare la rivoluzione. Oddio, sì, la si può fare, ma non questa. Questa rivoluzione la vedo dura. Lo spazio-tempo che abitiamo non si adatta, non lascia scampo, è un imbuto. Possiamo andare avanti a fare ciò che stiamo facendo: non smettere nonostante la difficoltà. C’è qualcuno che ci legge e nessuno dice che il pubblico non possa crescere. Anche se Stormo – e tutte le realtà simili – non possono cambiare il mondo, sono comunque una storia per qualcuno. Una storia diversa dalle altre. In fondo, Don Chisciotte è un personaggio clamoroso.
SP: Parliamo un po’ di Bellissima. Dentro ci ho trovato di più di quello che speravo, una scrittura diretta, con forte personalità, una scrittura senza paura, che scova parole esatte per descrivere un mondo pieno di disagio saccheggiando proprio la lingua di quel mondo e riportandocela, la narrazione mette in mostra una bestialità umana che sconvolge ma che è anche fortemente realistica, soprattutto in certi ambiti. Con racconti come questo, che esplorano e mettono in scena la violenza, la brutalità di certe vite, cosa vorreste che arrivasse al lettore, cosa si vuole mostrare o evocare indagando i contesti come quelli abitati dai personaggi? Cosa arriva a te quando leggi una storia che è come un pugno in faccia?
MG: Ti dicevo, Bellissima è arrivata tra le prime proposte. Io, per ovvie ragioni, sono arrivato a leggerla dopo un paio di mesi dall’apertura degli invii. Non ho avuto dubbi: era perfettamente ciò che cercavamo per la collana. Rappresentava perfettamente il lavoro mentale e ideologico che io e Stefano avevamo fatto su Stormo.
Bellissima non è una novella di trama, ma di lingua, di linguaggio. La trama non è determinante. A un certo punto, esasperando il mio pensiero, mi sono pure detto che la trama poteva anche tranquillamente non esistere, in Bellissima, perché la sua forza è la capacità enorme di Yasmin di far parlare il personaggio principale. È il modo in cui Neve, la protagonista, racconta ciò che le sta accadendo. La voce costruita su parole che sono state insegnate dalla strada. Parole fatte di asfalto, mi sono sembrate, eppure, in grado di diventare molto poetiche. Neve è un personaggio consapevole di ciò che è e di ciò che le accade. È per questo motivo che, nonostante la sua lingua naturale sia brutale, la lingua che parla il suo pensiero e la sua memoria è estremamente poetica. Ho visto nella violenza che impernia la novella, la capacità di comunicare il significato, la radice del dolore. Fa un sacco male leggere determinate cose e, a volte, pensiamo che va bene, anche basta, non mi serve andare così sotto, annegarci in tutto questo dolore. Però è il modo in cui quel dolore viene comunicato, a fare la differenza. Ho visto un film recentemente che mi è piaciuto molto, s’intitola The Girl with the Needle, un film danese, molto violento e crudo, ma è come quella violenza viene raccontata a essere determinante. È quando arrivi alla fine e fermandoti ti dici “Ok, ora devo pensare a tutto ciò che ho letto (che ho visto)”, è a quel punto che ha funzionato. A me, personalmente, Yasmin mi ha bloccato sulle pagine per come mi ha detto alcune cose.
SP: Vuoi svelarci qualcosa sulla seconda uscita?
MG: La seconda novella di Stormo uscirà a giugno 2025, a circa due mesi dall’uscita della prima, ma verrà presentata in anteprima al Salone del Libro a maggio. L’autore è esordiente. È ambientata durante un concerto hardcore in un centro sociale. Anche nella seconda opera c’è un grosso lavoro sulla lingua e sulla struttura stilistica.
SP: Grazie Mattia di questo dialogo, noi qui a malgrado le mosche non vediamo l’ora che Stormo cresca e divampi.
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